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Berlusconi teme di essere spazzato via: “E’ in atto un altro cambio di regime per via giudiziaria”

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Per una volta che i pm non azzannano lui, ma mettono sulla graticola amici incrollabili come Letta, personaggi devoti come Verdini, e tutto un certo mondo di cui si è servito, da cui si è fatto servire, ecco Berlusconi tirar fuori un tratto nuovo del suo carattere, tra il cinico e lo zen.

La tarda metamorfosi dell’uomo lo porta (secondo testimoni degni di fede) non a reagire con ira, ma quasi a girare le spalle. «Riparte da Napoli l’assalto dei magistrati? Puntano a coinvolgere Gianni? Bah… tante volte ci hanno già provato, finirà allo stesso modo», pare sia stata la prima reazione. Quasi distratta.

A notte Letta medesimo e il capogruppo Cicchitto ragguagliano Berlusconi. Più che dalle indagini sulla P4, più che dall’arresto di quel Bisignani che aveva una stanza a Palazzo Chigi, che addirittura gli fece far pace con la Santanchè (pentendosene molto, a quanto pare), la mente del Cavaliere in questo momento è ossessionata dai «suoi» processi, in special modo dai 750 milioni di euro che rischia di risarcire a De Benedetti: come se Paperone dovesse consegnare il Deposito all’odiato Rockerduck.

In Sant’Ambrogio, tra le lacrime per l’ultimo saluto a Comincioli, vecchio compagno di scuola, Silvio commiserava ieri mattina la propria sorte: non saprebbe dove prendere tutti quei soldi se arrivasse la condanna tempo due settimane. «Vive un momento particolare, non ha la lucidità di sempre», qualcuno della vecchia guardia prova a giustificarlo. Altri azzardano un paragone terribile: «Siamo nella stessa condizione del Vaticano quando moriva un Papa, e usciva il francobollo della serie “Sede Vacante”…».

Con Berlusconi «assente», l’inchiesta di Woodcock viene vissuta nel Pdl come un salto di qualità nella lunga lotta tra centrodestra e procure. L’intero gruppo dirigente, senza eccezioni, ritiene che siamo alla resa dei conti. I pm (è la tesi collettiva) puntano a una crisi non solo di governo ma di regime, dell’intero sistema di potere berlusconiano che ha impregnato di sé l’ultimo ventennio. Mirano a destrutturarne il blocco politico (che effetto avrà domenica su Pontida questa nuova raffigurazione di Roma «capitale infetta», con il cuore dell’infezione proprio a Palazzo Chigi? Come reagirà la base della Lega?).

I pm puntano, secondo la resistenza berlusconiana, a scompaginare il personale politico ancora fedele al Capo. Gianni Letta è rimasto l’unico, nella Sede Vacante, a sbrigare gli affari correnti, a fornire l’illusione di una continuità amministrativa ispirata a decoro. L’altro giorno ha voluto incontrare il presidente della federazione internazionale di pallavolo, Jizhong Wei, tenendo in anticamera una folla di ministri, da Calderoli alla Prestigiacomo, e tutto per consegnare all’ospite cinese un’alta onorificenza tricolore. Il galateo, le forme: venisse meno Letta, resterebbe il deserto.

Di tutto ciò si parlava ieri, nei conciliaboli di via dell’Umiltà. Del «tempismo assoluto», secondo Cicchitto, con cui le inchieste sono ripartite «tutte insieme dopo lo scossone politico». E dell’indagine a carico del governatore siciliano Lombardo avocata invece dal procuratore di Catania, «due pesi politici e due misure» secondo i pasdaran berlusconiani.

E dell’altro arresto di ieri, quello a Torino dell’assessore Ferrero, vissuto nel giro del premier come un classico esempio di politica «commissariata dai giudici». Osvaldo Napoli teorizza: «Quando la politica diventa debole, le procure colmano il vuoto». Quagliariello, che tra le menti berlusconiane è la più capace di suggestioni, scorge «segni evidenti di ritorno al ’92», alla crisi della Prima Repubblica crollata sotto i colpi di Tangentopoli. Perché oggi, proprio come allora, sono protagonisti Di Pietro e le toghe».

Ma sotto sotto tutti quanti ammettono, sotto voce: ce la siamo andata un po’ a cercare. Perché la campagna forsennata a Milano contro i giudici «brigatisti» ha trasformato il voto nel trionfo della Boccassini; perché a Napoli il «partito dei giudici» ha imposto non solo De Magistris come sindaco, ma pure il pm che inquisì Cosentino come assessore; perché il referendum sul legittimo impedimento mette di fatto la pietra tombale su qualunque futura legge «ad personam». Prima a farne le spese sarà la cosiddetta «prescrizione breve». «Berlusconi può scordarsela», dice chi ha svolto gli opportuni sondaggi sul Colle, «Napolitano non gliela firmerà mai».

