Da ipotesi velleitaria emersa quasi per caso nei sondaggi a realtà. Qualcosa si sta muovendo nella società civile e lo scenario di un’Italia indipendente fuori dall’Ue potrebbe un giorno concretizzarsi. Nel silenzio generale dei grandi media, a Napoli è iniziata una campagna per consentire all’Italia di uscire dalla “gabbia dell’Unione Europea”. Il convegno sociale sull’Italexit tenutosi il 21 maggio è stato convocato e organizzato dalla piattaforma sociale Eurostop con l’obiettivo di iniziare a organizzare proposte concrete su quali alternative offrire alla terza economia dell’area euro in un possibile futuro al di fuori del blocco a 29.
Al dibattito socio economico hanno partecipato diversi economisti (come Ernesto Screpanti dell’Università di Siena e Luciano Vasapollo dell’Università La Sapienza di Roma), organizzazioni sindacali inglesi favorevoli alla Brexit e altri analisti indipendenti. Al termine della tavola rotonda è stata approvata una breve mozione che lancia una mobilitazione di inizio autunno (“No Renzi Day”) una settimana prima del referendum sulla riforma della Costituzione e il sostegno allo Sciopero Generale indetto dai sindacati.
Secondo l’organizzazione di orientamento di sinistra l’appuntamento “è pienamente riuscito” in quanto ha “consentito il dipanarsi di un ricco ed articolato dibattito che ha prodotto sia un avanzamento dell’analisi strutturale dell’Unione Europea e sia l’enuclearsi di proposte e di campagne politiche per iniziare a costruire una alternativa a questa asfissiante costruzione antisociale, antidemocratica, autoritaria e militarista”.
“Il Convegno a Napoli si è reso necessario per concretizzare un momento di discussione e di socializzazione delle esperienze all’indomani della vicenda greca con il successivo cedimento del governo Tsipras alla Troika, dell’esplosione dell’emergenza immigrati ed il suo riverbero nei diversi paesi dell’Unione e del lievitare dei fattori di guerra fuori e dentro lo spazio europeo”.
Se ci si basa sui sondaggi, circa la metà degli italiani vorrebbe potersi esprimere sul futuro dell’Italia all’interno dell’area della moneta unica. Un rilevamento Ipsos Mori risalente ai primi di maggio mostra che il 58% dei cittadini interpellati vorrebbe infatti che fosse indetto un referendum sull’Italexit.
Simile è stato anche l’esito di un sondaggio diffuso da Renato Mannheimer ha evidenziato da parte sua che quasi la metà del campione vorrebbe avere la stessa possibilità dei britannici che il 23 giugno voteranno sulla Brexit. Potersi esprimere, attraverso un referendum, sulla permanenza nell’Unione europea è il chiaro sintomo di un malessere diffuso nei confronti delle istituzioni ed eurocrati Ue, visti come autorità sovranazionali che non vengono però elette direttamente dal popolo e sulle cui decisioni quindi la gente sente di non avere il potere di influire.
Anche se poi solo il 38% voterebbe per separarsi da Bruxelles, gli italiani vorrebbero chiaramente poter esprimere il proprio voto sulle questioni europee. Come diceva il presidente degli Stati Uniti Abraham Lincoln, “la democrazia è il governo del popolo, dal popolo, per il popolo”.
La Germania e le altre principali forze dell’Ue non accettano in realtà di essere subordinate a un’autorità europea sovranazionale, ma cercano semplicemente di trarre i massimi vantaggi e ottenere le condizioni più vantaggiose possibili per il prosperare della propria economia.
