Roma – Basta all’oligopolio delle agenzie di rating, le “Big Three”, come le chiama in un articolo il settimanale tedesco Der Spiegel. All’indomani dell’ennesima stangata di Moody’s, che ha colpito il Portogallo, scatenando nuove tensioni sul mercato dei titoli di stato europei – anche italiani, molte voci si alzano per puntare il dito contro i tre istituti.
Tra questi, lo stesso ministro delle Finanze tedesco Wolfang Schaeuble, che parla per l’appunto della necessità di “rompere l’oligopolio” di Moody’s, S&P e Fitch.
Ma in un suo articolo, der Spiegel esamina la questione da diversi punti di vista. E alla fine, nota che i politici stessi dovrebbero farsi un bell’esame di coscienza. Già: perchè alla fine sono stati loro a dare tutto questo potere alle agenzie di valutazione.
Der Spiegel scrive che le “Big Three possono determinare il fato di interi paesi, decidendo se essi abbiano meriti creditizi o meno. Ora, il Portogallo è sotto pressione dopo che Moody’s ha rivisto al ribasso la valutazione sul debito al livello spazzatura”. Tuttavia, se è vero che gli europei vogliono creare un’alternativa, è anche vero che “sono stati loro stessi a dare così tanto potere alle agenzie, prima di tutto”.
La rivista affronta la questione in un articolo firmato da David Bocking e dal titolo più che eloquente: “Europe Seeks to Free Itself from Rating Agencies’ Grip”, ovvero “L’Europa cerca di liberarsi dalla presa delle agenzie di rating”.
La questione è, si domanda però Der Spiegel: “perchè i politici e gli investitori europei sono ancora così dipendenti dalle opinioni di queste tre società newyorkesi? Dopo tutto, le Big Three sono state oggetto di grandi critiche a seguito della crisi finanziaria esplosa nel 2007-2008, visto che avevano attribuito valutazioni al top a prodotti finanziari dotati di un elevato grado di rischio”.
E continuando: “è da allora che i politici hanno chiesto ripetutamente che venissero adottate misure per ridurre il potere delle agenzie. Tanto che non si può non considerare quanto detto di recente dal cancelliere tedesco Angela Merkel: “Riguardo al problema delle agenzie di rating, ritengo che sia importante che noi non permettiamo ad altri di portar via la nostra capacità di emettere giudizi”.
Ma in generale, “la retorica dei politici (europei) ha prodotto pochi risultati visibili”, puntualizza la rivista. Detto questo, “il punto è che “nessuno riesce a spiegare perchè molti paesi europei abbiano rating sui debiti peggiori degli Stati Uniti, che sono indebitati in modo molto forte”, si lamenta Sven Giegold, portavoce finanziario del Green Party del Parlamento europeo.
Der Spiegel continua a ribadire che in parte la colpa è proprio dei politici. “Dopo tutto – scrive la rivista – le agenzie di rating non hanno costretto nessuno a interpretare i loro giudizi come se fossero il Vangelo. Stanno facendo semplicemente il loro lavoro”. E nonostante questo, diversi riferimenti alle agenzie di rating sono stati inclusi in molte leggi, comprese le stesse direttive sulle linee guida contenute nella norma Basilea II precedente a quella attuale. “I politici hanno conferito il potere alle agenzie di rating” mettendolo nero su bianco attraverso le leggi, ha continuato Giegold.
Ci sono poi anche ragioni pratiche. Le “Big Three” si occupano di esprimere giudizi su quasi il 95% del mercato e i loro sistemi di rating sono gli stessi da decenni”, al punto che, come sottolinea l’esperto legale Brigitte Haar, affidarsi a eventuali nuove agenzie è una mossa che non piacerebbe molto alla comunità degli investitori.
Infine, gli europei si lamentano molto ma loro stessi, in Europa, non riescono ad andare oltre le parole. Ora la questione da risolvere, per veder nascere una agenzia di valutazione made in Europe, è la seguente: come fare per garantire la sua indipendenza? Ebbene, al momento non è neanche chiaro chi dovrebbe garantire l’indipendenza di questo fantomatico istituto.
Leggere l’articolo di Der Spiegel qui.
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(ASCA) – Roma, 6 lug – ”Mi chiedo a volte perche’ non si discuta un po’ piu’ a fondo sull’impatto che possono avere i giudizi delle agenzie di rating, soprattutto nella valutazione del merito di credito dei debiti sovrani. Coinvolgendo tutte le banche di quei Paesi, per internazionali che siano, per forti o deboli che siano”. Queste le parole di Federico Ghizzoni, da dieci mesi sulla poltrona di comando di Unicredit come amministratore delegato, che in un’intervista pubblicata sul numero di Panorama in edicola da giovedi’ 7 luglio, affronta il tema della speculazione che sta investendo i titoli bancari italiani.
Chi e’ l’incendiario della crisi? ”Non lo sappiamo ancora, si possono fare mille congetture ma non e’ ancora stato chiarito, e sarebbe ora di farlo” precisa il capo di Unicredit. ”Le banche italiane la crisi l’hanno subito, non generata. Certo, abbiamo avuto qualche grave defaillance sul fronte della trasparenza: i casi Cirio, Parmalat, bond argentini. Ma proprio la crisi ha dimostrato che le nostre strutture erano sane. La crisi e’ nata negli Stati Uniti, perche’ sono scattati dei meccanismi patologici tutt’altro che debellati: ha ragione Giulio Tremonti, il valore nozionale dei derivati e’ tornato su livelli piu’ alti di quelli pre-crisi, e in alcuni Paesi la lontananza tra l’economia reale e la finanza e’ siderale.
