ROMA (WSI) – Non solo si oppone alla richiesta che arriva direttamente dall’Fbi, la polizia federale degli Stati Uniti. Tim Cook, numero uno di Apple, mal trattiene la propria rabbia su quanto è stato stabilito con una sentenza che fa indubbiamente discutere in materie di privacy.
L’Fbi ha ordinato a Apple di consentire alle autorità un accesso secondario (“backdoor”) a un iPhone che è stato rinvenuto nel corso dell’inchiesta sulla strage di San Bernardino (California) dello scorso dicembre, per visionarne il contenuto. Ma Apple ha risposto no, adducendo come motivazione proprio la tutela della privacy dei suoi utenti.
Un sì all’Fbi, ha spiegato Cook in una lettera, creerebbe infatti un “precedente pericoloso”. E ha ribadito che le informazioni personali che sono contenute negli iPhone (qualsiasi tipo di informazione che attenga alla sfera privata dell’utente, che sia inerente ai suoi contatti, alla sua salute, ai messaggi) devono essere “protette dagli hacker, dai criminali che cercano di ottenere un accesso per rubarle e utilizzarle senza permesso”.
Apple ribadisce di “non avere alcuna pietà verso i terroristi”, ma sottolinea allo stesso tempo di essere molto impegnata a rispettare la privacy dei propri clienti.
“Il governo sta chiedendo ad Apple di hackerare i suoi stessi utenti e mettere così a rischio decenni di progressi che sono stati fatti sul fronte della sicurezza, al fine di proteggere i nostri clienti. Ha ordinato agli stessi ingegneri che hanno dato vita al criptaggio degli iPhone per proteggere i nostri utenti di indebolire quelle protezioni e di rendere i nostri utenti meno sicuri”.
Ma cosa ha chiesto esattamente l’Fbi?
Stando a quanto riporta il sito Cnn Money, l’Fbi non è riuscita nelle sue indagini a decifrare il passcode dell’iPhone rinvenuto nel sito della strage, unico modo per entrare nel dispositivo.
Il problema è questo: Apple non ha la chiave per entrare nell’iPhone dell’attentatore. L’unico modo per accedervi è attraverso un passcode, che non è salvato nei server di Apple. Certo si può provare a indovinare, ma se l’Fbi tentasse 10 volte senza alcun esito, l’iPhone cancellerebbe tutto il contenuto salvato nello smartphone. Di conseguenza il giudice ha stabilito che Apple dovrebbe fornire “un’assistenza tecnica ragionevole” per aiutare le autorità a sbloccare l’iPhone, e anche eventualmente sviluppare uno strumento di software ad hoc che permetta a chi sta facendo le indagini di tentare di indovinare la passcode senza imbattersi nel rischio che tutto il contenuto del telefono venga azzerato.