Qui di seguito è riportata la relazione introduttiva del sindacalista Giorgio Cremaschi, ex presidente del Comitato Centrale della Fiom, l’associazione sindacale dei metalmeccanici:
“Sono convinto che in un futuro, speriamo più vicino possibile, ci si chiederà con compassione ed incredulità come sia stato possibile che le decisioni fondamentali del nostro paese, e di molti altri, siano state sottoposte al vaglio ed al giudizio meticoloso di controllori esterni. Come sia stato possibile che un parlamento eletto, seppure con un sistema truffaldino, abbia accettato di rinunciare alla sua sovranità per delegarla ad autorità esterne non elette da nessuno. E soprattutto ci si chiederà come sia stato possibile che le decisioni sul lavoro, sulle pensioni, sulla sanità, sulla scuola, sul sistema produttivo, sulle stesse regole democratiche, siano state prese in funzione del giudizio su di esse da parte di sconosciuti burocrati installati e Bruxelles dalla finanza, dalle banche, dal potere economico multinazionale. Ci si chiederà come sia stato possibile che le generazioni precedenti abbiano rinunciato a decidere sugli aspetti fondamentali della propria vita sociale, economica e politica, accettando il potere quasi assoluto di una entità astratta chiamata Europa. Entità astratta dietro la quale si sono nascosti gli interessi concreti delle élites economiche, delle classi più ricche e delle caste politiche e burocratiche di tutti paesi del continente. Tutte queste élites non avrebbero mai avuto la forza di imporre paese per paese, ognuna direttamente contro il proprio popolo, quella drammatica distruzione delle conquiste sociali e democratiche che oggi stiamo vivendo. Da sole non ce l’avrebbero fatta a smantellare la più importante conquista dei popoli del continente, il patrimonio storico politico che l’Europa avrebbe dovuto accrescere e contribuire ad estendere in tutto il mondo: lo stato sociale. Un sistema che assegna diritti sociali, lavoro e reddito, casa, istruzione, salute, pensione, vita dignitosa e sicura, un sistema che assegna questi diritti alle persone per il solo fatto di essere cittadini dello stato. Oggi pare che anche questi diritti sociali fondamentali debbano essere conseguiti secondo il merito. Questa parola falsa ed ingannatrice, gran parte di coloro che la proclamano come nuova guida della società non meritano di stare là dove stanno, questa parola, merito, ha sostituito la parola diritto nella ideologia di regime. In fondo ci si deve meritare di vivere.
Lo stato sociale era stato sancito dalle costituzioni antifasciste del dopoguerra. Quelle costituzioni che, come la nostra, si erano date l’obiettivo non della semplice eguaglianza giuridica contenuto nei vecchi statuti liberali, ma quello della eguaglianza sociale. Eguaglianza da perseguire prima di tutto attraverso il potere pubblico, e poi con l’azione sociale diretta delle classi subalterne e dei popoli, che veniva costituzionalmente protetta. Questo sistema costituzionale non poteva piacere alla finanza internazionale. Nel 2013 la Banca Morgan aveva affermato in un suo documento ufficiale che le costituzioni antifasciste, con la loro marcata impronta sociale, erano un ostacolo verso il pieno dispiegarsi della controriforma liberista. Bisognava abbatterle e a questo è servito il nuovo mantra della politica senza alternative: lo vuole l’Europa!
La giustificazione lo vuole l’Europa, dietro la quale sono passate le peggiori sopraffazioni e ingiustizie sociali, ha quasi sostituito quella precedentemente abusata: lo vuole il mercato. Evidentemente quest’ultima era considerata non in grado di reggere. Un puro principio di interesse economico si logora, se non corrisponde agli interessi reali o confligge con essi . Il richiamo al mercato non bastava più, occorreva quindi una immagine più forte che in qualche modo comunicasse dei valori extra economici. Gramsci ha ben spiegato come il capitalismo abbia sempre bisogno di valori esterni alla pura logica del mercato , per giustificare la più feroce ricerca del massimo profitto.
Nel Medio Evo era con Deus vult, Dio lo vuole, che si giustificavano le sopraffazioni del potere. Laicamente ora si afferma che lo vuole l’Europa, ma i fini sono gli stessi che in quell’epoca apparentemente lontana.
Dietro il mito dell’Europa, dietro il messaggio nazionalista continentale che dovrebbe assorbire i nazionalismi di ogni singolo paese con l’orgoglio di essere sudditi di una superpotenza, sta un sistema di potere burocratico imperiale.
