A dieci anni dal crac della banca Lehman Brothers, simbolo dell’ultima grande crisi finanziaria globale, l’economia sembra aver ripreso un sentiero di crescita apparentemente più stabile. Tuttavia, uno sguardo più approfondito svela il rischio concreto di una recessione e di una profonda fase di correzione per i mercati, le quali sarebbero poco più che dietro l’angolo.
L’economista ribassista Nouriel Roubini, in un ampio intervento pubblicato su Project Syndacate vede nel 2020 l’anno della svolta, in negativo, per i mercati: le ragioni per aspettarsi la fine dell’ottimismo sono riassunte in dieci punti.
Il primo è rappresentato dai limiti dello stimolo fiscale “insostenibile” che l’amministrazione Trump ha avviato: gli Stati Uniti, scrive l’economista stanno crescendo al di sopra del loro potenziale al 2%, “entro il 2020 lo stimolo si esaurirà e una stretta fiscale minima tirerà indietro la crescita dal 3 a poco meno del 2%. Mentre questo accadrà, si spiega nel secondo punto, l’inflazione americana andrà ben oltre i target e questo condurrà la Federal Reserve a portare i tassi dal 2% attuale ad “almeno il 3,5% entro il 2020”, ciò spingerà in alto sia il dollaro sia i tassi a breve e lungo termine.
L’inflazione, inoltre, verrà aggravata anche dalla crescita del protezionismo, risultante dalle guerre commerciali che “quasi certamente vedranno un’escalation”; a questo si aggiungono altre politiche che negli Usa produrrebbero effetti stagflattivi, come le restrizioni ai trasferimenti tecnologici “che spezzeranno le catene dell’offerta” e la chiusura ai migranti necessari “a mantenere la crescita a fronte dell’invecchiamento degli americani”.
Roubini: salvataggi banche non saranno più tollerabili
Fuori dagli Stati Uniti, anche altri Paesi saranno costretti ad accettare un rallentamento della crescita, nel tentativo di rispondere ai dazi americani; la Cina stessa “dovrà rallentare per fronteggiare al sovracapacità e l’eccessiva leva finanziaria“; i mercati emergenti subiranno gli effetti della stretta monetaria della Fed, prosegue Roubini.
Anche l’Europa e l’Italia potrebbero essere fonti di problemi: “Anche l’Europa subirà una crescita più lenta, a causa della stretta della politica monetaria e delle frizioni commerciali. Inoltre, politiche populiste in paesi come l’Italia possono portare ad un debito insostenibile all’interno dell’eurozona. Il “circolo vizioso” ancora irrisolto tra governi e banche che detengono debito pubblico amplificherà i problemi esistenziali di un’unione monetaria incompleta con una condivisione inadeguata del rischio. In queste condizioni, un’altra crisi globale potrebbe spingere l’Italia e altri paesi a uscire completamente dall’Eurozona”.
Il settimo punto citato da Roubini riporta l’attenzione sulle valutazioni del mercato finanziario: negli Stati Uniti, afferma, i rapporti prezzo-utili sono superiori del 50% (P/E) alle medie storiche; anche i bond governativi “sono diventati cari, dati i bassi rendimenti”. Rispetto al 2008, poi, il trading ad alta frequenza e guidato da algoritmi accresce le possibilità di crolli fulminei.
“Con l’aumento dell’inflazione e la normalizzazione delle politiche monetarie in corso, non è più possibile contare sul supporto fornito dalle banche centrali durante gli anni successivi alla crisi”. Roubini teme, inoltre, che Donald Trump, di fronte a un rallentamento della crescita e a una ripresa della disoccupazione sarebbe tentato di rispondere con una crisi di politica estera, probabilmente cercando un confronto con l’Iran.
Una volta che la nuova crisi si sarà fatta sentire, conclude l’economista diverrebbe chiaro come le armi per contrastarla siano già, in buona parte, spuntate: “lo spazio per lo stimolo fiscale è già limitato dal massiccio debito pubblico. La possibilità di politiche monetarie non convenzionali sarà limitata da bilanci gonfiati e dalla mancanza di spazio per tagliare i tassi ufficiali. E i salvataggi del settore finanziario saranno intollerabili in paesi con movimenti populisti in ripresa e governi quasi insolventi”.