Milano – Non c’è lifting che tenga, sono tanti gli amministratori delle principali società di Piazza Affari a essere agé. La palma d’oro va alla Rcs, seguita a stretto giro da Exor, la holding che controlla Fiat, dove pure il giovane presidente John Elkann abbassa la media. Ma per scovare il più anziano consigliere di amministrazione di Borsa italiana, l’ottantanovenne Antonio Zunino, bisogna passare alla lente i documenti societari della Mediolanum di Ennio Doris e Silvio Berlusconi. Invece il CdA con l’età media più alta è quello del gruppo bancario Ubi che conta la più forte concentrazione di ultrasettantenni della Piazza milanese.
Del resto, Rcs a parte, sono le banche e le assicurazioni a detenere il primato italiano della gerontocrazia grazie a un totale di 47 consiglieri over 75.
Non è un caso, allora, che sia stato proprio un istituto di credito, Mediobanca, a varare per prima, la settimana scorsa, un nuovo regolamento interno che fissa i limiti d’età per i suoi amministratori. D’ora in poi i componenti del board della banca che fu di Enrico Cuccia non potranno avere più di 75 anni, 70 per i presidenti e 65 per gli amministratori delegati.
Naturale che la mossa abbia sollevato interrogativi e sospetti sulla piazza finanziaria italiana, dove molti sono in attesa di capire quale sia il vero obiettivo della scelta. Oltre ovviamente a chiedersi se l’esempio verrà seguito. E c’è poi chi non esclude che Mediobanca cercherà di imporre questo modello anche nel consiglio delle società in cui detiene partecipazione strategiche, come Telecom o Generali.
Una mossa che sarebbe molto popolare in un Paese dove negli ultimi otto anni il peso dei giovani imprenditori sul totale è passato dall’8,1 al 6,3 per cento e quello degli ultrasettantenni è lievitato dall’8,5 al 9,2 per cento. E questo mentre in Italia, dal 2008 a oggi, sono svaniti 570 mila posti di lavoro e la disoccupazione giovanile è alle stelle.
A ben guardare, però, Telecom è già allineata ai paletti fissati in casa Mediobanca e poco manca a Generali, che in un consiglio di 18 membri conta solo due eccezioni: il presidente onorario Antoine Bernheim (87 anni) che sta già preparando i bagagli in Mediobanca, dov’è consigliere, e l’avvocato di fiducia di Intesa, Alessandro Pedersoli, classe 1929. Insomma, l’unica a dare davvero nell’occhio nel portafoglio d’oro del salotto buono è Rcs, la società che pubblica tra l’altro Il Corriere della Sera. Sono molti i consiglieri over 75 anche negli altri gruppi editoriali quotati in Borsa, da Caltagirone a Class passando per Mediaset e Mondadori.
Qualche novità in fatto di amministratori potrebbe arrivare dalla casa editrice de Il Corriere, che ha appena varato un riassetto delle partecipazioni e ha un cda in scadenza. La proposta di un eventuale ricambio generazionale potrebbe avere l’appoggio di Diego Della Valle, che l’inverno scorso lanciò una sua personale campagna contro quelli che definì gli “arzilli vecchietti”, che, a suo dire, gestivano di fatto il quotidiano. Uscito di scena Cesare Geronzi in Generali, non rimarrebbe che Giovanni Bazoli, che però siede nel consiglio della controllata Quotidiani destinata a scomparire con il riassetto del gruppo. Nel caso, quindi, ci si dovrebbe accontentare del presidente di Rcs Piergaetano Marchetti (72 anni), dell’ad Antonello Perricone (64) e di una manciata di consiglieri tra i 74 e gli 88 anni, per un totale di 9 poltrone su 22, incluso il presidente onorario Cesare Romiti, classe 1923.
C’è da vedere, però, cosa ne penserebbe un altro grande socio, l’ottantenne Giampiero Pesenti, che nella sua Italcementi oltre a sé conta 7 consiglieri tra i 74 e gli 80 anni. Per tacere di Bazoli, classe 1932, che in Intesa Sanpaolo presiede un consiglio di sorveglianza dove 4 consiglieri su 19 lui incluso sono ultrasettantacinquenni, rapporto che si replica invariato nella finanziaria bresciana Mittel, solo che qui gli amministratori sono 5 su 11, senza contare il “senato” di Ubi, la banca dove però Bazoli è solo uno dei 9 consiglieri di sorveglianza (su 23) con le caratteristiche che a Mediobanca basterebbero per pensionarli. Ma non c’è bisogno di guardare i casi estremi per notare i paradossi che potrebbero emergere applicando a tutta la Borsa Italiana i limiti di età introdotti da Piazzetta Cuccia.
Limiti tutto sommato neppure troppo duri, se si pensa che in altri Paesi come Francia e Usa i manager sono soliti ritirarsi di tra i 60 e i 65 anni. Non così da noi, dove un tetto blando come quello introdotto da Mediobanca farebbe saltare oltre 40 tra amministratori delegati e presidenti. A partire dal numero uno di Finmeccanica, Pierfrancesco Guarguaglini. Stessa sorte per il suo braccio operativo Giuseppe Orsi.
Finirebbero poi decapitate banche grandi e piccine, dal Creberg che potrebbe pensionare il settantaseienne Cesare Zonca che la presiede dal 1992, al travagliato Banco Popolare che perderebbe il numero uno Pierfrancesco Saviotti. Via anche gli azionisti e i loro fedelissimi, a partire da Doris in Mediolanum, passando per Confalonieri e Adreani in Mediaset, Carlo De Benedetti all’Epresso, Leonardo Del Vecchio alla Luxottica. Decadenza immediata anche per gli ultimi arrivati, come il quasi ottantenne presidente di Parmalat, Franco Tatò.
Numeri alla mano, perderebbero i requisiti minimi quasi 160 consiglieri di amministrazione di 57 società quotate. Tutta gente che, secondo di Assonime, lo scorso anno ha percepito in media 219 mila euro, cifra che sale a quota 672 mila euro per gli amministratori delegati e a 555 mila euro per i presidenti.
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