Fino a quando l’entusiasmo tipico del Carnevale brasiliano puo’ continuare a caratterizzare lo spirito dell’economia locale e, con se, quella degli investitori? Fino a ora i numeri parlano chiaro: la crescita resta innegabile. Ma forse non e’ cosi’ sostenibile come puo’ sembrare.
L’anno scorso la borsa carioca ha guadagnato l’83% e a maggio, le rispettive azioni quotate facenti parte dei portafogli esposti anche sui mercati emergenti lo erano in rapporto 1 a 6. Non sono solo i corsi azionari ad aver fatto un balzo in avanti: a febbraio i prezzi degli appartamenti a San Paolo sono lievitati dell’84% su base annuale, le immatricolazioni di auto e veicoli in generale sono cresciuti del 30% nel mese successivo. E mentre la Grecia implodeva su se stessa, l’economia brasiliana metteva a segno un +9%.
Il merito? Sette anni filati di sempre maggiori esportazioni di soia e acciaio verso la Cina, fattore che ha creato un circolo virtuoso di creazione di posti di lavoro. Aspetto osservato non solo nel settore manifatturiero ma anche nel retail. Intanto la classe media ha aumentato il proprio potere d’acquisto. Il tutto mentre prudenti politiche fiscali hanno permesso di tenere a bada inflazione, tassi di interesse e una valuta fluttuante.
Ciliegina sulla torta: l’aggiudicazione delle Olimpiadi 2016. L’euforia da sola non puo’ pero’ bastare. Tanto che forse qualcosa inizia a scricchiolare: gli investitori sembrano prepararsi a un cambio di posizionamento. Il costo del denaro e i prezzi al consumo, rispettivamente al 10.75% e 4.8%, stanno tornando a salire. Gli scettici avvertono: il ritmo di crescita paragonabile a quello cinese potrebbe provocare una sorta di ingorgo.
Qualche segnale di raffredamento si e’ gia’ osservato sui listini azionari: nel primo semestre e’ stato registrato un -11%. Alan Nesbit, portfolio manager di First State Investment ha spiegato a Fortune che il mercato insegue piu’ l’entusiasmo del momento che non i fondamentali. “Sono molto preoccupato degli inevstitori non sofisticati pesantemente esposti al Brasile”.
Un elemento da considerare, tra gli altri, e’ il calo dei prezzi dell’acciaio, andamento legato alle iniziative adottate dal governo cinese per raffreddare il boom immobiliare. Il paese dei Dragoni ha inoltre deciso di acquistare il 31% in meno di soia nel corso del mese di agosto. Se a cio’ si aggiunge che l’Europa (principale mercato per le esportazioni brasiliane) arranca, si capisce bene come i timori anche sul fronte occupazionale stiano iniziando a montare. Conseguenza? Una frenata anche delle spese al consumo, che rappresentano il 63% dell’economia locale.
Insomma, un cane che si morde la coda cui si aggiunge anche la frenata degli investimenti esteri. I flussi nel 2009 sono stati in calo del 42% rispetto al 2008: una flessione ben piu’ ampia di quella registrata in media a livello globale. Il peso di questi investimenti sul Pil e’, non a caso, passato al 26% dal 37%. “Servono capitali e riforme”, ha suggerito Mauricio Rosal, economista di Raymond James.
Peccato che alte tasse e un piede considerato di troppo dello Stato in alcuni settori non convince gli investitori di lungo termine. Anche sul fronte pensionistico, fanno osservare in molti, andrebbero presi dei provvedimenti: dal 2003 al 2009 le spese su questo fronte da parte dello stato sono raddoppiare a scapito di investimenti in infrastrutture e scuole.
“Quando il mercato toro finira’, il Brasile tornera’ alla dittatura e riprendera’ a stampare moneta?” ha provocato Jim Rogers, cofondatore di Quantum Fund.
Insomma, per una crescita sostenibile il Brasile ha bisogno di un’economia piu’ snella e di incentivi a favore delle piccole attivita’, che incoraggino investimenti a lungo termine in aziende, impianti produttivi e infrastrutture. “E’ importante evitare che gli investitori se ne vadano con l’inizio delle Olimpiadi. Aspettare non e’ pero’ sufficiente. Serve una visione a lungo termine”, ha dichiarato a Fortune Matthew Cole, partner della societa’ di private equity North Bay Equity. D’altra parte il Brasile ha in suo favore risorse naturali e una popolazione giovane che garantisce per il futuro forza lavoro (e sostegno ai consumi).