ROMA (WSI) – La misura era passata inosservata, ma una circolare dell’Agenzia delle Entrate che le ha dato piena attuazione ha portato all’attenzione dell’opinione pubblica e degli organi di stampa l’annullamento della black list dei paradisi fiscali da parte del governo italiano.
Per il fisco del nostro paese la lista nera dei paradisi offshore non esiste più e quindi imprese e privati potranno liberamente commerciare con società che offrono regime fiscali vantaggiosi, con la possibilità di scaricare dalla dichiarazione dei redditi le spese effettuate senza bisogno di una giustificazione.
Il controverso comma è contenuto nella legge di Stabilità e Il Fatto Quotidiano spiega che l’idea sarebbe venuta al primo ministro in persona dopo le sue visite a paesi a fiscalità privilegiata come Svizzera, Oman e Arabia Saudita. Per paura di perdere preziosi partner commerciali e ricchi investitori l’esecutivo rinuncia alla tanto decantata lotta a 360 gradi per stanare e punire gli evasori.
“Dal periodo d’imposta 2016 non sarà più necessario indicare separatamente in dichiarazione i costi considerati fino all’anno scorso in “black list”. Di più: saranno deducibili dall’imponibile secondo le regole ordinarie, come tutti gli altri. Di colpo tutto diventa più vecchio e privo di valore, a cominciare proprio dalla lista dei paesi a fiscalità “privilegiata” contenuta in un decreto ministeriale del 23 gennaio 2002 e costantemente aggiornata fino all’anno scorso in Gazzetta ufficiale. Serviva ad applicare una normativa che dal primo gennaio non è più in vigore”.
L’obiettivo è favorire l’attività economica e commerciale delle aziende italiane, ma il rischio è che non siano solo le piazze di Hong Kong, Singapore ed Emirati a essere liberate della connotazione dispregiativa di paradisi fiscali, bensì anche le “capitali” del business offshore come Panama o le Bahamas, che sono finite al centro di un’inchiesta giornalistica internazionale su centinaia di migliaia di società con conti offshore che sfuggono al fisco nazionale corrispettivo.
“Fino al 2014 – si legge sul Fatto Quotidiano – tutte le spese erano considerate indeducibili, a meno che il contribuente non dimostrasse che le imprese offshore fornitrici svolgevano una prevalente attività commerciale e che le operazioni effettuate rispondevano a un effettivo interesse economico. (…) I vincoli di legge sono stati attenuati già nel 2015, fino a scomparire nella circolare 39/E/2016 dell’Agenzia delle Entrate.