Questa è la realtà della Unione Europea, che è prima di tutto un sistema politico di potere sovranazionale progettato per distruggere le resistenze sociali e democratiche dei diversi paesi che ne fanno parte. Non c’è sciocchezza ideologica più fuorviante dell’affermazione secondo la quale il limite del progetto europeo è che esso sia solo economico e non politico. È vero sostanzialmente il contrario. Il sistema europeo è un sistema politico, costruito per agevolare il dominio dei mercati sulle nostre vite e per affermare il liberismo estremo nelle relazioni economiche e sociali. La costituzione della Unione Europea, i trattati e i patti che la istituiscono e governano, da quello di Maastricht al fiscal compact, disegnano una architettura rigorosa di un sistema di potere con scopi chiarissimi. L’articolo uno della costituzione della Unione Europea, se paragonato a quello equivalente di quella italiana, potrebbe così essere letto:
“L’Unione Europea è una oligarchia fondata sul mercato, la sovranità appartiene al potere economico e finanziario che la esercita secondo le regole della competitività e del massimo profitto.”
Questo è il vero primo articolo della costituzione europea; chi esaminasse attentamente i trattati, le loro regole i loro poteri lo troverebbe rigorosamente e coerentemente applicato. Poi, naturalmente, ci sono le coperture di facciata e qui si spreca il ricorso a quei diritti dell’uomo sul cui uso sfacciatamente ipocrita Karl Marx aveva speso il suo migliore sarcasmo.
A dire la verità oggi anche questa copertura è notevolmente a rischio. Il comportamento della ricchissima Unione Europea nei confronti di rifugiati e migranti calpesta non solo i fondamentali diritti umani, ma persino elementari regole di solidarietà. La compravendita di persone con la Turchia finanziata da miliardi di euro, di più di quelli che si negano alla Grecia, è stata decisa dai governanti democristiani e socialisti della Unione Europa e non da LePen o Salvini. La costruzione a tappeto di Hotspot, solito uso dell’inglese per coprire porcherie, cioè di campi di concentramento persino in mare per migranti, è stata sempre opera degli stessi. I muri li costruiscono tutti i governi senza distinzione di appartenenza politica. La civilissima Danimarca impone il pizzo di stato sui beni personali dei migranti, come scafisti che si facessero consegnare gli orologi e gli anelli prima di imbarcare. L’altrettanto civilissima Svezia ha programmato il rimpatrio forzato di decine di migliaia di migranti. Rimpatrio dove, a Mosul in mano all’ IS? Nelle pianure afghane? Sulle coste della Libia? Nei campi di concentramento turchi?
L’Unione Europea ha concordato con il governo Cameron, per fargli vincere il referendum e respingere la Brexit, misure restrittive per i migranti. Non solo per quelli extracomunitari, ma anche per gli stessi cittadini della Unione. Gli italiani che andranno a lavorare in Gran Bretagna non godranno degli stessi diritti sociali dei lavoratori britannici, saranno un po’ come i nostri gastarbeiter nella Germania Occidentale degli anni 50 del secolo scorso. Altro che cittadinanza europea!
Il governo europeo non può che assumere queste misure feroci contro i migranti, perché esse servono a giustificare la ferocia quotidiana verso i propri cittadini. Se si perseguono la disoccupazione di massa e la distruzione dello stato sociale, si deve necessariamente alimentare la convinzione di massa che siamo già in troppi per accogliere altri. Se in Europa ci fossero piena occupazione e eguaglianza sociale, non ci sarebbero grosse difficoltà ad aggiungere posti a tavola in mezzo a 500 milioni di abitanti. Ma quando la vita quotidiana viene minacciata dalla precarietà e dalla disoccupazione e di massa e quando i diritti sociali fondamentali sono negati a milioni di persone, il migrante viene visto come colui che viene a contendere il pane e l’elemosina del povero. Claudio Magris ha scritto che non si possono accogliere tutti, che anche un ospedale deve chiudere ad un certo punto gli accessi. Ha dimenticato che dire che gli ospedali pubblici chiudono e riducono i posti ed i servizi per le politiche di austerità europee, che la Grecia non ha più una sanità pubblica da spartire eventualmente con i migranti.
