ROMA — E’ l’ultima spiaggia. La carta della disperazione. Sta chiusa nei cassetti del governo e potrebbe venire fuori quando saremo con le spalle al muro, ad un passo dal default. E’ l’operazione “oro di Bankitalia”.
I presupposti del diabolico meccanismo sarebbero due: il primo è che l’Italia è il terzo paese al mondo per consistenza di riserve auree (dopo Stati Uniti e Germania) con 2.451,8 tonnellate di metallo giallo nei propri forzieri. Il secondo è che il prezzo dell’oro dopo la crisi del 2007 è schizzato da 667 dollari l’oncia ai 1.756 di venerdì, elevando il valore teorico del patrimonio di Bankitalia del 163 per cento a quota 152 miliardi di dollari, circa 110 miliardi di euro.
Un patrimonio enorme, quello di Via Nazionale, che aveva già suscitato l’interesse del governo Prodi (che suggeriva vendite per finanziare lo sviluppo e fu attaccato violentemente in quella occasione dal centrodestra) e dello stesso Tremonti, che nel 2009 tentò di tassare le plusvalenze sull’oro di Bankitalia, ma fu bloccato dalla Bce di Jean-Claude Trichet. «Siamo sicuri che l’oro sia della Banca d’Italia e non del popolo italiano?», disse il ministro dell’Economia in Parlamento.
Oggi la situazione è assai più critica sia sul fronte del debito sovrano sia su quello del debito bancario: c’è la necessità di collocare nell’ “anno terribile” 2012, circa 400 miliardi di titoli di Stato e una montagna di obbligazioni bancarie, pari a oltre 100 miliardi, che verranno a scadenza.
La prima opzione, in esame, dice in parole povere: le grandi banche italiane, da Intesa a Unicredit, sono formalmente le azioniste della Banca d’Italia e dunque «proprietarie» anche delle riserve auree, in caso di necessità dunque la «controllata» Bankitalia potrebbe sottoscrivere direttamente le obbligazioni bancarie.
La seconda opzione prevederebbe che le banche stesse emettano obbligazioni garantite dall’oro che rappresenterebbe un «collaterale» in grado di sfidare qualsiasi diffidenza dei mercati. La terza opzione è ancora più schematica: siccome Bankitalia ha registrato delle vertiginose plusvalenze da oro, gli azionisti-banche ne beneficino e utilizzino le risorse per ricapitalizzarsi. C’è infine una variante, che cammina in parallelo: quella del debito sovrano. E’ chiaro che se il Tesoro potesse emettere una serie speciale di Bot agganciata all’oro di Bankitalia supererebbe di slancio molti problemi di credibilità. Tuttavia l’operazione fa i conti senza l’oste. Ovvero la Banca d’Italia. Come è accaduto ieri la Bundesbank ha posto un immediato «no» all’ipotesi di mettere nell’attivo del Fondo salva stati l’oro delle banche centrali e in particolare quello tedesco. Anche Via Nazionale potrebbe avanzare più di una riserva.
Ma la partita che si sta giocando attorno all’oro, nel mezzo della grande crisi finanziaria, è forse più ampia. In modo articolato e ispirato ad uno spirito europeo, Romano Prodi e Alberto Quadrio Curzio, nelle settimane scorse hanno proposto un Fondo finanziario europeo, con capitale costituito da riserve auree degli Stati membri, finalizzato ad abbattere il debito pubblico e rilevare 2,3 trilioni di titoli di Stato Uem. Anche in questo caso l’Italia sarebbe chiamata a conferire per la propria partecipazione 79 milioni di once di riserve auree.
Certo è che la partita dell’oro, dopo la crisi dell’economia di carta, è destinata a tenere banco. Molte banche centrali, dalla Cina all’India, negli ultimi mesi hanno fatto ingenti acquisti di metallo giallo.
E la settimana scorsa il presidente venezuelano Hugo Chavez ha fatto scattare la nazionalizzazione della produzione di oro e il rimpatrio delle riserve valutarie per 211 tonnellate, pari a 16 mila lingotti, detenute in Inghilterra, Svizzera e Usa. Un’operazione che pare abbia destato la curiosità dello stesso Berlusconi.
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