NEW YORK (WSI) – In un mondo globalizzato svalutare non paga più come prima. È un messaggio chiaro quello che dà L’Economist in un’analisi statistica sugli ultimi anni del Giappone, in termini di andamento dell’economia e dei tassi di cambio. Il processo di massiccia svalutazione seguito dal paese non ha portato ad alcun risultato.
Il quotidiano finanziario della City ha messo a confronto il volume delle esportazioni e i cambi valutari effettivi reali di Tokyo dal 2012 a oggi. Come si può notare nel grafico sotto riportato, come conseguenza del massiccio intervento della Banca Centrale, lo yen ha perso intorno al 37% del suo valore nei confronti del dollaro negli ultimi quattro anni.
Ciononostante, il volume delle esportazioni è rimasto pressoché costante. L’incremento sperato dalle autorità non c’è stato. La gigantesca svalutazione dello Yen non ha alimentato la crescita economica, che in media è stata pari allo 0,95% negli ultimi quattro anni.
Nel 2015 il Pil del Giappone è riuscito nell’impresa non da poco di crescere perfino meno dell’Italia. Secondo i dati Ocse, Tokyo ha registrato un +0,6% rispetto al +0,8% fatto segnare da Roma.
Se l’Italia deve uscire dall’euro nella convinzione che questo serva a stimolare le sue esportazioni, dovrebbe ripensare le proprie strategie, sembra dire l’Economist, secondo cui la non è la panacea dei tanti mali di cui sono afflitte economie anemiche come quella dell’Italia.
Un euro più debole ha aiutato il nostro paese negli ultimi mesi, ma svalutare non basta. Bisogna accompagnare un simile percorso di indebolimento della propria valuta con riforme strutturali adatte. Decise però dall’interno, a seconda delle caratteristiche dei singoli paesi, e non imposte dall’alto da autorità sovra nazionali.
Come mai le esportazioni non vengono favorite da una svalutazione competitiva come accadeva fino agli Anni 90? Lo spiega bene la Banca Mondiale in un report sul tema. Una strategia economica volta a svalutare la propria moneta nazionale per diventare più competitivi, semplicemente non è più efficace come lo era prima, a causa della globalizzazione e delle catene mondiali di produzione, le cosiddette Global Value Chains.