Sono le politiche di austerità normate dalla costituzione europea che producono e alimentano le guerre tra poveri per diritti sempre più scarsi e aleatori, e che spargono il seme della xenofobia e del razzismo. I partiti reazionari e razzisti sono il prodotto, a volte persino utile come spauracchio, delle politiche di rigore economico da parte dei governanti democristiani e socialisti.È dovere contrastare ovunque i rigurgiti neofascisti e razzisti, ma senza dimenticare che la loro fonte sta nel potere autoritario e liberista di Bruxelles. Se non si taglia la testa al potere che alimenta i tentacoli del razzismo, questi continueranno a riprodursi.
Oggi invece l’Europa pare avere dimenticato le ragioni sociali ed economiche del dilagare del fascismo e poi del nazismo negli anni 30 del secolo scorso. E soprattutto pare avere dimenticato che le costituzioni sociali antifasciste sono nate proprio con lo scopo di estirpare le radici economiche e sociali di quel dilagare. Oggi l’Unione Europea fa la stessa politica economica della Germania democratica di Weimar e sta facendo rinascere gli stessi mostri. Viene il dubbio che di fronte alla ferocia antisociale delle politiche economiche della Unione il comparire delle forze reazionarie non sia proprio inaspettato. Come la storia insegna esse sono sempre il Piano B del capitale.
Cameron ha minacciato i britannici che se voteranno a favore della Brexit saranno responsabili del ritorno della guerra in Europa. Sfacciato. In Europa la guerra c’è già stata con le centinaia di migliaia di vittime della distruzione della Jugoslavia, grazie alle quali l’Unione Europea ha potuto consolidare la sua espansione verso Est. La guerra c’è oggi nella Ucraina dove l’Unione Europea finanzia ed arma il primo governo del continente, che dal 1945 abbia ministri dichiaratamente nazifascisti.
E poi l’Unione Europea, da 25 anni, praticamente dalla sua organizzazione nella forma attuale, partecipa a quella guerra mondiale a pezzi di cui parla Papa Francesco. Una guerra che alimenta il terrorismo mentre proclama combatterlo, una guerra che rischia di di non finire mai perché si alimenta di sé stessa. Quanto a Cameron, egli è direttamente responsabile della catastrofe della Libia, catastrofe che oggi assieme ad Hollande, Obama ed Erdogan tenta di riprodurre in Siria.
L’Unione Europea è sempre più coinvolta nella guerra e negli affari della guerra e sempre di più si identifica con la NATO e la sua politica imperial militare. Se dovesse essere approvato il TTIP, Unione Europea e Stati Uniti sarebbero assieme in una Nato economia dopo quella militare. Eppure a sinistra è più facile dire no al TTIP e anche no alla NATO, piuttosto che affermare il no alla Unione Europea. Come se fosse possibile davvero separare le tre colonne portanti della stessa costruzione.
Oggi l’Unione Europea gestisce e alimenta tre guerre contemporaneamente. Quella militare per difendere ed estendere i propri confini e gli interessi dei propri poteri economici. Quella contro i migranti da usare come moderni iloti o da deportare a seconda delle necessità degli stessi poteri economici. Quella contro i propri popoli, che distrugge lo stato sociale nel nome della competitività e del profitto, naturalmente sempre degli stessi.
La domanda è: come si fa a fermare queste tre guerre senza rovesciare il potere tirannico che le gestisce?
Qui la sinistra in gran parte si ferma, si paralizza. Pare a quel punto che dominino le paure.
Quella che se si rompesse con l’Unione Europea tornerebbe il fascismo nei singoli stati. Ma davvero crediamo che i popoli sarebbero così deboli di fronte ad un potere tirannico locale, non sostenuto da poteri esterni? Davvero si crede che i banchieri e la Troika ci difendano meglio da svolte reazionarie di quanto potremmo fare noi stessi? Se si pensa che in fondo questa Unione Europea ci protegga dal peggio, allora siamo destinati ad esserne schiavi. Il governo greco è lì a testimoniare che la paura di rompere con la dittatura europea porta a subirne tutti i comandi. Si dice che la Grecia fosse troppo piccola per resistere da sola. Questo accusa noi e tutti popoli europei di non aver fatto abbastanza per sostenere quel popolo contro la Troika, ma non assolve la resa del governo Tsipras. C’è sempre l’alternativa di resistere a quella di collaborare con il tuo oppressore. In ogni caso non è vero che il collaborazionismo con la Troika serva a prendere tempo in attesa della grande riforma democratica dell’Europa. Questa riforma non ci sarà mai.
