Per fare un confronto, in Francia questo rapporto è al 135%, nel Regno Unito al 91% mentre la media nell’Unione Europea è al 55 per cento. Una situazione provocata dal minor numero di società quotate sul listino principale a causa dei delisting e in parte dalla concorrenza degli operatori di private equity.
Un altro dato che testimonia la fase di stanca del listino milanese è il crollo del controvalore degli scambi giornalieri che nel 2023 è sceso a 2,27 miliardi, quasi un terzo rispetto ai 6,2 miliardi del 2007, secondo quanto stimato da Intermonte e il Politecnico di Milano. Per capire come ridare slancio al mercato borsistico italiano ne abbiamo parlato con Marco Ventoruzzo, presidente di AMF Italia, l’associazione che raggruppa gli intermediari finanziari che operano nel nostro Paese. Cosa bisognerebbe fare per riportare interesse verso Piazza Affari?
Le proposte messe sul tavolo da parte degli operatori del settore, degli studiosi e del governo sono numerose. Basti pensare alla recente approvazione da parte del parlamento del Ddl Capitali, che semplifica l’accesso e la permanenza sui mercati delle imprese, snellendo gli obblighi a loro carico anche sul fronte della governance. Sempre per favore l’accesso delle imprese ai mercati dei capitali è previsto da parte del governo l’aggiornamento del Tuf, il Testo unico della finanza, entro i prossimi 12 mesi.
Servirebbero anche nuovi incentivi fiscali per favorire la quotazione di nuove società?
La soluzione di offrire bonus o incentivi fiscali alle aziende che si avvicinano alla Borsa è una soluzione di breve termine, spesso utile ma che non permette di risolvere i cronici problemi del mercato italiano. Affinché le imprese italiane possano esprimere pienamente le loro potenzialità di creare valore sui mercati è necessario avviare una serie di riforme strutturali che possano rendere più efficiente l’attività economica, ad esempio riducendo i tempi della giustizia, semplificando gli adempimenti amministrativi, sostenendo la formazione e gli investimenti in conto capitale.
Ritiene sufficienti questi interventi normativi per rivitalizzare il mercato italiano?
Bisogna anche aumentare la presenza degli operatori italiani del risparmio gestito. Attualmente pesano per circa il 10% nel capitale delle blue chip italiane mentre in altri Paesi europei, come Francia e Germania, la presenza dei gestori domestici nel capitale delle aziende del proprio Paese è di gran lunga superiore. Inoltre, è necessario coinvolgere a Piazza Affari anche soggetti istituzionali come fondazioni, casse previdenziali, fondi pensione che fino ad oggi hanno avuto una presenza marginale: lo si sta cercando di fare con diverse iniziative.
Molte aziende italiane gli ultimi anni hanno deciso di quotarsi su altri listini europei. C’è un’eccessiva concorrenza tra i diversi mercati?
Lo sviluppo del listino milanese è anche legato al progetto della ‘Capital Markets Union’ per la creazione di un mercato unico dei capitali in Europa al quale stanno lavorando anche gli ex premier italiani Mario Draghi ed Enrico Letta. Si tratta un passaggio molto importante e necessario per reperire le risorse finanziarie utili per stimolare la crescita economica soprattutto nei settori della transizione energetica e della digitalizzazione e la competitività del nostro continente.
I risparmiatori italiani hanno ancora voglia di Piazza Affari?
Dopo il boom del trading online agli inizi degli anni 2000 gli italiani non hanno mai smesso di investire a Piazza Affari, grazie anche ai prodotti del risparmio gestito come i Pir. Negli ultimi anni l’investimento diretto in titoli azionari sta vivendo una qualche seconda primavera. Basta vedere quello che è successo negli Stati Uniti con il fenomeno delle meme stock alimentato dai commenti apparsi su alcuni social network e che è ritornato di stretta attualità nelle ultime settimane.
Quale impatto ha avuto sui mercati italiani e i vostri associati la forte richiesta di Btp da parte dei risparmiatori italiani?
I recenti collocamenti di titoli di Stato italiani hanno rappresentato un’interessante opportunità per gli intermediari che offrono questo servizio ai loro clienti, mettendo così a loro disposizione un ventaglio più ampio di opportunità di investimento dopo il lungo periodo di tassi zero. Questa potrebbe rivelarsi una leva interessante per attirare i risparmiatori italiani anche verso altri investimenti domestici.
L’articolo integrale è stato pubblicato sul numero di giugno del mensile Wall Street Italia. Per abbonarti clicca qui