Veneto Banca ha chiesto 2,3 miliardi di risarcimento danni agli ex vertici del gruppo. L’atto di citazione, depositato martedì, parla di danni “nei confronti di ex amministratori e sindaci alternatisi in carica fino al 26 aprile 2014”, giorno dell’assemblea che sancì l’uscita di scena dell’AD Vincenzo Consoli e Flavio Trinca e portò all’elezione di Francesco Favotto alla presidenza e la conferma per qualche mese di Consoli nel ruolo di dg.
La somma, superiore a quella chiesta da Popolare Vicenza, sarebbe più che sufficiente a colmare il gap di capitale privato mancante per l’aumento a carico dello Stato. Bankitalia ha fatto sapere ieri che va trovata in tempi rapidissimi una soluzione per le due banche venete, Veneto Banca e la Banca Popolare di Vicenza, le quali hanno bisogno di 1,25 miliardi di capitali privati freschi se vogliono rimanere finanziariamente a galla.
Il tempo stringe: senza gli aiuti privati, le autorità europee non daranno l’ok all’aumento di capitale precauzionale da 5 miliardi che permetterà alle due banche in crisi patrimoniale di salvarsi. L’ipotesi più probabile sembra quella di un intervento delle big del sistema bancario italiano, come Intesa Sanpaolo e Unicredit.
Governo a Roma e funzionari a Bruxelles e Francoforte hanno fatto sapere che verranno risparmiati gli obbligazionisti senior e i correntisti di Veneto Banca e Pop Vicenza: in tutti modi – promettono – il bail-in verrà evitato. A pagare saranno quindi, un po’ come nel caso famigerato di Mps, azionisti e obbligazionisti subordinati.
Secondo quanto riferito dagli organi di stampa italiani, il Tesoro vorrebbe ridurre la somma chiesta da Bce e Commissione Ue intorno ai 600-700 milioni la somma che i privati dovrebbero sborsare per le due banche venete, passando anche da una revisione del piano industriale. La strategia è però difficile da mettere in pratica e prima di fare il primo passo sembra che i grandi player in gioco aspettino un gesto, una mossa da parte degli altri.
Due scenari e 10 miliardi di euro di costi di differenza
Ieri, per esempio, l’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo Carlo Messina non ha voluto rilasciare commenti sulla ipotesi di un intervento salvifico della prima banca italiana per capitalizzazione, limitandosi a un “vediamo come si determina lo scenario”. Generali, dal canto suo, ha ribadito il suo secco no a un aiuto a Veneto Banca e Pop Vicenza.
Come ha spiegato Gianluca Corradi, a capo dell’ufficio legale britannico Simon-Kucher & Partners, la situazione per le due banche è ancora in divenire. Ci sono due scenari da prendere in considerazione se si vuole credere alle parole di Padoan e delle autorità europee secondo cui un bail-in è scongiurato. Se alle banche viene permesso di fare default, allora si farà affidamento sull’intervento del Fondo interbancario dei depositi, che proteggerebbe quei correntisti che hanno un deposito in banca sotto i 100 mila euro.
In questo caso il costo per lo Stato sarebbe di 11 miliardi. Nel caso invece di un intervento del sistema bancario tramite la consegna di capitali freschi privati, se si tiene conto dei tentativi del governo di abbassare le richieste di Bce e Commissione Ue, il costo sarebbe di circa 1 miliardo. In ballo, insomma, ci sono almeno 10 miliardi di euro di differenza.