L’altra grande paura dopo quella politica è quella economica, che è persino più forte della prima e ha un suo totem: l’euro. L’euro non è solo una moneta, ha detto il ministro delle finanze della Germania Schauble. L’euro è la politica economica di austerità, se non c’è l’una non c’è l’altro. Il ministro più potente d’Europa ha ragione, è così ma non è ancora tutto. L’euro è anche uno strumento ideologico di consenso. Ai popoli del sud si fa credere di essere eguali ai ricchi popoli del nord perché si possiede la stessa moneta. Anche noi abbiamo il solido marco, si sarebbe detto una volta. La moneta unica alimenta l’autorazzismo dei popoli meridionali, in cui si instilla il terrore di essere ricacciati tra i popoli di pelle scura dell’altra sponda del Mediterraneo, invece che essere ammessi nel consesso di quelli ricchi e virtuosi, biondi e con gli occhi azzurri. A loro volta ai lavoratori e ai popoli del nord, i loro governi impongono di tenere fermi i salari e di non avere pretese sociali eccessive, visto che il loro sistema è ambìto ed invidiato dai popoli del sud. La deflazione salariale in Germania ha permesso al grande capitale di quel paese di far man bassa di mercati ed imprese in tutta Europa. Se i paesi più forti hanno la stessa moneta dei paesi più deboli e tengono pure sotto controllo salari e prestazioni sociali, i paesi più deboli vengono mangiati. È stata così la dollarizzazione dell’economia contro cui si sono ribellati i popoli dell’America Latina. È nazionalismo non voler essere una colonia del grande capitale tedesco? L’euro è un vincolo economico e ideologico costruito apposta per rendere irreversibili le politiche di austerità. E serve a ricattare paesi e persone. Abbiamo visto in Grecia il modo terrorista con cui è stato usato per minacciare un intero popolo. Non avrete più la moneta vera, dovrete tornare al baratto, hanno ricattato. La Grecia è rimasta nell’euro, ma i greci non hanno più euro in tasca per mangiare.
Infine c’è una paura più piccola, ma presentata spesso in maniera piuttosto arrogante. La paura di non essere sufficientemente avanzati ed aperti. Ci si dice che l’Europa è l’Erasmus che unisce gli studenti del continente. Però si dimentica che in nome dell’Europa si sta distruggendo in ogni paese la scuola pubblica. Si esalta la possibilità di viaggiare facilmente e a basso costo e la Ryan Air si è ufficialmente pronunciata contro la Brexit. Eppure se la compagnia low-cost fosse costretta ad applicare ai suoi dipendenti un vero contratto nazionale non sarebbe poi una disgrazia.
Bisogna rompere con le paure se si vuole rompere la gabbia del sistema di potere europeo.
Certo, sarebbe meglio se in tutta Europa contemporaneamente scoppiasse la rivoluzione socialista. Allora il sistema di potere dell’Unione verrebbe travolto da tutti i lati. Ma francamente non possiamo aspettare una mitica ora x. Oggi è in piazza il popolo francese contro il Jobsact di Hollande, mentre incredibilmente quello greco continua a lottare.Tutto questo segna anche una condanna senza appello per la pavidità eIl collaborazionismo di CGILCISLUIL qui da noi. Le resistenze all’oppressione sono sempre nazionali e proprio partendo da questa loro dimensione parlano a tutti e diventano internazionali. Il primo popolo che si riappropri della propria sovranità democratica diventerà esempio da emulare in fretta per tutti gli altri. Ci sarà il contagio.
La rottura che noi proponiamo parte dunque da una dimensione nazionale, e si proietta subito in un dimensione di solidarietà internazionalista e cooperazione tra tutti i popoli che fanno e faranno la stessa scelta. Ciò che va abbattuto è Il superstato imperiale europeo che schiaccia democrazia e diritti sociali nel nome del mercato. Questo è l’avversario non riformabile.
