Milano – Non è così in discesa come sembra il cammino di Roberto Maroni verso la segreteria della Lega Nord e la defenestrazione di Umberto Bossi. Dopo la vittoria nei congressi di Lombardia (403 voti a Matteo Salvini, 129 a Cesarino Monti) e Veneto (236 voti a Flavio Tosi, 178 a Massimo Bitonci) certo il carro del vincitore, da qui a fine giugno momento della conta finale, verrà ancor più preso d’assalto, come lo è stato in gran parte di queste ultime settimane. Molti, prima di schierarsi, aspettavano di vedere se per caso i bossiani fossero in grado di un colpo di reni, ma l’assenza di reazioni e l’entità della sconfitta ha convinto anche i più pavidi a uscire allo scoperto e a rinnegare “il Capo”, proprio colui al quale dovevano ogni loro fortuna, politica e non. Anche perché Bossi non si fa più vedere in giro, a parte le serate al bar di Laveno – nuovo luogo-simbolo del cosiddetto think thank leghista -, e non si è certo dannato l’anima per fronteggiare l’ascesa di Salvini e Tosi, mettendo contro di loro un sindaco malato di cancro, Cesarino Monti in Lombardia, e salvandosi in Veneto grazie al senatore Bitonci, che ha avuto una sola settimana per fare campagna elettorale. I bossiani, o lealisti come si chiamano tra loro, hanno grosse colpe per avere a lungo nicchiato prima di scegliere e schierare i loro candidati-kamikaze. Tralasciando ogni strumento mediatico, come invece sa fare e bene Maroni attraverso la sua “portavoce” Isabella Votino, non a caso dipendente della Lega a Roma e dirigente dell’ufficio-stampa del Milan, per le “relazioni istituzionali con i prefetti”, qualifica mai vista nel mondo delle società di calcio. Ci sono dubbi sul fatto che Berlusconi abbia dato il suo personale ok a questa assunzione da 300 mila euro all’anno? E, di converso, ci sono dubbi sul fatto che il Cavaliere si fidi di Maroni e non lo consideri un nemico?
I problemi interni di Maroni, a questo punto sono tre: come raggiungere la sicurezza che Bossi non gli darà più fastidio (“Non andrò in pensione”, ha annunciato), magari candidandosi all’ultimo minuto; come e se acquietare gli ex colonnelli che si sentono in pericolo; fino a che punto colpire i numerosi impuniti del “cerchio magico” ma soprattutto la moltitudine di coloro che hanno da anni una sola missione: il mantenimento della poltrona.
La Lega 2.0 prima di nascere, se mai nascerà, deve superare questi ostacoli. Ma soprattutto dovrà, propedeuticamente, fare anche chiarezza sul proprio progetto politico e su come intende perseguirlo. Osserva Gianluca Marchi, ex direttore de “la Padania” messo in disparte perché colpevole di saper leggere e scrivere (infatti non si è laureato a Tirana): “Continuare a ripetere che si torna alla Lega delle origini, senza passare attraverso una seria autocritica degli errori compiuti e delle scelte sbagliate assunte da molti anni a questa parte, finirebbe per rendere sterile se non inutile il rinnovamento della classe dirigente, che è solo un primo tassello della non facile attraversata del deserto che attende Maroni. Senza dimenticare che chiarezza totale andrebbe fatta anche sulle responsabilità di chi ha gestito la Lega come “cosa sua”, insultando e prendendo per i fondelli le migliaia di militanti che negli anni hanno lavorato disinteressatamente. E infine andrebbe anche affrontata e rimossa la cattiva etichetta che vuole la Lega essersi trasformata in un postificio per caregari”.
La chiarificazione sulla nuova linea politica non è cosa da poco, visto che nei congressi si sono regolati i conti ma, a parte le consuete parole d’ordine (secessione, no a Monti, basta tasse), nessuno ha preso impegni ad esempio sul futuro dell’alleanza o meno coi miseri resti della PdL. Così come nemmeno si è trovato qualcuno disposto ad assumersi le responsabilità del fallimento dell’esperienza governativa, un tema su cui Maroni preferisce svicolare visto che ha parecchio da farsi perdonare, è sempre stato tra i più fedeli a Berlusconi e sicuramente “non poteva non sapere”.
