Roma – “Prova di maturità». O, ancora più spesso, «salto di qualità». Sono le espressioni che ricorrono più spesso nei discorsi dei piani alti del Carroccio. L’imminente tornata di nomine nelle spa pubbliche – il 4 aprile scadono i termini per la presentazione delle candidature – nella Lega è considerato un autentico spartiacque. Ben più che non il contemporaneo – e connesso – rimpasto di governo.
Dal punto di vista padano, l’interesse ai nuovi assetti dell’esecutivo è concentrato sull’Agricoltura. Forse non è del tutto vero quel che ha detto Umberto Bossi l’altro giorno: «Ci va bene chiunque, purché si risolva il problema delle quote latte». Eppure, non è l’Agricoltura lo snodo fondamentale. Assai sentita è anche la promozione di uno degli economisti del movimento, il senatore Massimo Garavaglia. Che potrebbe puntare a sostituire il neopresidente Consob Giuseppe Vegas come sottosegretario (o viceministro) all’Economia.
Chi invece, con ogni probabilità, lascerà via XX settembre è Sonia Viale. Destinazione, il Viminale. Sottosegretaria con la delicatissima delega all’Immigrazione. Ma è certamente vero che la partita strategica è quella delle aziende pubbliche: «È lì – spiega un alto dirigente leghista – che noi ci giochiamo la fiducia di quella filiera che va dal mondo imprenditoriale alle banche, ed è lì che dobbiamo dimostrare che al Nord siamo diventati forza egemone, non solo politica ma in grado di esprimere un tessuto di manager. Interfacce vere del mondo produttivo, là dove l’alleato può schierare, al massimo, una serie di bande: chi, oltre a noi, può fare asse da Torino a Udine?».
La carica simbolo è quella di numero uno di Finmeccanica. Un colosso da oltre 75 mila dipendenti, tra le prime dieci aziende al mondo nel settore della difesa, le cui controllate sono perlopiù insediate al Nord: AgustaWestland e Alenia Aermacchi nella culla varesina del movimento, Oto Melara a Brescia, Alenia aeronautica nel torinese e molto altro.
Il nome, per il colosso di piazza Monte Grappa a Roma, è quello di Giuseppe Orsi, amministratore delegato di AgustaWestland. Piace a Giulio Tremonti (il Tesoro è azionista al 33%di Finmeccanica) e piace al Carroccio anche se di certo il manager non può essere considerato uomo di partito. Resta un problema.
Gianni Letta – fin qui dominus quasi assoluto sulle nomine nelle aziende pubbliche – sostiene la riconferma di Pier Francesco Guarguaglini, forte anche dei risultati conseguiti. Per il consolidato asse tra Tremonti e padani, questo è semmai un motivo in più per non recedere. Magari, tenendo desta la memoria sulle inchieste della Procura di Roma che coinvolgono Marina Grossi, moglie di Guarguaglini e amministratore delegato della controllata Selex. Subito dopo la multinazionale della difesa, nelle priorità del Carroccio vengono le Poste.
Un boccone minore rispetto a Eni o Enel, ma con caratteristiche per il Carroccio particolarmente appetibili. Da un lato, il decreto Milleproroghe ha introdotto la strategica possibilità, per Poste italiane, di acquistare banche. Dall’altro, aspetto forse ancora più significativo, c’è il network. La capillare rete degli sportelli che in prospettiva potranno diventare il punto di erogazione di un gran numero di servizi.
Già oggi, per esempio, gli uffici postali sono il terminale presso cui gli immigrati possono fare domanda per i permessi di soggiorno. In questo caso, il nome più accreditato è quello dell’amministratore delegato di Consip, Danilo Broggi. Le partite hanno scadenze brevi. Da questo punto di vista, la riunione del consiglio federale del Carroccio di lunedì prossimo, sarà un appuntamento tutt’altro che formale.
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La Lega ora punta in alto. Vuole Finmeccanica e Poste
Tutti all’incasso. La Lega nord, quelli che si definiscono responsabili, il nascituro nuovo gruppo parlamentare che sta mettendo in piedi la Svp insieme agli autonomisti valdostani e un paio di parlamentari del gruppo misto, tra cui spiccano i nomi di Giulio Andreotti e quello di Adriana Poli Bortone.
In fila dal premier. Dopo le prove di forza fatte a colpi di numeri, Silvio Berlusconi si trova un’agenda super affollata e una lunga fila di persone che reclamano posti di governo, ministri, sottosegretari, aziende pubbliche. Qualche margine il Cavaliere ce l’ha. Ed è per questo ha chiesto al fedele Sandro Bondi di lasciare la Cultura senza polemizzare più di tanto. L’uscita di uno dei tre coordinatori del Pdl, nonostante l’uomo l’abbia sofferta, permette al premier di spostare Giancarlo Galan all Cultura e offrire su un piatto d’argento il ministero dell’Agricoltura alla Lega che vorrebbe provare a risolvere la questione delle quote latte e assicurarsi un’altra serie di grida e applausi da parte del popolo del Carroccio, già in festa per il federalismo municipale.
