“Aspettare troppo tempo prima di alzare i tassi di interesse non sarebbe saggio”. Lo ha detto chiaramente Janet Yellen, numero uno della Fed, nel corso delle audizioni che si sono svolte in questi giorni al Congresso Usa. Wolf Richter, del sito omonimo Wolfstreet.com, fa notare come questa frase “waiting too long”, ovvero “aspettare troppo tempo”, sia sempre più presente nei discorsi che vari funzionari della Federal Reserve stanno tenendo da diverse settimane.
Il sospetto è che la Fed sappia qualcosa che noi non sappiamo, o che non conosciamo come dovremmo. Ci sono di fatto segnali, sui mercati Usa, che mostrano una somiglianza spaventosa con quelli che precedettero l’esplosione della crisi finanziaria del 2008.
Segnali di bolla, che interessano gli asset CRE – commercial real estate – ovvero il mercato immobiliare commerciale e, di conseguenza, i vari prestiti a entità come fondi, aziende, costruttori, che le banche Usa hanno erogato per finanziare la realizzazione di negozi, centri commerciali, hotel e palazzi.
Si tratta di prestiti che hanno un forte impatto sull’economia, se si considera che hanno un valore di quasi $2 trilioni, $2.000 miliardi, e che sono garantiti, come nel caso dei mutui residenziali, da proprietà immobiliari, in questo caso per uso commerciale.
Il punto è che i prezzi di tali proprietà sono saliti negli ultimi anni a livelli da alert, tanto che ora si teme un crash del mercato. Che oltre a essere un crash dell’immobiliare metterebbe KO i colossi stessi della finanza.
La bomba tossica che minaccia gli Usa vale infattti $2 trilioni e rischia di esplodere da un momento all’altro. La Fed non fa mistero dei suoi timori, tanto che nel rapporto consegnato al Congresso Usa l’istituto ha affrontato direttamente la questione, anche se l’acronimo CRE non è stato pronunciato direttamente da Yellen, durante le sue audizioni.
Il dettaglio non trascurabile è che non è la prima volta che tale categoria di prestiti viene menzionata nei report che la Fed consegna due volte l’anno al Congresso: è la quinta volta. E, già in un report di due anni fa, l’istituto aveva parlato di “pressioni sulle valutazioni” del CRE. Da allora, gli avvertimenti sono apparsi sempre, in ogni analisi, inclusa quella resa nota nel giugno del 2016, in cui la Fed scrisse che le valutazioni nel mercato degli immobili per uso commerciale stavano diventando sempre più vulnerabili agli choc negativi.
Ancora prima, nel novembre del 2015 Eric Rosengren, presidente della Fed di Boston, aveva sollevato più di un dubbio sul boom tossico dei prezzi a Boston.
Un deja vù, sicuramente: la questione è la stessa del 2008, visto che tali prestiti sono stati anch’essi oggetto di operazioni di cartolarizzazione. Operazioni che hanno dato vita al mercato “Commercial Mortgage Backed Securities”, ovvero titoli garantiti da prestiti per immobili a uso commerciale: i CMBS (Commercial Mortage-Backed Securities), che ora rischiano di diventare il nuovo incubo delle banche e della Fed.
Quanto è fondato tale timore? Per avere una risposta, basta guardare al trend del Green Street Commercial Property Price Index, che mostra come i prezzi degli immobili a uso commerciale siano crollati negli Usa di quasi il 40% nel periodo della Grande Recessione, poi più che raddoppiando.
Così si legge nell’ultimo report della Fed.
“Le valutazioni del CRE (mercato immobiliare commerciale), oggetto di crescente preoccupazione nel corso dell’ultimo anno, sono cresciute ulteriormente”. Il debito che ha nutrito questo boom è balzato a 1,98 trilioni, superiore del 14% rispetto al picco della bolla precedente degli anni dell’ultima crisi finanziaria che ha piegato il mondo intero.
In tutto questo c’è da mettere in evidenza il contesto di maggior rischio in cui le banche potrebbero operare, nel caso in cui la legislazione Dodd-Frank emanata subito dopo la crisi finanziaria del 2008 dovesse essere affossata da Trump.
Janet Yellen & Company tentano al momento di non alimentare il panico sui mercati, e nel rapporto affermano che “un calo significativo” dei prezzi degli immobili a uso commerciale potrebbe pesare “sulle banche più piccole”. Tuttavia, proprio le banche più piccole rischiano di piegare il sistema finanziario, in quanto sono esposte a tali debiti per un valore di $1,22 trilioni.