New York – Il presidente Barack Obama ha chiamato l’ambasciatore saudita negli Stati Uniti per esprimere la propria “solidarietà” in seguito al complotto che ha portato all’accusa di due uomini di origine iraniana. Lo comunica la Casa Bianca. Secondo Obama il complotto era una “flagrante violazione della legge”. Ora gli Stati Uniti non escludono l’intervento militare.
“Sul tavolo ci sono tutte le opzioni, e non si puo’ escludere anche una risposta militare”, ha detto il presidente della Commissione parlamentare sulla Sicurezza interna degli Usa, Peter King, citato dalla Cnn.
Sventato un complotto che avrebbe dovuto portare a diversi attentati contro obiettivi israeliani e sauditi, tra cui l’uccisione dell’ambasciatore saudita nella capitale statunitense. Dietro al piano – secondo le autorità statunitensi – ci sarebbe il governo dell’Iran che avrebbe cercato contatti logistici con i narcotrafficanti messicani. Quanto basta per far salire alle stelle la tensione tra Washington e Teheran.
Mentre infatti le autorità iraniane negano e parlano di “accuse precostituite”, il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, attacca: le accuse verso l’Iran “sono fondate”. Tutto nasce da un’indagine dell’Fbi e del Dipartimento di giustizia americano, che ha portato ad accusare due uomini di origine iraniana di preparare una serie di attacchi, tra cui anche quelli alle ambasciate israeliana e saudita in Argentina.
A confermare l’esistenza di un complotto è stato il ministro della giustizia, Eric Holder, spiegando come uno dei due accusati abbia confessato. Mentre l’altro è ancora in libertà. Il presidente statunitense, Barack Obama – secondo quanto riporta la stampa americana – sarebbe stato messo immediatamente al corrente della situazione in giugno, quando il presunto complotto è stato scoperto. Secondo le prime ricostruzioni, gli investigatori sarebbero arrivati a scoprire l’esistenza del piano terroristico dopo aver incastrato Mansoor Ababsiar, cittadino americano di origini iraniane che si era messo in contatto con un investigatore statunitense, credendo fosse un uomo legato ai narcotrafficanti messicani.
Erano questi ultimi, infatti, che avrebbero dovuto portare a termine l’attentato contro l’ambasciatore saudita a Washington, dietro il compenso di 1,5 milioni di dollari. A questo fine sarebbero stati già versati al finto narcotrafficante quasi 50.000 dollari a titolo di acconto. Proprio in quel momento sarebbe scattata la trappola dell’Fbi, con l’arresto dell’iraniano che in carcere ha confessato. Anche se – fa sapere il suo legale – nel momento in cui sarà incriminato formalmente si dichiarerà non colpevole.
A Washington non nascondono la preoccupazione per un escalation che potrebbe peggiorare ancora di più i già tesissimi rapporti con Teheran. Ma anche per i legami emersi con la criminalità organizzata messicana. Questa volta – ha sottolineato la Clinton – l’Iran “ha passato il segno”, spiegando come il complotto creerà “una reazione internazionale che isolerà ancora di più il Paese”. “Stiamo contattando le varie capitali – ha aggiunto il segretario di Stato americano – per spiegare cosa è accaduto e per lavorare insieme contro quella che appare sempre più come una minaccia”.
L’Iran, invece, nega tutto. Uno dei più stretti collaboratori del presidente Ahmadinejad parla di “scenario precostituito per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica americana dai problemi interni agli Stati Uniti”. E a New York, il portavoce della missione dell’Iran presso le Nazioni Unite, parla di accuse “totalmente prive di ogni fondamento”.
Intanto, l’ambasciatore saudita negli Usa ringrazia: “E’ stato impedito un atto spregevole”, mentre da Gedda insieme ai ringraziamenti agli Usa arriva la minaccia contro Teheran di provvedimenti, tra cui il richiamo dell’ambasciatore