La Lega pigliatutto. Il senatùr pare però che non si accontenti della sola Agricoltura. La prova di fedeltà offerta nel momento più difficile della legislatura non si premia con una pochette verde (quella mostrata da Berlusconi il giorno del voto sul federalismo), ma adesso occorrono poltrone pesanti. Soprattutto nelle spa pubbliche, visto che il 4 aprile scadono i termini per le candidature. Così Umberto Bossi punterebbe dritto al cuore delle aziende a partecipazione statale, la Finmeccanica, dove vorrebbe piazzare Giuseppe Orsi, non propriamente un tesserato, ma gradito al movimento e soprattutto pupillo del ministro Giulio Tremonti, pronto ad appoggiare la volata. Unico ostacolo Gianni Letta che, invece, vorrebbe la conferma di Pier Francesco Guarguaglini. Se Bossi non dovesse farcela, sposterebbe il mirino sulle Poste, obiettivo minore, ma azienda strategica per alcune questioni care al Carroccio, visto che già oggi gli sportelli sono anche terminali per gli immigrati e le domande di soggiorno.
Nel rimpasto, invece, Bossi oltre all’Agricoltura (il prescelto sarebbe il capogruppo al Senato Federico Bricolo) vuole una promozione per l’economista del movimento Massimo Garavaglia, papabile vice di Tremonti, e per Sonia Viale, destinata al Viminale con la delega all’Immigrazione.
Responsabili all’incasso. Saverio Romano ha già fissato la quota d’ingresso dei responsabili al governo: “Mi aspetto, oltre al ministero, cinque posti da sottosegretari, ma l’ultima parola spetta a Berlusconi”. Una frase che tradisce un certo nervosismo nelle file del gruppo di Iniziativa responsabile che da tempo attende “segnali concreti” dal premier sul rimpasto. Berlusconi, ieri sera, da Helsinki, ha detto che il rimpasto non è così imminente. Può essere, ma giovedì ci sarà un Cdm straordinario per il varo della riforma costituzionale sulla giustizia proposta dal Guardasigilli, Angelino Alfano, e fortemente voluta dal Cavaliere, un vertice durante il quale si parlera anche di rimpasto.
La Svp e gli autonomisti. I senatori della Suedtiroler Volkspartei a sorpresa lascerebbero il gruppo misto e creerebbero, insieme ad altri parlamentari di area centrodestra, un nuovo gruppo per le autonomie che, a detta del centrosinistra, sarà molto più vicino a Berlusconi, a dispetto della dichiarata neutralità della Svp. L’annuncio è stato dato della senatrice Helga Thaler Ausserhofer, ma poi ha ricevuto uno stop momentaneo dai vertici del partito di Luis Durnwalder. Ma la strada da percorrere, per incassare ancora gettoni d’oro, sarebbe quella: lasciare con gli altri senatori della Svp il gruppo parlamentare unitario di cui fa parte insieme con l’Udc, l’Union Valdtaine, Maie, Io Sud, Movimento Repubblicani Europei per dare vita a un nuovo gruppo per le autonomie. Gruppo nel quale potrebbero confluire anche Andreotti e la Poli Botrone. Al momento l’ipotesi è in congelatore, ma pronta a essere riproposta da un momento all’altro.
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Governo, il rimpasto è servito: viceministri e sottosegretari passeranno da 50 a 70
Governare è faticoso, ma garantirsi la sopravvivenza costa caro, carissimo. Specie se chi hai comprato per riuscire a resistere in barba ad ogni regola poi presenta il conto e ti tocca pure nominarli “todos caballeros”. E così il governo diventa qualcosa che a confronto il mucchio selvaggio fa ridere.
Il rimpasto è quasi servito. E nessuno resterà senza cena. Almeno sulla carta. Silvio Berlusconi è al lavoro, a giorni tirerà fuori “una squadra nuova di zecca”. E saranno volti e nomi che il grande pubblico conosce; c’è grande attesa per conoscere su quale poltrona siederà Domenico Scilipoti, ma anche su Maria Grazia Siliquini volano scommesse. Il tempo stringe. Mentre gli avvocati, sotto l’attenta regia di Giuliano Ferrara, studiano la strategia-mediatico difensiva per consentire a Berlusconi di girare a proprio vantaggio la raffica di processi di Milano, il Caimano ha la mente puntata alla tenuta del governo e, soprattutto, ai numeri della Camera. Da giorni Verdini e Alfonso Papa (sì, proprio lui, quello implicato nell’affaire Bisignani-Woodcook) sono alla spasmodica ricerca di nuovi “responsabili”.
