ROMA – L’unica certezza di Berlusconi è che «al Quirinale non c’è un capo dello Stato intento a ordire trappole». Tuttavia la fiducia che ancora gli accorda Napolitano è a tempo, e di tempo il Cavaliere non ne ha più.
Ah, se Napolitano avesse il coraggio di Pertini! Guarda
Indebolito dalle piazze finanziarie internazionali, accerchiato dalle manovre nei palazzi romani, e senza un accordo nel vertice d’emergenza convocato in serata, il premier ha trascorso la giornata meditando il varo di «misure choc» per salvare il Paese e il suo governo, entrambi a rischio default.
Non c’è dubbio che gli «interventi straordinari» sui quali sta ragionando «mi fanno venire l’orticaria solo a pronunciarli». Dalla patrimoniale al prelievo forzoso, da un piano di dismissioni doloroso fino a una lunga teoria di condoni, Berlusconi valuta i provvedimenti da porre come sacchetti di sabbia sull’argine del fiume che ha già iniziato a tracimare.
«Mi hanno detto di fare come Amato», spiega il Cavaliere, che evoca così un’altra stagione economica drammatica, quella del ’92, e le misure draconiane che vennero allora adottate per salvare la lira: guarda caso una patrimoniale sulla casa, un prelievo sui conti correnti e i depositi bancari, il blocco per un anno dei contratti del pubblico impiego e il blocco delle pensioni di anzianità. Tanto basta per far spuntare sul volto del premier una smorfia di disgusto mista a disappunto, perché ognuno di questi provvedimenti sarebbe «contrario ai miei capisaldi», al credo che ha divulgato per venti anni e che in parte ha già dovuto abbandonare con la manovra estiva.
Mentre i Btp continuano a cedere terreno sui listini, Berlusconi spiega alla Merkel che «farò quanto è necessario per difendere fino in fondo la credibilità dell’Italia», e con essa anche ciò che resta della sua credibilità nel consesso mondiale. Nel corso del colloquio il premier ribadisce che «il mio governo intende rispettare gli impegni», ma intanto si chiede e chiede «cosa posso fare più di quanto ho fatto». La risposta della cancelliera tedesca non si fa attendere, è un suggerimento che somiglia tanto a una perentoria richiesta: far validare intanto da un voto del Parlamento le linee guida del piano di risanamento presentato in Europa, una sorta di imprimatur preventivo in attesa dell’approvazione dei provvedimenti.
La piena ha superato ampiamente i livelli di guardia quando Berlusconi accenna a Napolitano le «misure choc», prospettate ancora come ipotesi, segno della confusione che regna nella maggioranza e che viene indirettamente confermata dall’assenza di Bossi al vertice serale di Palazzo Chigi. E se è vero che la conversazione con il presidente della Repubblica convince il premier che «al Quirinale non si ordiscono trappole», è altrettanto vero che il Colle è risoluto nel chiedere atti di governo che tolgano l’Italia dal mirino della speculazione finanziaria. Il punto però non è stabilire quale sia il mezzo con cui varare i provvedimenti, poco importa se si tratti di decreti e di emendamenti da inserire nella legge di Stabilità: il nodo è il contenuto.
Ed è su questo che scoppia l’ennesimo scontro tra Berlusconi e Tremonti, considerato dal premier non più solo un «problema politico», ma un «fattore» dell’attacco speculativo all’Italia per via dell’atteggiamento assunto in questa fase: «Se un ministro dell’Economia si mostra scettico sulle misure che vengono adottate, che segnale trasmette ai mercati»? L’accusa che Berlusconi rivolge all’inquilino di via XX settembre di «tradimento». Per tutta risposta anche ieri sera, al culmine dell’ennesimo alterco al vertice, Tremonti ha invitato il Cavaliere a fare «un passo indietro», in nome «dell’interesse nazionale», delle «aste dei titoli di Stato sul mercato».
Ma il premier non ha intenzione di dimettersi, e ieri mattina aveva studiato una road map per resistere a Palazzo Chigi. Sul fronte istituzionale era (e al momento resta) sua intenzione convocare un Consiglio dei ministri con cui varare una prima parte di misure da presentare già ai partner internazionali del G20. Epperò sarà difficile realizzare questa parte del piano, visto che ieri sera non era stato ancora raggiunto un accordo.
Sul fronte politico resta convocato l’Ufficio di presidenza del Pdl, pronto a chiedere – con un documento – che «tutte le decisioni in materia economica vengano accentrate a Palazzo Chigi». È un modo per mettere in mora Tremonti, e al tempo stesso per tenere saldo l’asse con la Lega, dato che «le misure – questo sarà scritto nella risoluzione del partito – dovranno essere coerenti con il piano preparato per l’Europa», quella sorta di programma di governo di fine legislatura firmato da Bossi, e che pertanto dovrebbe vincolare il Carroccio. Dovrebbe, visto che il Senatur con la sua assenza pare volersi tenere le mani libere. Ma non è questo il pericolo maggiore per Berlusconi, sono piuttosto le crepe nelle file parlamentari a destare allarme, l’ipotesi – fondata – che altri deputati lascino la maggioranza e lascino di conseguenza il governo senza fiducia a Montecitorio.
