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Mondadori 2 la vendetta? Marchiare con il Biscione della Fininvest la Rcs Periodici, incluso “Oggi”, il giornale che pubblicò le foto di Antonello Zappadu con Silvio e le sue girls in grembo nel parco di Villa Certosa. Lo stesso giornale che mercoledì 30 giugno ha concluso una minisaga in due puntate su quanto è bello, quanto è atletico, quanto è padre, sposo, nonno esemplare il presidente-operaio-imprenditore “Barbieusconi”, che qualunque abito o accessorio indossi produce successo, voti e ricavi, come la bambola della Mattel.
Prendersi un altro pezzo di editoria italiana, magari aggiungere una fetta della Rcs libri, per girare il tutto a Barbara, visto che Marina ha già di che lavorare a Segrate, sull’altro lato della tangenziale di Milano a pochi chilometri dallo stabilimento Rizzoli. Occupare un altro pezzo strategico dell’informazione, quella dei rotocalchi popolari e isolare ancora di più quei giornali contro i quali il premier invoca oggi lo sciopero dei lettori come si era augurato l’embargo degli inserzionisti un anno fa, al convegno dei giovani di Confindustria.
Le voci sulla trattativa Rcs insistono. E scavando sotto le smentite delle due aziende interessate, si scopre che qualcosa non è esattamente come la raccontano. Massimo Pini, ad esempio. È un manager navigato, un ex boiardo cresciuto al tempo in cui le Partecipazioni Statali regnavano sul Pil italiano.
Allora Pini era un fedelissimo di Bettino Craxi. Tramontato il Caf, è passato al settore privato con Salvatore Ligresti, un altro tenace ammiratore del Garofano. A 73 anni è tutt’altro che un pensionato. Oltre agli incarichi con Ligresti, è vicepresidente di Aeroporti di Roma e consigliere in quota Unicredit dell’Istituto europeo di oncologia (Ieo). Ma la nomina più singolare Pini l’ha ricevuta il 4 maggio scorso, quando è diventato vicepresidente della Rcs Periodici, che di vicepresidenti non aveva mai sentito necessità.
Spiegazione ufficiale data dall’azienda al sindacato: è un incarico senza deleghe operative ed è stato offerto a Pini perché non c’era più posto nel consiglio della Rcs Quotidiani (Corriere della Sera e Gazzetta dello sport), rinnovato a marzo con l’arrivo di pezzi da novanta come Giovanni Bazoli, Luca Cordero di Montezemolo, Diego Della Valle, Cesare Geronzi, Giampiero Pesenti e Marco Tronchetti Provera. A fronte di questo impegno, Pini percepirà la bellezza di 7 mila euro all’anno. E avrà la coccarda di vicepresidente, magari un autista e gli abbonamenti scontati ad “Amica” e “Bravacasa”.
Un altro anziano in area di parcheggio? A scorrere l’atto di nomina l’impressione è diversa. Il vice ha gli stessi poteri di Antonello Perricone, presidente della Periodici e amministratore delegato di Rcs Mediagroup, la holding che controlla quotidiani, riviste, libri e concessionaria pubblicitaria. Questi poteri sono molto ampi, dal controllo sulla gestione alla compravendita di partecipazioni riguardante l’intera galassia Rcs Mg.
Pini è targato Pdl, dopo essere passato per An come consigliere del ministro delle Comunicazioni Maurizio Gasparri (2000-2005). Un ruolo defilato ma molti considerano Pini uno degli artefici della legge sul sistema radiotelevisivo.
L’ex consigliere Rai rappresenta un gruppo di interessi berlusconisti che vogliono contare di più in Rcs, inclusa la nomina del vertice di via Solferino, dove l’attuale direttore Ferruccio de Bortoli si è espresso in modo critico sulla dialettica azionisti-giornale. “Noi abbiamo un difficile rapporto”, ha detto un mese fa de Bortoli, “con la proprietà. Il numero di azionisti, elevato e in gran parte disinteressato allo sviluppo dell’editoria, costituisce una anomalia non solo italiana”.
In quanto ad anomalie, potrebbe essere solo l’inizio. Ma vediamo come si presenta la tempistica. Rcs MediaGroup, la holding, è partecipata da 15 grandi azionisti. Tredici di loro sono riuniti in un patto di sindacato che blinda con oltre il 60 percento delle azioni il controllo della capogruppo quotata in Borsa.
Il patto scadrebbe a marzo del 2011. In realtà, c’è un accordo per anticiparne il rinnovo, come nel 2008. La data non è fissata ma si parla del prossimo settembre. Fra ottobre e novembre sarà presentato il piano industriale 2011-2013 che doveva essere già redatto l’anno scorso e poi è stato rinviato. Lo slogan rimane “revisione del perimetro”, cioè vendite. Ma non si parla più di spezzatini. L’idea è quella di conservare intatto il cosiddetto sistema Corriere: il quotidiano, più i periodici allegati (“Io Donna”, “Sette”) e la parte multimediale di Rcs Publishing. E cedere le riviste non strategiche in blocco.