Si deve abbattere il superstato Europeo non nel nome della efficienza economica, come vaneggia una certa destra, ma nel nome della democrazia. Si tratta di riconquistare il potere democratico di decidere sulle politiche economiche e sociali, e di avere gli strumenti reali per realizzare quelle scelte. Per questo, mentre è possibile che l’Unione Europea sia governata sempre più a destra, basta conoscere la legge antisciopero dell’europeista Cameron e come essa piaccia alla Commissione Europea, mentre questa svolta a destra della Unione è possibile e in corso, non è credibile un’uscita da destra da essa.
Uscire da UE ed Euro significa e richiede adottare misure di stampo socialista, sicuramente di rottura con i vincoli del mercato globale. Le prime sono il controllo rigido del mercato dei capitali, la lotta alla evasione fiscale dei ricchi, la nazionalizzazione della banca centrale e delle principali banche. Questo fa saltare l’euro. Perché una banca centrale che la smetta di ricorrere ai mercati finanziari e stampi moneta per le attività pubbliche e l’economia, così era in Italia fino al 1981, una banca centrale di stato che riprenda a sostenere il paese, questa banca è incompatibile con il sistema Euro.
Si rompe con UE ed Euro per fare una politica economica d’assalto contro la disoccupazione di massa, per far crescere salari e redditi, per colpire le diseguaglianze sociali, per difendere l’ambiente dalla devastazione delle grandi opere.
Si rompe con la UE e l’euro, per affermare i principi della Costituzione del 1948, totalmente incompatibili con i principi e le regole della costituzione europea. Lo può fare la destra questo? No.
In America Latina è in atto uno scontro terribile tra la spinta golpista e restauratrice dell’imperialismo USA, alleato con le caste corrotte e la borghesia compradora di quei paesi, ed il fronte sociale e politico che ha guidato, anche con grandi contraddizioni, il cambiamento progressista di tutto quel continente in questi due decenni. Lì le cose sono chiarissime, la destra rivuole le dollarizzazione dell’economia e il ritorno del liberismo selvaggio guidato dalle multinazionali USA, le sinistra, più o meno radicalmente, una economia governata dallo stato democratico che abbia come obiettivo l’eguaglianza sociale. Sono nazionalisti e assieme internazionalisti i popoli e le forze che seguono questa via.
In Europa la destra ha fintamente occupato lo spazio della contestazione al potere oligarchico europeo perché la sinistra neoliberale si è ritirata da esso così come si è ritirata dal popolo, anzi in molti casi essa è stata semplicemente cooptata in quella oligarchia. Renzi, Hollande, Gabriel non sono compagni che sbagliano, sono avversari. Dopo la resa di Tsipras è chiaro che sinistra europeista diventa un ossimoro politico. Se si vuole restare europeisti si deve rinunciare ad essere sinistra sociale, popolare, di classe. Se invece si vuole restare questo tipo di sinistra, si deve rinunciare ad essere europeisti.
Ogni volta che una lotta o un movimento sociale o politico acquisiscono la dimensione e la forza per confrontarsi con il sistema di potere, questi reagisce minacciando in nome dell’Europa. A questo punto finora abbiamo visto solo giustificazioni ed arretramenti che alla fine hanno indebolito o addirittura portato alla sconfitta quel movimento, quella lotta.
È giunto il momento di cambiare registro. Di fronte a quella minaccia si deve avere la forza di rispondere: che l’Europa vada al diavolo.
Un’altra Europa è possibile solo rovesciando l’attuale sistema di potere europeo, solo rivendicando la rottura con la UE, l’euro e naturalmente con la NATO. Questa è la inevitabile la conclusione politica dei percorsi dei movimenti sociali e politici radicali che non vogliano fermarsi.
