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“Il berlusconismo e’ una forma estrema di arcitalianità”. Il premier visto da Michele Serra

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Se c’è uno che ha raccontato la storia della sinistra è lui, Michele Serra. Giornalista e scrittore, ha cominciato come correttore di bozze ed è diventato un corsivista pungente.

Partiamo dal Caimano. Che cos’è per te il berlusconismo?
È una forma estrema di arcitalianità. Cioè di individualismo amorale, di spregio per le regole, di superficialità puerile. Anche se finisse Berlusconi, l’humus che lo ha fatto prosperare rimarrebbe.

Da quattordici anni l’esercizio preferito della sinistra è dichiarare morto Berlusconi, salvo poi scoprire che non lo è. Ti senti di fare pronostici?
Lo abbiamo pensato finito molte volte perché il nostro punto di vista è quello del 20% di italiani che sanno chi è Verdini.

Cioè?
Quel 20% di italiani che leggono i giornali e si tengono informati. Fuori da questo recinto, che è molto autoriferito, si pensa, si vive, e si vota, in modo molto differente.

Siamo passati dalla Casta al Catasto, la qualità dei politici sembra sempre peggiorare.
Negli ultimi vent’anni si è abbassato il livello di moralità diffusa, non vedo perché la classe dirigente dovrebbe essere più virtuosa del paese che rappresenta.

Ti diranno che sei un insopportabile moralista…
Per conquistarsi la patente di moralista, vent’anni fa, bisognava essere dei notevoli rompicoglioni. Oggi basta dire “non si passa con il rosso” e già sei considerato tale.

Buona questa. Allora al peggio non c’è mai fine?
Non so cosa rispondere perché ciò che per me è “peggio”, per molti è “meglio”.

Sembra che la realtà stia prevalendo sulla satira.
La satira è al perenne inseguimento della realtà, ma non riesce mai a raggiungerla. Come la lepre con la tartaruga.

Casi di scuola?
Entità come Fabrizio Corona, o il Tg1 di Minzolini, non erano preventivabili neppure dal più divinatorio e pessimista dei satirici.

Cosa significa fare satira su questi personaggi?
È una forma deviata della cronaca: racconta quello che vede.

Siamo così vecchi da dire: era meglio la Prima Repubblica?
Diciamo che la Prima Repubblica cercava di usare le posate a tavola.

E la seconda?
Questi mangiano con le mani, e ruttano con soddisfazione.

So che può sembrare provocatorio: ma noi oggi ci chiediamo se esiste ancora il Pd, o almeno il suo gruppo dirigente.
Esiste soprattutto come bacino elettorale in cerca di un contenitore purchessia.

È il minimo vitale.
Per me è semplicemente miracoloso che più di un quarto degli italiani continuino a votarlo per puro atto di fiducia, o di affetto per un’idea di “sinistra” sempre più labile e slabbrata.

È un declino deciso da astri malauguranti?
Al contrario. Dagli ultimi vent’anni di storia italiana si deduce che la sinistra è fortissima, almeno come ipotesi: altrimenti, perché chi ha meno di 40 anni dovrebbe votare a sinistra? Per un comizio di Fioroni?

Raccontami com’è uno di questi eroici elettori che hanno resistito a tutto.
Non è così facile, per loro, rinunciare all’idea di una sinistra popolare e di massa. Chi non vota Di Pietro perché lo giudica di destra, non vota per i partitini neocomunisti perché li giudica presuntuosi e residuali, non vota per Grillo perché non sopporta le urla, o si astiene o vota Pd turandosi il naso.

Sono molti secondo te?
È il mio ritratto.

Allora, visto che questa base meriterebbe la santità, parliamo dei gruppi dirigenti.
Il dramma del Pd è il suo moderatismo congenito: con la fine del vecchio mondo bipolare serviva una nuova radicalità democratica, da ricercare anche fuori dalla tradizione comunista.

Tu sei un post?
La tradizione comunista italiana è piena di meriti civili e sociali, checché se ne dica. Ma la benzina politica e culturale per reagire al degrado, all’egoismo, al familismo, alla mafiosità diffusa, negli ultimi vent’anni è stata reperibile soprattutto nei movimenti della società civile.

Un altro esempio.
Fa più politica in un giorno don Luigi Ciotti che in un anno la direzione del Pd.

Sarai pure santo, ma anche malizioso.
Bisognava avere l’umiltà di capirlo, di aprire davvero le porte alla società – non a Calearo! – e non è mai stato fatto.

Spesso si teorizza la diffidenza verso la società civile.
I cosiddetti uomini dell’apparato, amministratori e militanti, bravissime persone, tendono tragicamente a difendere la propria esistenza: come ‘anima’ di un partito, non basta.

Sei riuscito a capire perché da vent’anni D’Alema e Veltroni litigano?
Bisognerebbe chiederlo a loro. Ma separatamente, perché se lo chiedi a tutti e due insieme, litigano.

Cosa non va nel dibattito visceral-epistolare del Pd?
Che quasi nessuna delle loro discussioni riesce a coinvolgere la pubblica opinione. Veltroni ci aveva provato, a modo suo, ma non ha avuto la forza di resistere ai nemici interni.

Ti ha deluso?
Si è offeso e se ne è andato. Per fare politica bisogna essere meno permalosi.

