New York – Giorni fa sono tornato a visitare il mausoleo di Mao Zedong, al centro di piazza Tienanmen. Per transitare in pochi istanti davanti alla sua mummia, ho condiviso tre ore di coda con altre migliaia di cinesi.
I cinesi venerano la loro icona defunta, ma il loro successo economico si fonda sulla sua negazione e negli ultimi trent’anni le autorità hanno mantenuto la stabilità grazie all’impegno a demolire scientificamente il sistema Mao.
L’8 Novembre si aprirà il 18 Congresso del partito, chiamato ad avviare il decennale passaggio del potere. Come nel mausoleo di Mao, le apparenze celano la realtà. La propaganda è impegnata ad imporre l’idea di una “transizione pacifica e armoniosa”, sostenuta da una massa soddisfatta. I fatti rivelano invece un partito e un sistema Cina in frantumi, divisi dalle scelte sul futuro e dalla valutazione del presente, tra la trincea del collettivismo e l’abbandono al liberalismo.
L’unico dato certo è che il congresso sancirà, a partire da Marzo, il pensionamento del presidente Ho Jintao, del premier Wen Jiabao e di sette su nove leader che dal 2002 hanno guidato la Cina. Tutto il resto è un enigma e gli stupefacenti scandali scoppiati a partire da Febbraio contribuiscono ad accrescere la debolezza dei mercati finanziari e l’allarme della comunità internazionale.
A meno di catastrofici colpi di scena, fino al 2022 l’attuale vicepresidente Xi Jinping succederà a Hu Jintao e l’attuale vicepremier Li Keqiang prenderà il posto di Wen Jiabao.
“Continua a leggere sul sito di La Repubblica…
Copyright © La Repubblica. All rights reserved