New York – E’ sempre stata una pratica molto comune per i piccoli investitori nel mercato delle materie prime: essere finanziati dalle banche nell’operazione, dando in cambio in pegno titoli per il prestito in questione.
Il problema si crea quando le societa’, invece di servirsi degli asset per fare affari nell’economia reale, sono incoraggiate ad accumulare greggio, riso, mais o soia con il solo obiettivo di rifornirsi di liquidita’ e di sfruttare l’opportunita’ di puntare sulle stesse commodity sottostanti.
E’ chiaramente un’operazione volta ad alimentare artificialmente la domanda per le scorte d’inventario in proprio possesso. Se si accorpano tutti i prestiti insieme, ecco che si ottiene una diretta fonte di finanziamento per un gioco ancora piu’ speculativo.
Quando entrano in gioco partecipanti dotati di maggiori mezzi, poi, questo processo trascende la finanza del trading ancora di piu’. In particolare quando e’ prevista anche la partecipazione di grandi veicoli speciali per gli stessi scopi.
Brian Reynolds, chief market strategist di Rosenblatt Securities, esorta a non sottovalutare la pericolisita’ del fenomeno, costituito da una struttura ‘virtuale’ tale da essere in grado di fare ritornare l’incubo della crisi dei mutui subprime.
“Poco piu’ di un anno fa – racconta l’analista – abbiamo iniziato a seguire un trend che abbiamo definito “subprimizzazione” delle materie prime. Wall Street ha un rapporto sempre piu’ stretto con le operazioni di finanza derivata strutturata nel mercto delle commodity, il che ha aumentato i livelli della domanda per gli asset, ma allo stesso tempo li rende vulnerabili a futuri crac”.
Molti investitori di borsa pensavano (o almeno speravano) che dopo la crisi degli asset di telecomunicazioni e dei gasdotti negli Anni 90 e il collasso del mercato immobiliare e finanziario dopo lo scoppio della crisi dei mutui subprime in Usa, le riforme introdotte, come la legge Dodd-Frank, avrebbero eliminato la possibilita’ che i prodotti derivati potessero avere un impatto macro sull’economia reale.
Cosi’ non e’ stato. Gli accordi stretti nella finanza strutturata, inoltre, avvengono spesso in via privata, rendendo difficile quantificare il fenomeno della subprimizzazione delle materie prime.
Tanto e’ vero che investitori piccoli e grandi, anche nei mercati del credito, non sono venuti a conoscenza della gravita’ della situazione negli Anni ’90 e nel 2007 finche’ le societa’ come Enron, WorldCom e Citigroup non si sono viste costrette a vendere, facendo suonare un campanello d’allarme.
La crisi subprime e’ diventata veramente palpabile nel febbraio-marzo 2007, e nel settembre-ottobre 2008, bimestre in cui sono di fatto scomparse le banche d’affari.
Nel corso dell’ultimo anno, segnala Reynolds, “abbiamo sentito sempre di piu’ parlare di un incremento del numero di affari stretti che avevano come oggetto prodotti derivati legati alle materie prime, come contratti swap e strutturati che si servono delle commodity come collaterale”.
Secondo lo strategist – che non e’ un esperto del settore delle materie prime di per se – tale attivita’ aumenta in maniera esponenziale il rischio di un calo pesante dei prezzi del greggio l’anno prossimo.
Nel caso di un peggioramento improvviso della situazione, molti investitori si ritroveranno con posizioni lunghe indesiderate in un mercato in declino, il che provochera’ un’ondata di vendite.
E’ gia’ successo all’oro un paio di volte l’anno scorso e per il petrolio potrebbe essere lo stesso. L’area di supporto compresa tra i 95 e gli 80 dollari al barile per ora ha retto. Ma una rottura al ribasso potrebbe scatenare una fuga dall’oro nero da parte degli investitori nella finanza derivata.
Oggi sui mercati i futures sull’oro nero perdono terreno per il settimo giorno consecutivo, la striscia negativa piu’ lunga da dicembre di tre anni fa. Le scorte sono in aumento in Usa e le importazioni cinesi sono in calo, mentre le speranze di trovare una soluzione alla crisi del debito si sono affievolite.