Maroni a questo punto deve mostrare di non essere, come invece è sempre stato, un leghista-“democristiano”. Non a caso il suo repertorio è da scudo crociato, proprio come promette di essere il prossimo congresso che lo incoronerà: appello all’unità e contemporanee coltellate alla schiena, scopa in mano ma solo contro i “nemici”, decisioni vere e concrete che tardano a venire, difficoltà di “far fuori” tutti quei leghisti di sottogoverno saldamente ancorati ai loro benefit, difficoltà di avere in futuro posti di potere da distribuire agli amici. Anche a Maroni è sempre mancato il “quid”. E infatti non ha ancora annunciato la sua candidatura ufficiale alla segreteria, aspetta quel che farà Bossi ma soprattutto, e demo cristianamente, vorrebbe firmare un accordo con lui per non avere sorprese.
Bossi invece ha smesso da un pezzo di fidarsi. Ha una sola preoccupazione: il futuro suo e dei suoi figli, dal punto di vista economico, soprattutto. E questo è un po’ un mistero visto il Senatur ha molte legislature alle spalle, due giri al parlamento Europeo e quindi non dovrebbe avere problemi in quanto a liquidazioni e pensioni. Teme il repulisti, e finora ha visto che si è trattato di un “repulisti” solo di facciata. Qualche esempio. Che cosa aspetta la Lega a chiedere conto all’onorevole Giorgetti, presidente della commissione bilancio della Camera, dei suoi legami (non certo solo parentali) con Massimo Ponzellini, l’ex presidente della Bpm arrestato nei giorni scorsi? Quanto c’entrava, se c’entrava, l’appoggio per l’ascesa di Ponzellini? La Lega sapeva che i soldi della banca, considerata del Carroccio, sono finiti anche nella società di slot-machines di Francesco Corallo, l’amico di Amedeo Laboccetta, ex fedelissimo di Fini? Tutti quei milioni di finanziamento concessi a una società straniera di gioco d’azzardo non potevano essere più proficuamente destinati alle piccole imprese della Padania? Altro che scandalo della CrediEuronord, la banca della Lega, i cui 2.500 truffati certo andranno a farsi sentire, non è escluso anche coi forconi, all’imminente congresso federale. E, a proposito di pulizie immediate, che cosa aspetta la Lega a espellere senza indugio il capogruppo del consiglio comunale di Udine che “piange il nostro sacro fiume Po inquinato con sangue indiano” per commentare la morte di una giovane indiana incinta uccisa dal marito operaio e gettata nel fiume? E quali decisioni sono state prese contro quel segretario di sezione del Bresciano che aveva sostanzialmente applaudito al terremoto in Emilia considerandolo come il distacco della Padania dal resto dell’Italia?
A parte queste “minuzie”, si ha la sensazione che si punti più all’effetto mediatico nei confronti dell’esterno piuttosto che alla sostanza dei fatti. Non a caso, un esperto come Salvini – che spazia da decine di programmi tv alle feste leghiste – ha scelto come vicesegretari due under 40: Cristian Invernizzi e Stefano Borghesi, un nome quest’ultimo pieno di simbologie. Classe 1977, laureato in Economia e Commercio, per anni segretario del partito a Brescia doveva essere il candidato capolista al consiglio regionale, al posto del “Trota”. Ma ora, lontano dalle telecamere, dovrà risolvere un bel problema: come rispondere alle sollecitazioni del Pd, che ha presentato una mozione di sfiducia nei confronti di Roberto Formigoni, e chiede anche le firme della “Nuova Lega”? Quali risposte politiche dare su una Giunta regionale e un Governatore come Formigoni che scricchiola da tutte le parti? Far cadere il Celeste, e i tutti i suoi Filistei, oppure tenerli in piedi contro il volere della base leghista in tumulto?
E i Calderoli, Castelli, Giorgetti, Reguzzoni, Speroni, Brigandì, Borghezio, i tipi come Cota (che però si sposta sempre un minuto prima.), che cosa hanno in animo di fare consapevoli come sono che per loro non c’è più spazio visto che i maroniani stanno creando un centro di potere unico, che in sostanza sta già sostituendo quanto si era creato intorno al cerchio magico/malefico? Calderoli sente l’aria che tira e infatti al congresso lombardo ha vaticinato: «E’ intollerabile (e mi riferisco non solo a noi ma soprattutto alla casa veneta) che si sia arrivati al punto del con me o contro di me, facendo intendere che dopo il Congresso faremo i conti». E ancora: “E’ in atto un attacco totale contro di noi. Ho visto fare fuori due o tre persone, e non dico che qualcuno se ne è rallegrato ma sicuramente non si è dispiaciuto. E ne stanno mettendo nel mirino altri fra cui il sottoscritto. Vedo già gli sciacalli che iniziano a girare intorno».
La “Lega dell’odio”, dunque, contro la “Lega dell’amore”?
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