La giornata di ieri, campale per le Borse di tutto il mondo, Milano compresa, ha comunque portato una boccata di ossigeno sul fronte dei bond nostrani. Rendimenti e spread nei confronti dei Bund tedeschi si sono ridimensionati per i titoli di Stato più a rischio negli ultimi tempi in Europa, gli spagnoli e soprattutto quelli italiani. Hanno funzionato da una parte gli acquisti di Btp e Bonos da parte della Bce, varati, dopo aver vinto tante reticenze, da Francoforte. Non solo: la promessa di nuovi piani di austerità di Roma e di Madrid hanno rassicurato per il momento i mercati.
Tutto questo continuerà? I buoni di Stato spagnoli e italiani manterranno rendimenti e spread accettabili? E così Madrid e Roma potranno contare su un debito “sostenibile”? Vedremo. Ormai da questo punto di vista si naviga semplicemente a vista. Non è detto che gli acquisti di bond da parte della Bce e le nuove restrizioni sul budget dei Paesi nel mirino degli speculatori siano sufficienti ad arginare la debacle (dipende anche da quanti titoli la Banca centrale europea deciderà di comprare e fino a quando). In alternativa, che fare?
1° soluzione, raffozare l’Efsf. Si tratta del Fondo europeo di salvataggio. Che già ha operato a favore della Grecia. Al vertice europeo dello scorso 21 luglio si è deciso che l’Efsf potrà intervenire sul mercato secondario, dove si possono acquisire i titoli di Stato. L’accordo raggiunto, però, prevede che interventi di questo tipo restino eccezionali e che avvengano solo su raccomandazione della Bce.
Non solo: il sistema sarà operativo soltanto dopo che il Parlamento di ogni Paese della zona euro avrà dato il suo via libera. Ora, invece, nel contesto attuale, ci si potrebbe trovare nella necessità di dover agire al più presto. O meglio subito. Se i dirigenti europei decidessero di accrescere la dotazione del fondo (attualmente limitata a 440 miliardi di euro) e di accelerare in ogni modo il suo debutto sul mercato secondario, Italia e Spagna, qualora fossero di nuovo in difficoltà, potrebbero essere subito sostenuti.
José Manel Barroso, presidente della Commissione europea, sta spingendo in questo senso. E incontri segreti si sarebbero tenuti in questi giorni fra i rappresentanti degli Stati della zona euro per portare il fondo fino a mille miliardi. Francia e Germania erano molto dubbiose su tale evenienza. Ma nel comunicato congiunto di Nicolas Sarkozy e Angela Merkel di domenica si è ricordato espressamente che l’Efsf “sarà rafforzato”. La strada sembra spianata.
2° soluzione, varare eurobond. Ossia emettere buoni del debito dell’Eurozona nel suo insieme, senza distinzioni tra Paesi, con tassi uniformi e una “mutualizzazione” dei rischi. In soldoni, Stati come la Germania dovrebbero pagare più caro per aiutarne altri più deboli e a rischio come la Grecia o anche l’Italia. Nei giorni scorsi il commissario europeo per gli Affari economici e monetari Olli Rehn ha promesso per settembre un rapporto sulla fattibilità di questo nuovo strumento. La solita Germania finora si è opposta. L’approccio, in effetti, può apparire ingiusto. Ma, come ha ricordato Cédrix Thellier, economista di Natixis, “se i tassi tedeschi sono così bassi, è anche perché gli investitori spaventati dall’Italia e dalla Spagna si riversano sui Bund tedeschi”. L’eurobond riporterebbe giustizia. Chissà che i tedeschi, i più scettici, non cambino rapidamente idea, messi alle strette dalla nuova crisi sui mercati.
3° soluzione, svalutare l’euro. Non è una novità: deprezzare la moneta nazionale è uno degli strumenti storicamente più utilizzati per frenare il sovraindebitamento di uno Stato. Lo ha fatto l’Italia ai tempi della lira. Lo hanno fatto altri, vedi l’Argentina del default, a cavallo tra la fine degli anni Novanta e il decennio successivo. In questo modo si favorisce l’aumento delle esportazioni e si possono attirare capitali stranieri. Si crea anche inflazione. Il problema è per il debito sottoscritto in divisa straniera, diversa da quella svalutata. La crescita dell’inflazione, inoltre, può avere effetti negativi sul potere d’acquisto. E in ogni caso non tutti i Paesi della zona euro hanno oggi lo stesso interesse, in funzione della composizione della loro economia nazionale a vedere svalutata la loro moneta. Tale mossa, per il momento, resta fondamentalmente un tabù.
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