Lo stesso Cavaliere è tornato a sperare in alcuno di Fli come Carmine Patarino, Giulia Cosenza e Andrea Ronchi. Solo che ora i “Responsabili” della prima ora, nomi che rimarranno scolpiti nella memoria per aver salvato il Caimano il 14 dicembre scorso come Catia Polidori, Massimo Calearo e Saverio Romano, battono cassa. Vogliono che gli sia pagato quanto promesso in cambio di quella fiducia. Il Cavaliere sembra temporeggiare, ma sa che più prima che poi dovrà mettere mano al rimpasto. Un po’ per volta, dicono i suoi, perché altrimenti Napolitano si potrebbe mettere come al solito di traverso sostenendo, casomai, che se c’è bisogno di rimettere mano in modo così incisivo alla compagine di governo, allora tanto varrebbe aprire una crisi formale. E poi c’è anche la paura del Cavaliere, molto umana, che una volta “pagati”, i “responsabili” poi non si comportino più come tali. Che qualcuno – cioè- possa sfuggire al guinzaglio corto del capogruppo Fabrizio Cicchitto e casomai, proprio sul più bello, quando si dovrà votare sul conflitto d’attribuzione contro il Tribunale di Milano, gli faccia mancare quel plebiscito numerico che agogna per sfruttarlo in senso mediatico e propagandistico.
Un bel problema per l’orda dei “todos caballeros” in pectore. Ma fosse questo il solo guaio. C’è anche una questione legata ai numeri, su cui Napolitano ha già detto che non ne vuole sapere di approvare cambiamenti, specie in un momento di crisi come questo. E’ solo che per accontentare tutti bisognerà mettere mano alla legge sul numero dei dicasteri. Varata nel ’99 da Bassanini, la normativa prevede che il governo possa essere composto da massimo 12 ministri e 60 tra viceministri, sottosegretari e ministri senza portafoglio.
Berlusconi ha già annunciato che presenterà un disegno di legge per consentire l’aumento del numero dei sottosegretari. “Dobbiamo aumentare il numero di sottosegretari e stiamo preparando un disegno di legge a riguardo, ha detto. “Essendo chiamati ad una presenza continua durante le votazioni abbiamo bisogno che il numero di sottosegretari aumenti”.
In verità, la Bassanini è stata rivista già due volte, la prima proprio da Berlusconi nel 2001 (per decreto) elevando il numero dei ministri a 14, poi da Romano Prodi nel 2006 (si ricorderanno le ragioni di tenere in piedi una coalizione molto frastagliata) che sempre per decreto portò il numero a 18. Infine nel 2007, la Finanziaria riportò tutto all’origine (ragioni di crisi economica e di razionalizzazione della spesa pubblica) e dunque il numero è ritornato a massimo 12 ministeri e 60 vice vari di contorno. E così stiamo nella media europea; in Francia Sarkozy ne ha 15 (ma teoricamente potrebbe arrivare a 22), in Germania sono in 16 compresa la Cancelliera Angela Merkel e in Grecia sono solo 12. E’ che, casomai, negli altri Paesi il plateau dei succedanei è praticamente inesistente; in nessuno dei tre Paesi citati c’è l’ombra di un “viceministro”, mentre i sottosegretari (figure chiamate in modo diverso a seconda della nazione) sono al massino una quindicina (il caso della Francia).
Certo, un ennesimo ritocco della Bassanini non ci poterebbe fuori dall’Europa, i costi connessi forse si. Ma non è certo questo il problema del Caimano. Per lui ora è necessario battezzare i Responsabili “todos caballeros”, blindare nuovamente la maggioranza alla Camera e sperare, in questo modo, di portare a casa il prima possibile il propcesso breve, con annessa prescrizione breve inserita dentro come emendamento d’aula. Ecco perché il rimpasto ci sarà, anche se non subito. E pazienza se i numeri aumenteranno a dismisura portando (almeno queste le stime) a 70 il numero dei viceministri e sottosegretari. E oggi sono già 50.
Si ricorderà anche che Berlusconi, in tempi non sospetti, si è sempre fatto paladino dei “pochi ministri, ma buoni”, arrivando addirittura a preconizzare la riduzione del numero dei parlamentari, ma era davvero una stagione diversa. Oggi c’è da pagare dazio e dunque si sta studiando un disegno di legge (non un decreto, attenzione) per allargare nuovamente la compagine di governo soprattutto sul numero dei sottosegretari e dei viceministri; un modo, sostiene il Cavaliere, per raggiungere il risultato e non incorrere negli strali del Quirinale, ma è solo un suo pensiero come tanti.
Napolitano vigila, sa che Berlusconi gli chiederà di allargare il governo, ma per il momento lui potrà accettare – si è sempre fatto sapere dal Colle – solo la sostituzione di quei ministri e sottosegretari che hanno lasciato il posto. Come Andrea Ronchi, per esempio. Già, proprio lui, uno che un giorno dice che Fini è ancora la sua luce e che subito dopo ammicca a Verdini per fargli capire di voler tornare indietro. Per lui sarebbe già pronto il posto di ministro delle Politiche comunitarie. Sarebbe un ritorno clamoroso che porterebbe Giancarlo Galan alla Cultura e Saverio Romano all’Agricoltura. Il problema è che la Lega si oppone. E per cercar di convincere Umberto Bossi e Giulio Tremonti, Silvio sta giocando l’arma delle nomine pubbliche. Perché anche lì c’è da pagare qualche dazio di troppo, oltre a dover blindare interessi che non hanno nulla, ma davvero nulla a che vedere con il bene e lo sviluppo del Paese.
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