Tenere alta la tensione per cercare di strappare quante più concessioni possibili agli altri membri dell’Eurozona: finora la gestione della crisi del debito sovrano da parte della Grecia è sembrata alternare tra il sincero tentativo di rispondere alle sollevazioni “rigoriste” di Bruxelles (ovvero della Germania, che più di tutti gli altri partner europei ha voluto il fiscal compact e le misure di austerity che stanno mettendo in ginocchio l’economia greca e pesando fortemente su quelle di Portogallo, Spagna e Italia) e la tentazione di giocarsi fino in fondo l’unica carta a disposizione, quella dei costi (non meno di 500 miliardi di euro complessivamente) che ricadrebbero sulle spalle di investitori istituzionali, privati, Bce e Fmi (che da sole hanno in cassa oltre 200 miliardi di titoli di stato greci) in caso di un nuovo e definitivo fallimento di Atene e del suo conseguente ritorno alla dracma.
Ma a volte l’interesse più evidente non è quello più cospicuo e la storia della crisi del debito sovrano, che anche oggi manda alle stelle gli spread tra i titoli di stato dei “periferici” e i Bund tedeschi e fa rotolare le quotazioni delle maggiori banche spagnole e italiane, può essere forse meglio raccontata rovesciando il punto di vista e chiedendosi se e quanto guadagni la Germania da questa situazione.
Se Berlino, che contribuisce per il 27% al bilancio della Bce, appare il Paese che rischia più di tutti da un’eventuale rottura dell’euro, tanto che da sempre si oppone a un ulteriore ammorbidimento dei criteri chiave per la concessione di credito alle banche greche (in sintonia con Mario Draghi, che ieri ha “temporaneamente” stoppato il finanziamento ad alcuni istituti giudicati non solvibili finché non ricapitalizzeranno) o peggio alla trasformazione della Bce in “prestatore di ultima istanza” (e dunque acquirente per quantità potenzialmente infinite di titoli di stato greci, portoghesi, spagnoli e italiani), è evidente che altri aspetti della crisi convengono eccome ad Angela Merkel e alle banche, assicurazioni e aziende tedesche in genere.
Primo tra tutti, la possibilità che la Bce riduca ulteriormente, forse già a inizio giugno, tassi già ai minimi storici e che almeno dagli anni Novanta sono stati, secondo molti economisti, tenuti a livelli inferiori a quelli “corretti” per le condizioni economiche prevalenti in Europa prima per favorire la riunificazione tedesca e poi per rendere meno traumatiche possibili le riforme strutturali che hanno nel tempo consentito alla Germania di recuperare efficienza e diventare il maggior esportatore dell’area europea. Tassi bassi ed euro in crisi significano per gli esportatori tedeschi una leva formidabile a favore delle proprie esportazioni e non è un caso se Berlino ha da tempo messo nel mirino non tanto i mercati europei (che pure restano al momento il suo principale mercato di sbocco), quanto quelli asiatici (dove le vendite delle aziende tedesche crescono ogni anno).
Più la crisi si protrae, dunque, più la Germania guadagna a spese dei “reprobi” del Sud Europa, condannati a riformare sotto le bombe o rischiare il fallimento. Ma non è tutto: secondo voci che periodicamente si rincorrono in borsa (e in qualche caso trovano conferma, come per la Ducati appena rilevata da Audi), i gruppi tedeschi sono fin d’ora pronti a lanciare offerte “amichevoli” per rilevare a prezzi di saldo i migliori concorrenti italiani o spagnoli, in tutti i settori, dalla finanza all’industria. Così l’ipotesi, a lungo confinata nei libri di fantascienza, di vedere passare sotto la bandiera tedesca (salvo qualche nuova “zampata” dei gruppi francesi) gruppi come l’Alfa Romeo, Prelios, il Monte dei Paschi, per non parlare di marchi di moda o di aziende di nicchia, spesso di dimensioni contenute e a gestione famigliare ma altamente redditizie se supportate dai giusti capitali, col passare dei mesi sta assumendo contorni sempre più concreti.
Così fare la parte del “poliziotto cattivo” può davvero convenire alla Germania, che vede consolidato il suo ruolo egemone in Europa e si prepara a recitare una parte da primo attore nel ventunesimo secolo, un secolo che sarà all’insegna dei mercati emergenti e in cui vincerà chi saprà offrire a quei mercati prodotti e servizi che siano al tempo stesso dotati di un forte appeal ma in grado di garantire elevati margini di profitto. Un “piatto” molto ricco di una partita molto ampia che si sta giocando sui mercati almeno dalla fine del secolo scorso ma di cui solo oggi si iniziano a comprendere a fondo costi e benefici potenziali. Non ultimo l’euro debole, in ritirata da quota 1,3 contro il dollaro: la debolezza strutturale dell’Europa deprime la moneta unica, trend che fa da volano alla prima economia manifatturiera al mondo. E Frau Angela si frega le mani…
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