Per questo nella sua road map il Cavaliere ha previsto di presentarsi davanti alle Camere dopo il G20, non prima, come gli hanno chiesto ieri i leader del terzo polo. È evidente il motivo: il premier ha intuito il rischio dell’agguato e non intende andare al vertice di Cannes da «dimissionato». Dopo, invece, potrebbe farsi scudo dei provvedimenti per sfidare il Parlamento ad accettare il piano di risanamento «nell’interesse del Paese» o staccare la spina all’esecutivo. A quel punto – come spiegava in questi giorni il segretario del Pdl Alfano – «tutti dovranno sapere che dopo il governo Berlusconi non potrà esserci il governo dei congiurati, ma solo il voto anticipato».
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Crisi, ora B. pensa a patrimoniale, prelievo forzoso e dismissioni
Dopo il tracollo di piazza Affari, il presidente del Consiglio riflette su misure choc per rispondere all’Europa e a Napolitano. Il ministro dell’Economia Tremonti gli ha chiesto di lasciare. Al Cdm di oggi si discuterà di un pacchetto di misure choc per frenare la speculazione
Una serie di “interventi straordinari”: patrimoniale, prelievo forzoso su conti correnti e depositi, un doloroso piano di dismissioni. Ecco le “misure choc” a cui il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi starebbe pensando per porre un freno alla crisi economica che ha investito in pieno l’Italia. Misure da inserire in un maxiemendamento, un decreto legge e un disegno di legge. Tre strumenti messi in campo dal governo per varare il primo pacchetto di misure anticrisi concordato con l’Unione europea all’ultimo vertice del 26 ottobre. Un pacchetto sul quale ci sarebbero state, secondo quanto riferito da alcuni partecipanti al vertice interministeriale presieduto da Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi ieri sera, posizioni contrastanti tra alcuni ministri. Non è esclusa neppure la strada del decreto da approvare di corsa nel consiglio dei ministri di oggi, in modo da poter portare un provvedimento concreto al vertice G20 di Cannes.
Il presidente del Consiglio avrebbe spinto sulla necessità di inserire misure d’urgenza in un decreto proprio per rafforzare la volontà politica del governo di andare immediatamente al nocciolo del problema con misure ‘immediate’, così come chiesto da Bruxelles ma anche dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Un decreto che accompagnerebbe il maxiemendamento alla Legge di stabilità – che sarà votata il 15 novembre al Senato e il 20 alla Camera – e un altro disegno di legge che, dopo la terapia d’urto del dl, consentirebbero l’introduzione progressiva e diluita nel tempo di tutti gli altri provvedimenti anticrisi.
Ma a questa ‘scaletta’ si sarebbe opposto il ministro dell’Economia Giulio Tremonti sostenendo l’unica opzione del maxiemendamento con voto secco in Parlamento: senza altri provvedimenti che, a suo avviso, accenderebbero gli appetiti da assalto alla diligenza facendo diventare delle misure nate per il contenimento della spesa delle misure di spesa aggiuntiva. La discussione sarebbe proseguita anche nel vertice ristretto tra Berlusconi, Tremonti ed il ministro leghista Roberto Calderoli, senza modificare sostanzialmente le posizioni in campo. Anzi, con il premier che, secondo voci circolate in ambienti della maggioranza, ma smentite questa mattina dal portavoce di Tremonti – “La ricostruzione dell’incontro di ieri sera a palazzo Chigi e la posizione che avrebbe assunto il ministro dell’Economia Giulio Tremonti non rispecchiano quanto avvenuto realmente e quindi sono false” – avrebbe addirittura minacciato di salire al Quirinale per dimettersi. Alla fine si è deciso di rinviare qualsiasi decisione a un nuovo vertice previsto per stamane.
“Le misure proposte nella lettera all’Ue non so se si faranno con maxiemendamento o decreto”, afferma il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi. “Vediamo le forme, quello che conta è che siano provvedimenti veloci e che siano rapidamente approvati. Vorremmo un dialogo con le parti sociali a questo proposito per ottenere un consenso sociale anche su misure difficili e impopolari”.
Intanto il ministro dell’Economia ha convocato oggi alle ore 15 il Comitato per la salvaguardia della stabilità finanziaria (Cssf). Fanno parte dell’organismo il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, il direttore generale del tesoro Vittorio Grilli, il presidente dell’Isvap Giancarlo Giannini e il presidente della Consob Giuseppe Vegas.
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