Per questo occorrerebbe ri-regolamentare tutta la finanza bancaria per tenerla piu’ strettamente legata all’economia reale”. Sulla sentenza Cirio, dove il 5 luglio e’ emersa in tribunale la necessita’ di un risarcimento da 200 milioni da parte dell’Unicredit, Ghizzoni precisa: ”A proposito della provvisionale, cioe’ degli effetti civili della sentenza, non veniamo colti impreparati anche se l’entita’ ci pare sproporzionata. Ora aspettiamo serenamente l’esito del lungo iter giudiziario, posto che la provvisionale sara’ sicuramente oggetto di una nostra impugnativa sotto molteplici profili”.
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Parlando a Strasburgo, Barroso ha espresso “profondo rammarico per la decisione di un ‘agenzia di rating sul debito sovrano del Portogallo”, senza nominare esplicitamente Moody’s, e ha ricordato che il programma di consolidamento finanziario del nuovo governo di Lisbona “è stato sostenuto da tutti gli Stati membri” dell’Eurozona, e che la sua atuazione sarà valutata su base trimestrale dalla Trojka Bce-Commissione-Fmi.
“La decisione di ieri non fornisce più chiarezza ma aggiunge, semmai, un elemento di confusione”, ha osservato il presidente della Commissione, e ha poi sottolineato: “Con tutto il rispetto per le agenzie di rating, le nostre istituzioni conoscono meglio di loro il Portogallo, la loro analisi economica è più raffinata e più completa; non è il caso di farsi distrarre o demotivare”, rispetto all’attuazione del programma sui cui si è impengato il governo di Lisbona. Da Bruxelles contemporaneamente, Altafaj e un altro portavoce della Commissione, Olivier Bailly, hanno sottolineato come le agenzie di rating, al contrario dell’Esecutivo Ue, della Banca centrale europea e dell’Fmi, non siano responsabili di fronte al pubblico e rispondano a interessi privati.
Le tre “istitutuzioni internazionali indipendenti”, che concordano i programmi di consolidamento dei paesi in crisi finanziaria (Portogallo, Grecia e Irlanda) “rispondono al pubblico in modo trasparente, con l’emissione di rapporti trimestrali e si spiegano davanti al Parlamento europeo o davanti alla stampa internazionale; le agenzie di rating agiscono invece per interessi privati e non sono responsabili davanti al pubblico: c’è una differenza chiarissima”, ha affermato Altafaj, sottolineando come le missioni della ‘Trojka’ abbiano la migliore conoscenza ed esperienza e forniscano le analisi “più accurate, esaustive, oggettive e regolari” della situazione dei paesi interessati. Gli esperti della ‘Trojka’, ha ricordato ancora, “vanno sul terreno ogni tre mesi, ci restano diversi giorni, pe valutare la piena attuazione dei programmi, che riflette la condizionalità degli aiuti concessi”.
La decisione sul Portogallo, poi, è “particolarmente malvenuta”, con un timing “estremamente infelice” e “discutibile”, ha scandito il portavoce di Rehn, dopo aver osservato che che solitamente non commenta le decisioni degli attori di mercato, ma che questo è un caso “particolarmente flagrante”. Perché “il governo portoghese ha appena cominciato ad attuare il suo programma, che verrà sottoposto alla prima revisione da parte della Trojka solo alla fine di agosto, ma intanto ha anche annunciato, la settimana corsa, delle misure aggiuntive, per creare un ‘cuscinetto’ nel caso in cui si dovesse registrare una crescita minore del previsto. Dovremmo almento lasciargli una ‘chance'”.
Altafaj ha poi sostenuto di non credere che il declassamento di Moody’s comprometterà l’attuazione del programma portoghese: “Il governo – ha detto – deve prevalere con i suoi sforzi per attuare pienamente il programma di consolidamento. So che la volontà politica non è uno dei parametri usati dalle agenzie di rating, ma è un fattore che ha una sua importanza nella storia dell’Ue e nell’integrazione europea”. E a un cronista che chiedeva se pensi che vi sia una strategia precisa, con degli interventi ‘a orologeria’ da parte delle agenzie di rating, il portavoce ha risposto di “non avere elementi che lo provino”, ma ha ricordato che il commissario europeo al Mercato interno, Michel Barnier, “sta lavorando a un nuovo regolamento per determinare quali misure prendere per garantire la trasparenza dele valutazioni e per impedire situazioni di conflitti d’interesse”.
Per Olivier Bailly, portavoce della Commissione per tutto il settore economico “in termini di comparabilità, bisogna guardare a ciò che fanno le tre istituzioni per gli interessi dell’economia della Grecia, del Portogallo, dell’Irlanda e dei loro cittadini, e alla loro trasparenza: le agenzie di rating – ha osservato – non vanno sul terreno regolarmente, non pubblicano rapporti trimestrali. In termini di comparazione storica – ha ricordato – guardate alla valutazione che le agenzie di rating davano prima della crisi a istituti finanziari come la Lehman Brothers”. Insomma, “sono i messaggi che hanno lanciato che hanno creato molti dubbi sui mercati”, ha sottolineato Bailly, secono il qual “in termini di credibilità, bisogna dare fiducia alle istituzioni internazionali che difendono gli interessi dei paesi” e non quelli dei privati.