È un retaggio della vecchia politica, questo modo di combattersi, o un nuovo vizio?
Tanto la lotta fratricida quanto le apparenze ipocrite, nel vecchio Pci, avevano un senso perché per tutti, dirigenti ed elettori, alla fine contava solo il partito.

E oggi, invece?
Nel Pd, quando scorre il sangue, non si capisce mai bene per quale scopo, e in nome di quale linea politica. E alla fine l’inevitabile, crudele conclusione degli elettori è che ci si azzanna, in quel partito, solo per fini personali.

Tu non sei mai stato su una linea così drastica. Ora pensi come Nanni Moretti che con questi qui non vinceremo mai?
Non è più un giudizio politico. È una verità anagrafica.

Cosa pensi di Grillo? La sua è antipolitica?
Non mi piace l’abuso che si fa della parola “antipolitica”. Grillo fa politica, eccome, e dice alcune cose sacrosante.

Quindi ti piace.
I toni oracolari e l’insulto indiscriminato lo rendono invotabile per chi ha, della politica, un’idea più articolata e più dialettica. Ma per un ragazzo di vent’anni, che nella politica cerca soprattutto adrenalina, capisco che Grillo possa fare presa.

Vendola è una promessa non mantenuta o l’ultima speranza?
È la penultima speranza. L’ultima è sempre la prossima.

Di Pietro è di sinistra o è populista?
È un populista classico, di destra o di sinistra a seconda delle circostanze.

In che senso?
Il suo essere uomo di legge lo rende naturalmente nemico di questa destra. Ma se Fini e la sua “destra repubblicana” e legalitaria dovessero diventare una realtà politica di qualche peso, penso che gli toglierebbero parecchi voti.

Un paradosso: nel centrosinistra ci sono accenti molto antiberlusconiani, ma si ha molta indulgenza con la Lega nord. È giusto?
La Lega è un partito popolare nato su basi etniche e con fortissime venature razziste e autoritarie (come si è visto ad Adro). Come aggravante, aggiungo che protegge e organizza alcuni tra i ceti più retrivi e renitenti alle leggi, come i produttori di latte evasori che fregano i loro colleghi onesti.

Perché il berlusconismo ha dimostrato la capacità di digerire tutto, qualsiasi scandalo?
Facile: perché non lo percepisce come scandalo.

Andrebbe attaccato in un modo diverso? Come?
Andrebbe attaccato per i danni strutturali, economici e sociali che infligge. Il problema è che ogni critica a Berlusconi è una critica all’illusione sciagurata di milioni di berlusconiani. E togliere illusioni a un paese che non ha molto altro su cui puntare, rende odiosi.

Così è quasi inattaccabile…
L’aspetto più geniale della propaganda berlusconiana è stato far credere che chi critica lo fa perché è sfigato e invidioso, chi ride come un pirla e dice ‘come sono contento’ lo fa perché è felice. Rimane un pirla: ma gli toccherà scoprirlo da solo.

Ci sono elementi di berlusconismo che si sono trasmessi anche a sinistra?
Sì ma sono casi sporadici. Le ‘due Italie’, con buona pace dei ‘terzisti’, esistono non perché ci sono dei faziosi che si divertono a dividerle, ma perché riflettono culture, gusti, modi di vivere molto differenti.

Ovvero?
Il leaderino di sinistra che volesse imitare Berlusconi si farebbe subito scoprire, perché al momento decisivo si rifiuterebbe di raccontare la barzelletta su Hitler e finirebbe in lacrime.

Uno dei più feroci critici di Berlusconi, sul tema del costume, oggi è Paolo Guzzanti. Molti dicono: ma fino a ieri stava con Berlusconi.
Paolo Guzzanti è matto ma è una persona intelligente e per bene. Credo che il suo periodo berlusconiano affondi le radici nell’anticomunismo quasi ossessivo di molti ex craxiani. Quando si sbaglia nemico, si sbagliano anche gli amici, e viceversa.

A chi bisogna aprire il comitato di Liberazione?
A tutti quelli che quando si dice ‘Repubblica italiana’ e ‘Costituzione’ sentono il brivido dell’appartenenza. Se la domanda è ‘anche ai finiani’, la risposta ovviamente è sì. Io lavoro con le parole e dunque sono costretto a credere nelle parole: e quelle di Fini e dei suoi, dal punto di vista della lealtà repubblicana e costituzionale, mi sembrano inappuntabili.

Hai una tentazione finiana, come tutti gli elettori di sinistra, confessalo.
Sogno una destra legalitaria per potermi sentire di nuovo di sinistra, e cioè critico verso gli eccessi legalitari.

Cosa pensi di Fini?
Si è ricordato che destra e legalità possono coincidere.

Un governissimo di salvezza nazionale è utile o dannoso?
Se fosse davvero un governo di salvezza nazionale, cambiasse questa schifosa legge elettorale e ci riportasse al voto, sarei favorevole…

C’è un però?
Temo sia un’illusione. Si voterà a primavera con questa stessa legge-merda, la sinistra non sarà ancora pronta (non è pronta, la sinistra, per antonomasia) e tutto sarà possibile, anche che rivinca Berlusconi e torni ancora più ostaggio di Bossi. Un orrore: per ‘fortuna’ ci siamo abituati.