A brevissimo termine si dovrà cercare un accordo fra gli azionisti. Mediobanca rimane il socio di riferimento con una quota del 14,2 percento, seguita dall’accomandita Agnelli (10,5 per cento). All’istituto di via Filodrammatici tocca la regia di ogni operazione su Rcs. Cesare Geronzi, supporter storico del premier, non guida più Mediobanca ma è rientrato nella partita Rizzoli con la sua nomina al vertice delle Generali, azioniste-pattiste della casa editrice con il 4 per cento circa, mentre l’altro assicuratore Ligresti controlla il 5,46.
Il terzo socio in ordine di grandezza è Giuseppe Rotelli (7,54), appena sopra l’Efiparind dei Pesenti. L’imprenditore delle cliniche è fuori dal patto di sindacato. Ha comprato le azioni quando il titolo Rcs valeva fra i 4 e i 4,5 euro. Un bagno di sangue, visto che oggi Rcs quota attorno a 1 euro. È un vaso di coccio ma non si può sempre dirgli di no. Lo stesso vale per la Sito dei fratelli Toti, costruttori e immobiliaristi romani colpiti dalla crisi del mattone. Per loro sarebbe difficile da accettare di buon grado la cessione di una fetta di patrimonio perché non porterebbe grandi incassi.
La Rcs periodici è già stata trattata dalla Mondadori circa un anno fa. Il negoziato si è arenato su una richiesta del gruppo di Segrate di dote multimilionaria. La Periodici pone qualche problema a Marina Berlusconi. Intanto è in perdita (-8,6 milioni di euro nel 2009). Le previsioni per il 2010 danno in attivo “Oggi” e “Io Donna” e, in misura minore, “Amica”. Il resto, in rosso. In più, alcune testate della Mondadori sono in chiara sovrapposizione con le riviste Rcs. Per non parlare della sovrapposizione fra sorelle.
Meno di un anno fa, in piena bagarre fra i genitori, Barbara ha dichiarato a “Vanity Fair”: “Non so se oggi quello che voglio è solo un ruolo diverso nelle aziende di famiglia. Ma ho la passione per l’editoria, e mio padre ha sempre visto in me delle qualità che potevano essere adeguate per questo settore. Lui ha sempre pensato che, quando ne avessi avuto le capacità, mi sarei occupata di Mondadori”.
Non necessariamente la Mondadori esistente, dove Marina regna. Un’ipotesi più sensata è Mondadori 2, una casa editrice con riviste, libri e un pezzo di concessionaria pubblicitaria ex Rcs da mettere a disposizione della prima figlia di Veronica Lario. Magari nel quadro della trattativa sul divorzio fra Silvio e Veronica che, secondo quanto scritto di recente da “il Giornale” di Vittorio Feltri, si sarebbe arenata.
Il montaggio finanziario di Mondadori 2 sarebbe una pura technicality. Intanto, non sono in ballo cifre molto alte. Almeno, secondo i parametri di famiglia. Quest’anno i cinque figli del premier hanno appena incassato dalla Fininvest 15 milioni di euro di dividendi a testa, poco meno di quanto è stato loro distribuito nel 2009.
Inoltre, in presenza di un interesse così altolocato, non mancherebbero né i fondi di private equity disposti a partecipare all’operazione né le banche per eventuali finanziamenti. Neanche politicamente ci sarebbe spazio per controversie. Si sa che il premier non influisce nemmeno sulle testate di sua diretta proprietà, figurarsi su quelle dei familiari. È già tanto se non lo attaccano.
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da “Il Fatto Quotidiano”, 1 giugno 2010.
PATTO IN SCADENZA. PERIODICI RCS. IL NUOVO POTERE DI MASSIMO PINI.
di Giovanna Lantini
(WSI) – In qualità di prescelto dal patto di sindacato, sarà molto probabilmente lui, Massimo Pini, a dover cercare di tutelare gli interessi dei grandi azionisti di Rcs nell’ultimo tentativo di mettere in sicurezza l’azienda prima della scadenza del patto. Messa in sicurezza ormai improcrastinabile e che potrebbe passare per una rinuncia alla divisione Periodici, in tutto o in parte. Il debito non accenna a calare e la crisi in Italia e in Spagna non lascia molta tregua ai transatlantici editoriali. Un ridimensionamento, quindi, potrebbe essere il male minore.
Non è un caso, perciò, che a poche settimane dall’arroccamento sulla Quotidiani, i grandi soci di Rcs si siano peritati di controllare più da vicino anche la Periodici, creando una vicepresidenza ad hoc, da assegnare proprio a Pini, il rappresentante nel patto della famiglia Ligresti. Per lui, craxiano di ferro passato tra le fila di Alleanza Nazionale dopo il terremoto di Mani Pulite, l’editoria non è certo una novità.
DALLA RAI ALL’IRI, IL CURRICULUM. Nel suo ricco curriculum da rappresentante di primo piano della Prima Repubblica, accanto all’incarico nel comitato di presidenza dell’Iri negli anni di Prodi e delle privatizzazioni, spicca la poltrona di consigliere Rai (1975-76 e 1980-86), di presidente del Comitato Radiotelevisivo della Regione Lombardia (1977-79) e, in tempi più recenti, dal 2000 al 2005, di consigliere del ministro delle Comunicazioni Maurizio Gasparri.