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Il premier teme l’assedio: “Lo sapevo, ha vinto il Sì e ora i pm ci massacrano”

di Liana Milella

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ROMA — Raccontano gli uomini di Berlusconi che lui, il capo, l’aveva previsto e negli ultimi giorni lo andava dicendo a tutti: «Se col referendum viene giù il legittimo impedimento, le procure non avranno più freni. Ci massacreranno». Ha sempre fiuto, il Cavaliere. Aveva azzeccato la previsione. Su Napoli in particolare, per via di Woodcock, era preoccupato. Anche questo aveva confidato a più d’uno: «Vedrete che da lì ci arriveranno dei dolori».

In effetti l’affondo investigativo su palazzo Chigi giunge a colpire il secondo piano, quello dove c’è l’ufficio di Gianni Letta. Dove, in un corridoio riservato che s’affaccia su via dell’Impresa e guarda palazzo Montecitorio, i bene informati sono pronti a giurare che non solo sia stato visto assai spesso, ma abbia anche un ufficio il faccendiere Luigi Bisignani.

È questo il tassello che ieri ha fatto sbiancare le facce e creato il panico: «Se crolla anche Gianni qui abbiamo chiuso, è finita per tutti, stavolta ce ne andiamo veramente a casa». C’è l’incubo di un Bisignani che potrebbe pentirsi e parlare. A quel punto sarebbe la fine. La sindrome dell’accerchiamento giudiziario è fortissima. Si materializza come la nuova, grande paura.

La confida lo stesso Berlusconi a più d’uno degli interlocutori della giornata: «I pm ci stanno stringendo d’assedio, è una morsa, potrebbero finire per stritolarci. Si stanno vendicando delle nostre leggi contro di loro». Si ragiona su Napoli e si fa strada il sospetto, visto che a indagare è la Guardia di finanza, che uno zampino contro il premier potrebbe avercelo messo anche Tremonti. Per carità, è solo un’elucubrazione, ma rimbalza di bocca in bocca fino a materializzarsi all’esterno.

Com’è accaduto molte volte in questi anni, torna l’incubo del ’92, le inchieste che si propagano in tutta Italia e colpiscono un establishment fino ad abbatterlo. Dice uno dei consiglieri più influenti del premier. «Succede sempre così. Quando la politica s’indebolisce, le procure sono più forti e dilagano». Da un lato i berlusconiani fanno di conto, elencano i casi giudiziari già aperti. A Milano c’è quel che si sa su Berlusconi. Quattro processi. Il rischio di una condanna per corruzione. In più la sentenza civile sulla Mondadori ormai in arrivo, in cima alle angosce del premier. Nessuna leggina, pur ipotizzata, è riuscita a fermarla.

Per la prima volta, e il fascicolo finisce a Monza, s’indaga perfino sul Cavaliere per quanto ha detto sulle toghe, sul famoso «cancro da estirpare». L’ipotesi è vilipendio. Un caso citato soprattutto come la spia di una magistratura che si sente liberata da ogni vincolo ed è ormai partita all’attacco del governo. Poi Torino, pm al lavoro sulla Regione Piemonte, con l’ipotesi, che sconvolge letteralmente il Pdl, di provvedimenti presi solo per trarne un beneficio e un’utilità politica. «È un assedio», continua a ripetere Berlusconi. Il quale confida di temere altri passi dei magistrati per colpirlo.

Inchieste in giro per l’Italia che sarebbero rimaste congelate per via delle elezioni amministrative prima e dei referendum poi. Ma che adesso si rivelerebbero in sequenza. Contro lo stesso Cavaliere, ma non solo. Giusto mentre il Pdl affronta uno dei suoi momenti più difficili e c’è pure da indicare il nuovo ministro della Giustizia al posto di Angelino Alfano.

Tra le tante, c’è una conseguenza che il premier considera particolarmente grave. Il primo effetto. Quello di chiudere definitivamente la porta a qualsiasi legge sulla giustizia che riduca i margini della legalità. Nella squadra di Berlusconi si poteva cogliere ieri questa riflessione: «In un clima così Napolitano ci bloccherà qualsiasi norma, anche la migliore di esse. Pure la meno invasiva. Perché si dirà sempre che c’è un impatto troppo dannoso sui processi in corso».

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