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SCENE DA BASSO IMPERO: SCAJOLA E IL VOLO AD HOC FIUMICINO-ALBENGA

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(WSI) – Che fine farà, adesso, il mitico Fiumicino-Albenga, l’unico volo ad personam dell’Occidente sviluppato? L'”Aeroporto internazionale Clemente Panero”, di cui nessuno sospettava l’esistenza, balzò di colpo in primo piano nel 2001: quando divenne ministro dell’Interno Antonio Claudio Scajola, Claudio per farla breve, padrone politico della vicina Imperia. Come sempre in questi casi, il neo-potente fu sommerso di omaggi.

Fiori, libri d’arte, stampe d’epoca, soldatini, sciarpe di cachemire. Come distinguersi tra la folla? L’Alitalia pensò di strafare, gli regalò il volo ufficio-casa. Decollo inaugurale il 17 maggio 2002.

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Da allora, quel collegamento è stato il barometro delle fortune, politiche e non solo, di Scajola. Fu soppresso all’indomani delle dimissioni dal Viminale per l’affaire Biagi, resuscitato dopo il suo rientro al governo; corredato per di più da quasi un milione di sovvenzioni pubbliche, come i voli per le isole.

Cancellato di nuovo quando vinse le elezioni il centrosinistra, ripristinato dopo il trionfo elettorale del Pdl. Riuscirà ora il Roma-Albenga a sopravvivere all’ennesimo tonfo del First Passenger? I segnali non sono incoraggianti: nel pomeriggio di ieri, nell’aerostazione si aggiravano esattamente due esseri umani, la barista e un addetto alle biglietterie. Il monitor arrivi-partenze, desolatamente vuoto.

Così, percossa, attonita, Imperia si domanda se stavolta si avvia davvero al declino l’immenso potere di Scajola; anzi, degli Scajola. Perché ci sono stati tre Scajola sindaci: prima di Claudio, il padre Ferdinando e il fratello Alessandro; quest’ultimo, come lui, anche deputato.

Perché c’è uno Scajola di terza generazione, il nipote Marco, che è appena stato eletto consigliere regionale con oltre undicimila preferenze, più di chiunque. Perché sono uomini di Claudio Scajola a controllare le maggiori aziende della provincia: nell’ordine l’Asl, il casinò di San Remo, le più importanti amministrazioni locali. Mentre quel che resta dell’industria agro-alimentare è in mano alle vecchie famiglie dell’alta borghesia imperiese: imparentate come gli Isnardi, o alleate come i Carli e i Berio.

Un potere capillare, che ha sempre voluto essere anche visibile, palpabile. Materializzato nella grande, curatissima villa ottocentesca che dalla collina domina – appunto – la città; nei tre uomini di piantone che appena Scajola divenne ministro furono messi a sorvegliare anche l’appartamento dell’anziana madre.

Un potere personalizzato, che cerca e ottiene gesti visibili d’omaggio in piazza Dante, fra gli specchi e i legni antichi del caffè Piccardo. Un potere rimasto intatto e immutato nel passaggio dalla Dc al berlusconismo, efficiente nel far affluire risorse pubbliche alla città e alla provincia. Poco “moderno” e certamente poco settentrionale; in questo, forse, inadeguato, visto che la Liguria è l’unica regione del Nord in cui cinque settimane fa il centrodestra ha perso. Con la storiaccia della casa al Colosseo, un uno-due micidiale.

Riuscirà Scajola a riprendersi, a rialzarsi una volta di più? «Se dipende solo da lui, sì: è un culodipietra, un combattente, uno che non si arrende mai; e la politica ce l’ha nel sangue», prevede Manfredo Manfredi, 82 anni, un dc che era già sottosegretario al Tesoro quando Scajola muoveva i primi passi in politica. «Ma nel suo partito, a Roma, c’è gente a cui ha pestato i piedi, che cercherà di sbarazzarsene definitivamente».

Fulvio Vassallo, ex assessore regionale, uomo di punta a Imperia di un Pd abbonato alla sconfitta, descrive quasi invidioso l’«organizzazione possente», il «fortissimo radicamento sul territorio», il «partito tutt’altro che di plastica» su cui l’ex ministro ha potuto contare finora; e non si azzarda a far pronostici.

A dare più o meno per scontata l’uscita di scena di Scajola è l’unica personalità indipendente emersa in questi anni nel Pdl ligure, Enrico Musso. E’ senatore, docente universitario, ma soprattutto è il prossimo candidato del centrodestra come sindaco di Genova.

Dunque non può permettersi un partito che va alla deriva in attesa di vedere che fine fa Scajola. «Il nostro elettore-tipo non ne può più, vedo un livello d’indignazione e insofferenza altissimo. Se vogliamo che la gente torni ad accostarsi alla politica, bisogna cambiare per forza».

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