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Boom di LinkedIn in borsa: +110%. Entusiasmo, ma anche… vera bolla

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Roma – “Chi avrebbe immaginato che, appena due anni dopo la recente crisi finanziaria, ci sia già un’altra bolla in atto proprio negli asset finanziari americani?”. È l’interrogativo che si è posto Lawrence Summers, ex segretario al Tesoro degli Stati Uniti, ora professore alla Harvard University, durante una conferenza a Shanghai.

Il problema esiste. “C’è una preoccupazione sempre maggiore sulle azioni legate al settore tecnologia, rispetto ad altri asset americani. E questo perchè in questi casi è tornata la fiducia”.

A tal proposito non si può non pensare al fenomeno LinkedIn di oggi che, se da un lato ha entusiasmato i mercati – +90% nelle prime battute della giornata di contrattazioni – dall’altro lato si è confermato quasi un eco dei “titoli più caldi del boom delle dot.com”, come ricorda Bloomberg. D’altronde, nel suo primo giorno di contrattazioni, avvenuto nel 1996, Yahoo mise a segno un rally del 154%.

La situazione che si crea sui mercati finanziari, ha poi fatto notare Summers, è davvero “ironica”. Tali crisi sono sempre provocate infatti da un eccesso di fiducia, di richieste di prestiti, e di prestiti erogati, per poi venir risolta allo stesso modo, ovvero con la presenza di una maggiore fiducia, di più richieste di prestiti e di maggiori spese.

Tuttavia, l’ex segretario al tesoro dell’amministrazione Clinton, durante gli anni compresi tra il 1999 e il 2001, pur affermando che “oggi ci sono rischi molto notevoli”, aggiunge che “l’economia è in ripresa, il tasso di disoccupazione è in calo e le condizioni finanziarie stanno tornando alla normalità”.

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La pazza corsa dei titoli Internet

La seconda bolla pronta a scoppiare. La super valutazione per le nuove star delle rete spaventa Wall Street. A guidare la speculazione Linkedin. Acquisizioni e alleanze per reclutare nuovi talenti e far salire il valore delle società.

di FEDERICO RAMPINI – La Repubblica

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

I sintomi dell’impazzimento ci sono. Nello stesso articolo del New York Times, l’inaudito rialzo in Borsa del sito Linkedin (+110% in un giorno) viene trattato come un fenomeno chiaramente sospetto e patologico: “L’azienda è fragile”.

“Il suo modello di business deve ancora fare le prove. Dovrebbe crescere in modo incredibile per giustificare un simile prezzo”. Linkedin è una versione su scala ridotta di Facebook, usato soprattutto per contatti professionali. Sono davvero tanti 11 miliardi di dollari di valore in Borsa, per una società che ha appena 240 milioni di fatturato. Ma poche righe sopra, nello stesso articolo del New York Times le banche vengono criticate per avere fissato un prezzo di collocamento troppo basso, negando così ai fondatori di Linkedin un guadagno ancora più colossale giovedì scorso nel giorno del primo collocamento.

E’ la schizofrenia tipica delle bolle speculative: s’intuisce che i prezzi sono insensati, ma quel che dà oltremodo fastidio è se qualcuno ne approfitta più di altri. Da mesi ormai si parla di una nuova bolla speculativa, creata attorno a tutte le neonate società che sfruttano nuove potenzialità di Internet: Facebook, Twitter, Skype, e tanti altri nomi meno noti. Anche nel 1999 la stampa abbondava di titoli che mettevano in guardia: “bolla”, “euforìa di massa”, “febbre speculativa”, “esuberanza irrazionale” erano termini usati generosamente. Eppure il Nasdaq continuò la sua ascesa verso la stratosfera, il crollo arrivò solo nel marzo 2000: e fu una prova generale dell’altra grande bolla, quella dei mutui subprime nel 2007.

Anche adesso gli investitori preferiscono ignorare gli avvertimenti. Al culmine delle bolle vale sempre la “teoria dello stupido più stupido”: approfittiamo della bengodi, ci dev’essere qualcun altro ancora meno avveduto di me, a cui alla fine lascerò in mano il cerino acceso.

L’elenco delle valutazioni da capogiro è lungo ma deve partire per forza da Facebook. Il sito sociale più celebre del mondo, che ha superato il mezzo miliardo di frequentatori, viene valutato a 50 miliardi (la data del suo collocamento in Borsa non è stato deciso). Nessuno nega che Facebook sia uno dei fenomeni che hanno segnato la nostra èra della socializzazione digitale. Ma questo giustifica che valga più della Boeing, il colosso che produce jet su cui viaggia da generazioni il mondo intero? Twitter vale più della Ford. Groupon, che offre voucher online per sconti su acquisti, ha rifiutato i 6 miliardi che offriva Google per acquistarla: preferisce quotarsi in Borsa dove è convinta di valere almeno 15 miliardi, anche se il suo fatturato è di soli 760 milioni.

Tra i sintomi dell’euforìa si moltiplicano i fenomeni di “acq-hire”, gioco di parole che si può tradurre in “compr-assumi”: società come Facebook acquistano sul mercato concorrenti molto più piccoli, al solo scopo di reclutare i talenti che ci lavorano dentro. E’ una bella conferma che il fattore umano è fondamentale nella Silicon Valley, ma questo contribuisce a far lievitare i prezzi di tutto.

Gli ottimisti sottolineano che è sbagliato far paragoni con l’altra bolla della Silicon Valley, quella scoppiata nel marzo 2000. I cambiamenti principali da allora sono tre. Il primo è il prodigioso balzo in avanti delle tecnologie. Oggi un semplice telefonino incorpora più potenza del personal computer di dieci anni fa. E le sue capacità sono esaltate dall’accesso alla “nuvola”: così vengono chiamati i servizi digitali disseminati su vari server, ai quali ogni utente ha facilmente accesso. Un esempio di “nuvola tecnologica” è la discoteca-libreria digitale iTunes della Apple. Le applicazioni proliferano all’infinito e così le opportunità di guadagno per chi sa sfruttare queste piattaforme, tenuto conto che si vendono ormai 450 milioni di smartphone all’anno.

Un’altra novità è l’ingresso in campo di nuovi investitori: al tradizionale venture capital (22 miliardi di investimenti l’anno scorso) e agli “angeli” che accudiscono gli incubatori di nuove imprese (20 miliardi l’anno) si affiancano hedge fund, private equity, e anche le grandi banche di Wall Street come Goldman sachs e JP Morgan. Infine a differenza dal 2000 il gioco stavolta è diventato planetario. Alcuni dei più spettacolari collocamenti di Borsa hanno avuto per protagoniste delle aziende Internet cinesi, come il sito sociale Renren. La Cina sfiora ormai il mezzo miliardo di utenti Internet e salirà a 700 milioni entro cinque anni. Il commercio online cinese è destinato a quadruplicare, dai 70 miliardi di dollari attuali a 300 miliardi.

Ma è proprio dalla Borsa di Shanghai che è arrivato un segnale allarmante: dopo un collocamento strepitoso, il sito Renren ha già perso 20% del suo valore in Borsa. A Wall Street, Goldman Sachs ha già venduto la sua quota in Linkedin e incassato la plusvalenza. Si rischia forse di assistere a un fenomeno simile al boom delle materie prime: la punta massima è già dietro le spalle, un grande investitore come George Soros è “uscito” dall’oro con lauti profitti e ora sta alla larga dal metallo giallo. Proprio mentre tanti piccoli risparmiatori saltano sul carro, forse all’ultima curva?

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