Per questo oggi ci dobbiamo schierare senza paura a sostegno della Brexit, se il popolo britannico votasse SI ad essa aprirebbe uno squarcio di speranza per tutti noi. Se invece dovesse vincere il No il potere imperial finanziario europeo, che sta spendendo tutte le sue minacce contro la scelta di rottura, ne uscirebbe rinfrancato ed incattivito contro tutti i popoli. Brexit oggi per Italexit domani, non dobbiamo avere paura di questa parola. Molti sondaggi dicono che la parola Italexit stia diventando popolare, un sentimento, di massa. Oggi questo sentimento non ha dalla sua un vero progetto politico. Ora questo progetto va costruito. Dobbiamo fare il passo decisivo di scegliere la rottura e non discutere più sul se, ma solo sul come realizzarla. La rottura è prima di tutto una scelta politica per la democrazia e l’eguaglianza sociale, per riprendere la marcia interrotta verso il socialismo; parola scomparsa dal lessico della sinistra europea, mentre paradossalmente viene assunta da un candidato alle primarie presidenziali USA.
Il Mezzogiorno d’Italia con la crisi e le politiche di austerità europee è stato già ridotto in molte sue aree a condizioni eguali o peggiori di quelle della Grecia. E in questa devastazione prosperano le mafie. Siamo qui perché pensiamo che i tanti segnali di lotta e ribellione che vengono da queste terre e da queste città, possano crescere fino a diventare l’elemento portante di un blocco sociale e politico alternativo a quello dominante. Siamo qui a Napoli perché qui c’e una realtà sociale politica che pur tra enormi difficoltà è giunta al punto di rottura con il sistema di potere del PD. Ad essa, come a tutte e tutti coloro che oggi lottano per il lavoro e il reddito, per l’ambiente, per i diritti sociali, per la democrazia, è rivolta la proposta di scegliere esplicitamente la rottura con la UE e l’Euro.
Con questa posizione partecipiamo come Eurostop alla campagna per il No nel referendum sulla controriforma della Costituzione voluta da Renzi. Siamo parte di un fronte molto vasto e anche ovviamente contraddittorio, come necessariamente deve essere per un referendum costituzionale. Proprio per questo però dobbiamo affermare che quella controriforma è la realizzazione del progetto, europeo e della finanza internazionale, di distruggere nel nostro paese la resistenza costituzionale al liberismo. La controriforma della Costituzione, assieme al Jobsact, alla legge Fornero, alle privatizzazioni, alla distruzione della scuola e dei servizi pubblici, sono state offerte da Renzi e Padoan al tavolo europeo come pegni sacrificali, in cambio di qualche miliardo di flessibilità sui bilanci per finanziare le mance da distribuire nelle campagne elettorali del presidente del consiglio. I burocrati europei hanno apprezzato e forse concesso.
Così quando Renzi affermerà che la sua controriforma la vuole e la sostiene l’Europa, dirà forse per la prima volta una cosa vera. Il fronte del No dovrà essere pronto a rispondere senza impelagarsi nella confusione, noi comunque lo faremo.
Il referendum sulla Costituzione e il più importante appuntamento che abbiamo di fronte, anzi quello decisivo. Ad esso dobbiamo dedicare tutte le nostre forze nei prossimi i mesi. Con la vittoria del No nel nostro paese si aprirà una fase nuova e per la prima volta da anni con possibilità positive. Subito dopo dovremo aggredire la modifica non sottoposta a voto, ma altrettanto grave, dell’articolo 81 della Costituzione che ha imposto il pareggio di bilancio e così costituzionalizzato l’austerità. C’è tutta una lunga china da risalire. Allora Eurostop dovrà lanciare con tutta la forza possibile la proposta dell’Italexit come passo successivo conseguente e necessario.
Ma ora dobbiamo costruire le condizioni di quella vittoria e a tale fine è necessaria la più vasta e diffusa mobilitazione di massa, che faccia uscire la campagna dagli spazi televisivi e che superi la grande disaffezione politica popolare, sulla quale invece conta Renzi per vincere.
Per questo lanciamo la proposta di concludere la mobilitazione di massa con una grande manifestazione a Roma una settimana prima del voto referendario. Una giornata per la Costituzione del 1948 che sia anche un No Renzi Day. Ogni forza democratica a antifascista venga a quella manifestazione con la sua piattaforma, noi andremo con la nostra, ci unirà il rifiuto del regime renziano, espressione ilare della Troika.
Compagne e compagni è ora finirla di piangere e di ripartire”.