(9Colonne) – Roma, 25 giu – Minaccia di alzarsi e andarsene dalla riunione del Consiglio dei ministri il Guardasigilli Clemente Mastella qualora non dovesse trovare ascolto su Ici e sostegno alle famiglie nell’ambito della trattativa sul Dpef. Al centro della polemica c’è ancora una volta lei, l’Imposta comunale sugli immobili, la tassa che pesa mediamente 173 euro a contribuente (con punte di 291 euro in Liguria), la tassa “più odiata dagli italiani”, soprattutto nelle regioni del Nord Ovest e del Sud, secondo un sondaggio di Confcommercio recentemente illustrato al viceministro dell’Economia Vincenzo Visco: al 57,3 per cento degli italiani quella tassa sulla casa non va proprio giù. L’Ici si piazza al primo posto della classifica dei prelievi ritenuti “più ingiusti in assoluto” davanti all’Iva (43,1 per cento), alle imposte di fabbricazione (32,4 per cento), e a quelle per lo smaltimento dei rifiuti (30,3 per cento). Il taglio dell’Ici divide il governo: da una parte il ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero che sostiene che non è con la riduzione della tassa della casa che si risolvono i problemi delle classi meno abbienti, dall’altra Mastella che conferma la necessità di ridurre l’imposta e Francesco Rutelli che assicura che si tratterà di un “provvedimento che interesserà chi ha un reddito medio-basso”. Da mesi il vicepremier fa pressing, così come la maggioranza parlamentare, sul presidente del Consiglio Romano Prodi. Il premier però ha sempre predicato cautela: “In tutta Europa – ha ricordato qualche settimana fa – le imposte sulla casa sostengono il sistema delle autonomie locali, non esiste un sistema di autonomie che non recuperino risorse dal luogo, dalla casa”. Riformare l’Ici sì, ma “con mano leggera” è stato il messaggio costante del premier agli alleati, ai suoi ministri e agli italiani, alle famiglie numerose e alle persone molto anziane. La tassa della discordia nasce nel 1992. Da allora ci hanno provato in molti a ridurla, riformarla, se non a farla fuori del tutto. Almeno a parole. Quando nacque a Palazzo Chigi c’era il governo Amato numero uno, il ministro delle Finanze era Giovanni Goria. Il decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, introdusse l’Ici, a decorrenza dal 1993, con lo scopo di dotare gli enti territoriali di uno strumento di autonomia impositiva. Uno dei primi a scagliarsi contro la nuova imposta fu l’ideologo della Lega Nord Gianfranco Miglio che la bollò come una tassa “oggettivamente contraria ai diritti naturali dei cittadini” che dovrebbero avere riconosciuti nei beni immobili una sorta di “estensione fisica e un complemento necessario della persona”, anche per via dei sacrifici che si devono compiere per acquistare una casa. Quando a fine 1993, il ministero delle Finanze stimò un buco di mille miliardi di lire dovuto al mancato pagamento dell’Ici, Franco Gallo, succeduto a Goria, parlò di “effetto Lega”. Risale invece al 2000 il primo testo di legge presentato per abolire l’Ici sulla prima casa. Fu targato non Lega ma Rifondazione comunista: firmatario numero uno Fausto Bertinotti. Non se ne fece nulla. Si arriva così alla primavera 2006. Dalla Fabbrica del programma di Romano Prodi emerge l’intenzione di rivedere gli estimi catastali per attuare un abbassamento dell’Ici, “molto gravosa, pesante e squilibrata”, ricordò all’epoca il candidato premier dell’Unione. Ma la proposta non fece breccia tra i temi principali della campagna elettorale del centrosinistra. Rimase, forse un po’ nascosta, tra le righe delle 280 pagine del programma dell’Unione. Fu l’ancora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, candidato della Casa della libertà, con un memorabile colpo da teatro, a riprendere l’argomento nell’ultimo faccia a faccia televisivo contro Romano Prodi: “Avete capito bene, aboliremo l’Ici sulla prima casa”. Non gli bastò. Ma forse qualcuno ancora ci spera.