Senza contare le avventure editoriali vissute in prima persona come fondatore della SugarCo Editore che Pini, friulano classe 1937, ha ceduto nel 1993, e di azionista della Cosmopoli, che nel 1994 gli procurò anche qualche guaio giudiziario.
UN FEDELISSIMO DEI LIGRESTI. I mai sopiti legami con Bettino Craxi e il suo entourage, l’hanno poi visto salire, nel 2003, alla vicepresidenza della Fondiaria Sai della famiglia Ligresti, di cui è diventato uomo di fiducia conquistandosi anche la poltrona nel comitato esecutivo di Milano Assicurazioni e di Immobiliare Lombarda, nonché di consigliere della finanziaria Finadin.
Pini, che riveste anche il ruolo di consigliere per l’Istituto europeo di oncologia di Milano per conto di Unicredit e di consigliere e vicepresidente di Aeroporti di Roma, è quindi un uomo strategico per l’immobiliarista Salvatore Ligresti che in questa fase sta attraversando un momento difficile: qualcosa all’interno di FonSai e di Milano Assicurazioni non sta infatti funzionando come dovrebbe.
Complice naturalmente la crisi dei mercati internazionali, nonché l’esposizione alla Grecia per 282 milioni e al Portogallo per 22 milioni, FonSai scambia oggi in Borsa ad appena 8,2 euro circa contro i 19,2 cui è iscritta nel bilancio di Premafim, holding di controllo dei Ligresti. Tutta colpa dei deludenti risultati della compagnia (343 milioni di euro di perdita nel 2009 e altri 92 solo nel primo trimestre 2010) e di Milano Assicurazioni (in negativo per 140 milioni lo scorso anno e per altri 25 da gennaio a marzo) che potrebbero costringere Premafin a una pesante svalutazione (la perdita 2009 è stata di 134 milioni).
Di qui le pressioni bancarie per una ristrutturazione in grande stile. Anche perché, risalendo lungo la catena di controllo del gruppo della famiglia siciliana, si potrebbe rischiare l’implosione della scatola di comando, Sinergia, che alla fine del 2008 era indebitata per 470 milioni a fronte di un patrimonio di appena 105 milioni.
Così il buon Pini si è messo al lavoro sul tema riorganizzazione seguendo da vicino le mosse dell’amministratore delegato di FonSai, Fausto Marchionni, che proprio di recente si è inventato un polo dimissioni nel ramo danni. In pratica, l’ad della compagnia ha riunito le controllate Liguria, Liguria Vita e Sasa per costruire un’attività plurimandato con 800 milioni di euro di premi complessivi. In questo modo ha dato vita alla decima compagnia nazionale del ramo danni e conta di poter valorizzare gli asset in portafoglio per arrivare alla cessione spuntando il miglior prezzo possibile.
CRISI, PROGETTI E ACQUIRENTI. I potenziali acquirenti non mancano: ci sono i francesi di Groupama e anche Cattolica assicurazioni. Ma evidentemente tutto dipende dal prezzo in una partita strategica sullo scacchiere europeo delle assicurazioni. Non a caso sullo sfondo c’è anche un altro potente osservatore che da tempo cerca di crescere in Italia: la compagnia d’Oltralpe Axa, la cui grande ambizione è far concorrenza in patria alle Generali, avrebbe messo il naso nel dossier Fon-Sai. In assoluto segreto naturalmente.
Axa osserva da lontano in attesa di capire cosa accadrà alla compagnia dei Ligresti e intanto silenziosamente cresce in Italia grazie alla partnership con Mps. Il mosaico è dunque complesso, ma a dispetto di tutti questi grattacapi, la famiglia siciliana, proprio a poche settimane dallo sbarco in Generali di Cesare Geronzi (che nell’ultimo anno in Capitalia ha convissuto con Pini come consigliere di amministrazione e membro del comitato esecutivo della banca romana) ha deciso comunque di aumentare la propria presenza nel progetto immobiliare milanese CityLife.
Una mossa a sorpresa: inizialmente, infatti, l’uscita del costruttore romano Pierluigi Toti, che Pini conosce bene anche per via della quota del 5 per cento in Rcs, avrebbe dovuto portare all’aumento delle quote dei soli due soci Allianz e Generali. Ma ai Ligresti questa soluzione non è piaciuta: hanno bloccato la partita nella fase conclusiva chiedendo di prender parte alla spartizione della partecipazione.
Mettendo sul piatto una somma che magari potrebbe servire a sistemare i conti di FonSai come suggeriscono da tempo in Mediobanca. Ma evidentemente l’ipotesi non è piaciuta ai Ligresti, che hanno studiato delle dismissioni per far cassa (fra queste la vendita di150 appartamenti di edilizia convenzionata a Milano Sud per 60 milioni). Del resto conoscono bene il valore di Fondiaria. Soprattutto sullo scacchiere del risiko europeo delle assicurazioni.
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