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Il Giornale: Sallusti rischia il carcere per diffamazione

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Roma – Il direttore del Giornale Alessandro Sallusti rischia di finire in carcere per un articolo pubblicato su Libero cinque anni fa, quando era direttore del quotidiano.

Se il 26 settembre la sentenza della Cassazione lo riterra’ responsabile di diffamazione aggravata per un articolo scritto nel 2007 firmato con uno pseudonimo e in cui si prendeva di mira un magistrato, il giornalista, 55 anni, finira’ in cella per 14 mesi.

Il quotidiano di orientamento conservatore fondato da Indro Montanelli e ora di proprieta’ della famiglia Berlusconi titola oggi in prima pagina: “Stanno per arrestare il direttore del Giornale”.

La vicenda, come ricostruita nelle pagine del Giornale stesso, e’ questa: nel pezzo si parlava indirettamente di un giudice tutelare, Giuseppe Cocilovo e in particolare della storia di una ragazza di 13 anni che il tribunale di Torino aveva autorizzato ad abortire e che poi aveva avuto bisogno di un ricovero in una clinica psichiatrica per le conseguenze della vicenda.

L’argomento delicato era gia’ stqto affrontato dal quotidiano La Stampa e poi ripresa da Libero il giorno successivo, cui sono seguite grandi polemiche. Nel commento alla notizia che ha fatto scandalo, firmato da “Dreyfus”, si arrivava a dire con toni provocatori che “se ci fosse la pena di morte e se mai fosse applicabile in una circostanza, questo sarebbe il caso. Per i genitori, il ginecologo, il giudice”.

In un’editoriale Vittorio Feltri – che pur in passato ha avuto qualche attrito con il collega – difende l’operato di Sallusti e prende di mira la il sistema della giustizia e la politica italiana, la quale “non ha fatto nulla per fermare i reati contro la stampa”.

Secondo Feltri “l’Italia e’ l’unico paese «occidentale» in cui i reati che riguardano la stampa sono valutati dalla giustizia penale e non civile, prevedendo quindi anche pene carcerarie oltre che risarcimenti”. Feltri attacca anche tutti i governi – Berlusconi incluso – che non hanno modificato queste norme «fasciste».