Per molti avrà le sembianze di un deja-vu. Con l’inflazione vicino al 25%, per arginare i cali del peso nazionale e fermare l’emorragia, la banca centrale dell’Argentina ha alzato i tassi tre volte dal 27 aprile, issandoli al 40%. Nonostante la maxi stretta monetaria, il peso ha continuato a crollare negli ultimi tempi. Oggi, dopo il calo del 5% sui mercati valutari, per ottenere un dollaro servono 23 pesos: un anno fa ne bastavano 15.
La concessione di una linea creditizia da 30 miliardi di dollari da parte dell’FMI, tuttavia, dovrebbe contribuire a placare gli animi e ad arginare i cali nelle prossime contrattazioni. L’Argentina ha deciso di fare ricorso agli aiuti esterni dopo che il suo presidente aveva avvertito gli argentini che “le condizioni di mercato sono più difficili” e che l’Argentina “è uno dei paesi che maggiormente dipende dal debito“. Per fare un esempio dell’escalation della crisi economica nella seconda maggiore potenza del Sudamerica, il costo della vita è cresciuto del 30% da gennaio.
La Banca centrale ha alzato il costo del denaro del 12,75% nell’arco di appena sette giorni. La manovra non ha precedenti, ma non è la prima volta che l’Argentina tenta di rafforzare la sua divisa con manovre monetarie disperate. Lo ha fatto diverse volte nell’ultimo secolo. E ogni volta non ha resistito alla tentazione di risolvere il fardello del debito ricorrendo all’inflazione. In ciascuna occasione ha cercato di attirare l’interesse degli investitori internazionali con rendimenti succulenti.
L’anno scorso, per esempio, l’Argentina ha emesso un bond secolare che ha riscontrato un grande successo, con diversi grandi fondi di pensione, in particolare statunitensi, che sono stati attratti dai rendimenti interessanti in un contesto di tassi allora ancora bassi. La loro scelta pare infelice con il senno di poi, considerando che si rischia una nuova crisi economica, ma non soltanto in Argentina.
Rischi per i fondi pensione che hanno investito nei Bond
Chi ha comprato i bond argentini con l’idea di generare alpha di rendimento rischia una cattiva sorpresa. I bond su cui alcuni investitori, anche grandi, facevano affidamento per un centinaio di anni rischiano di fare default. Se Buenos Aires non riesce a uscire dalla crisi, il capitale verrà rivalutato e probabilmente dimezzato. La crisi quindi non riguarda soltanto l’Argentina, ma tutti quei player di mercato che hanno puntato su Bond secolari che ora sono scesi sotto quota 85 centesimi di dollaro. Venerdì avevano toccato i minimi assoluti in area 83,31 cents.
Con un’inflazione a 12 mesi al 25,4% (dati di marzo), tra i livelli più alti al mondo, la potenza sudamericana farà fatica ad attrarre investimenti. Secondo Goldman Sachs la banca centrale argentina l’obiettivo per un’inflazione al 15% nel 2018 è diventato “ancora meno credibile” rispetto a prima.
“Lo shock dei tassi di interesse è un passo nella giusta direzione, ma non c’è alcuna garanzia che riuscirà immediatamente ad ancorare il mercato dei cambi”, fa sapere la banca. La situazione si è venuta a creare dopo che il governo ha adottato politiche volte a stimolare la crescita economica in vista della rielezione alle presidenziali del 2019 del leader Mauricio Macri.
Anche se la banca centrale ha assicurato che continuerà a utilizzare tutti gli strumenti a sua disposizione per raggiungere il suo obiettivo di inflazione del 15 per cento, inclusi ulteriori aumenti del costo del denaro, è difficile che si possa tenere sotto controllo l’inflazione galoppante.
Perché la campagna aggressiva della banca centrale argentina abbia successo, secondo Siobhan Morden, head of Latin American fixed income strategy di Nomura, la squadra di economisti deve invertire in fretta la politica di strette monetarie e ridurre al minimo i danni che potrebbero recare alle prospettive di crescita i costi elevati di rifinanziamento del debito, che rischiano di compromettere anche la governabilità “.
La pioggia di vendite che si è abbattuta su peso e bond argentini si inquadra in un contesto di fuga degli investitori dagli asset valutari dei mercati in via di Sviluppo. Il presidente della Federal Reserve Jerome Powell ha detto ieri che ci sono “validi motivi” per pensare che le economie emergenti e gli investitori si aspettano un ciclo di rialzo dei tassi da parte della Fed e un rientro alla normalità delle politiche monetarie in altre aree del mondo. Le dichiarazioni hanno dato nuovo carburante al dollaro, che guadagna terreno nei confronti dell’euro e delle principali divise emergenti.