Società

Tremonti getta la spugna? Berlusconi pensa al rimpasto, forse arriva Monti

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ROMA – Nella corsa contro il tempo per il varo della manovra economica, atteso fra venerdì e sabato, si inseriscono i malumori del ministro dell’Economia Giulio Tremonti, sempre più isolato e provato fisicamente dallo scontro interno al Pdl. Secondo quanto riportato dal quotidiano ‘La Repubblica’, il ministro avrebbe lanciato ieri un ultimatum ai colleghi di partito: o entro sei mesi si dà il via ad piano di liberalizzazioni e privatizzazioni per rilanciare il Pil, come chiede l’Ue, oppure vi dovete trovare un altro ministro dell’Economia.

Un concetto chiaro, scandito da un ministro insonne da due giorni e schiacciato fra le richieste dell’Ue ed il governo, secondo il quotidiano. L’eventualità delle dimissioni di Tremonti non troverebbe però il premier Silvio Berlusconi impreparato. Secondo la Repubblica, il presidente del Consiglio avrebbe preso i primi contatti con l’ex commissario Ue, Mario Monti, che avrebbe dato la propria disponibilità.

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Governo al rimpasto. L’idea del Cavaliere

Il presidente del Consiglio vuole rafforzare l’esecutivo: il mio orizzonte era e resta il 2013.

di Francesco Verderami

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Non basta porre al riparo l’economia italiana perché il governo possa sentirsi al riparo da un logoramento già in atto. Perciò, dopo la manovra sui conti pubblici, Berlusconi dovrà procedere alle manovre per il riassetto dell’esecutivo.

All’emergenza dei mercati si affianca infatti l’emergenza di una compagine ministeriale da ristrutturare, se davvero il centrodestra vuole completare la legislatura senza inciampi, senza essere cioè costretto a passare la mano. L’idea è che il Cavaliere attenda l’autunno per un rimpasto, così da realizzare il suo obiettivo, siccome ripete sempre che «il mio orizzonte era e resta il 2013». E tuttavia già lo attende una prova che si è resa inevitabile dopo l’elezione di Alfano alla segreteria del Pdl: la nomina di un nuovo Guardasigilli. A Mirabello, venerdì scorso, il ministro della Giustizia aveva annunciato che si sarebbe dimesso entro questa settimana. Così sarà: con ogni probabilità venerdì prossimo lascerà l’incarico per dedicarsi esclusivamente al partito.

A Berlusconi serve un sostituto, quindi, e serve subito. Ma soprattutto gli serve un nome su cui poter incrociare il gradimento del capo dello Stato, che – guarda caso – ha accorciato la visita programmata in Croazia. Venerdì, invece di recarsi a Pola, Napolitano tornerà infatti a Roma «per impegni riconducibili alla manovra e alla complessiva situazione che ne deriva». Il lessico quirinalizio lascia intuire che il presidente della Repubblica rientrerà in Italia non solo per la firma del decreto economico.

E chissà se il capo dello Stato, sull’aereo che lo riporterà nella Capitale, siederà accanto a chi di lì a poco sarà il prossimo Guardasigilli. Chissà se chi lo avrà accompagnato nel viaggio cambierà nel giro di poche ore incarico: l’attuale ministro degli Esteri. È su Frattini che le voci si sono fatte insistenti, è lui il più accreditato e probabile successore di Alfano alla Giustizia. Dopo un mese la rosa dei nomi ha perso (quasi) tutti i petali: constatata l’indisponibilità di Cicchitto a lasciare la guida del gruppo Pdl alla Camera, messa agli atti la volontà di Lupi di restare alla vice presidenza di Montecitorio, si è tornati su Frattini, che pure era stato in precedenza contattato e aveva declinato l’offerta. Ora però Berlusconi sarebbe tornato a premere, chiedendo «un sacrificio» al titolare della Farnesina, che si trincera dietro un «no comment».

Se così fosse, risolto il problema del Guardasigilli si porrebbe però subito il problema del sostituto di Frattini. E qui si entra nel campo delle ipotesi, siccome le variabili sono numerose. Non c’è dubbio che Berlusconi avrebbe un po’ di tempo per trovare un nome gradito al Colle. Al contrario della Giustizia, infatti, il premier potrebbe assumere l’interim della Farnesina. A meno che le voci di Palazzo non trovino poi clamorosa conferma, e davvero Tremonti lasci il dicastero dell’Economia appena il Parlamento avrà dato via libera alla manovra. Da giorni se ne parla nei pissi pissi del Transatlantico, anche se l’inquilino di via XX settembre aveva smentito proprio al Corriere l’intenzione di dimettersi.

È vero che nell’ultima settimana le cose sono precipitate, che nel frattempo i contrasti con il Cavaliere hanno toccato l’acme, che le vicende giudiziarie legate al «caso Milanese» – come testimoniavano ieri quanti lo hanno incontrato – lo hanno provato, e che le speculazioni finanziarie hanno intaccato l’immagine di chi era considerato uno «scudo» per l’Italia sui mercati. Ma se così fosse, se davvero Tremonti si dimettesse, accetterebbe poi di trasferirsi alla Farnesina?

È certo che «il rapporto fiduciario con Berlusconi si è rotto»: i ministri più vicini al Cavaliere non ne fanno più mistero. Così com’è vero che il premier in queste settimane ha svolto un sondaggio a Bruxelles per verificare l’impatto nell’Unione di un cambio della guardia all’Economia. Fonti qualificate del governo raccontano che nel colloquio avuto con il capo dell’eurogruppo Juncker, Berlusconi abbia affrontato l’argomento, parlandone come di una «ipotesi», e abbia accennato a un «autorevolissimo economista» come possibile sostituto di Tremonti. Ma senza fare nomi.

Un simile cambio della guardia, però, non potrebbe essere derubricato a semplice rimpasto, si tratterebbe infatti di una autentica rifondazione dell’esecutivo, che avrebbe bisogno di un nuovo battesimo parlamentare: si tratterebbe di un Berlusconi-bis. E il Cavaliere non sembra avere oggi la forza per procedere a un’operazione del genere, nonostante circolino voci sulla sua volontà di «valorizzare» alcuni ministri, come Sacconi, e di spostarne altri, come Brunetta. Senza dimenticare che resta da assegnare l’incarico delle Politiche comunitarie, lasciata vacante da Ronchi.

Insomma, dopo aver portato a casa la manovra economica, servirà del tempo al premier per prepararsi politicamente alle manovre di governo. Perciò, nell’eventualità, l’appuntamento è spostato per l’autunno, quando anche le inchieste giudiziarie potrebbero avere un ruolo nelle scelte. Ma nella Lega c’è chi – come Maroni – ritiene che il rilancio non possa limitarsi a un valzer delle poltrone, bensì passi attraverso l’azione di governo. Iniziando ad esempio dall’approvazione della legge delega per la riforma del fisco già prima della pausa estiva, come Bossi ha chiesto a Pontida.

L’autunno sarà caldo per il Cavaliere, malgrado anche stavolta abbia passato indenne l’«ora x» che prevedeva in prossimità della manovra economica una manovra di Palazzo per disarcionarlo: a parte i nomi dei possibili successori, mancano i numeri e le condizioni politiche in Parlamento. Perciò anche ieri il premier si è fatto forte, ribadendo la compattezza e la coesione della sua maggioranza. È stata la risposta a chi voleva spodestarlo. Ma senza un rilancio dell’esecutivo, Berlusconi rischia di trasformarsi in Pirro.

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