Roma – Immaginate di avere un debito di € 2.000 miliardi, mentre sedete sopra la quarta riserva d’oro al mondo: è la situazione dell’Italia. C’è un modo per utilizzare le riserve d’oro italiane?
Le riserve di Bankitalia sono comunque una goccia nell’oceano: se a quelle in oro sommassimo anche quelle in valuta, non copriremmo più del 7,8% del debito pubblico. Il debito di Roma raggiunge il 123% della produzione economica annua: il doppio del limite stabilito (e altresì ignorato) per gli Stati membri dell’Euro. L’unico effetto che si avrebbe a dare fondo alle riserve della Banca centrale sarebbe quindi soltanto quello di lasciare l’Italia completamente scoperta in un eventuale scenario post-Euro.
Dettaglio non trascurabile, le 2.541 tonnellate d’oro (dati FMI) e i €50,6 miliardi delle riserve in valuta appartengono comunque alla banca centrale, non al governo. Quest’ultimo non ne ha disponibilità anche a causa di vari trattati firmati dall’Italia al momento dell’ingresso nell’Unione
Europea.
Ne sa qualcosa Silvio Berlusconi, che nel 2009 provò ad utilizzare parte di quell’oro per finanziare la spesa pubblica. Al “Giù le mani!” di Draghi, allora di stanza a Palazzo Koch, fece coro Trichet, allora presidente della BCE, che ribadiva all’allora primo ministro che le riserve delle Banche Centrali della zona Euro non possono, secondo le legislazioni europee, essere utilizzate per finanziare i deficit dei governi.
È allora davvero impossibile utilizzare le enormi riserve d’oro italiane? Che senso hanno se rimangono inutilizzate e inutili? Ha ragione Warren Buffett, secondo cui si scava la terra per estrarre l’oro, che poi viene fuso e sotterrato in un altro buco, pagando qualcuno perché lo custodisca? “Chi ci osservasse da Marte penserebbe che siamo pazzi” conclude il ragionamento l’Oracolo di Omaha. Forse né Buffett né l’osservatore da Marte pensano bene…
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Si è parlato di recente di alcune soluzioni che potrebbero includere un utilizzo dell’oro da parte dei governi per attenuare la situazione di crisi. Uno di questi è proposto dal German Council of Economic Experts, secondo cui tutte le nazioni dell’Eurozona con un debito pubblico maggiore al 60% del PIL annuale dovrebbero fornire risorse (oro, se non il Partenone) che andrebbero a costituire un “fondo di riscatto”. Il fondo sarebbe garantito da tali risorse, che i paesi membri otterrebbero indietro man mano che il debito in eccesso venisse ripagato e ridotto al di sotto del tetto del 60% del PIL.
Un anno fa è stata la stessa Merkel a rifiutare tale soluzione, forse perché con l’83% di debito rispetto al PIL anche la Germania avrebbe dovuto prenderne parte. È però passato un anno e la crisi non mostra segni di ripresa, e il fondo è dopotutto un’idea dei tedeschi.
Del resto Giuseppe Vegas, presidente della Consob, ha proposto la scorsa estate l’utilizzo dell’oro di Bankitalia per la creazione di un fondo che includa anche immobili, dal quale poi garantire emissioni obbligazionarie da tripla A.
L’utilizzo dell’oro per garantire (almeno in parte) l’emissione di debito italiano sembra avere solo vantaggi: le riserve sono abbondanti, se paragonate alle necessità immediate di rifinanziamento e sarebbero in grado di ottenere tassi di interesse più bassi, visto che si garantisce ai creditori il parziale rimborso in oro in caso di default. Secondo Natalie Dempster, direttore per gli affari governativi del World Gold Council, ridimensionerebbe il problema Italia, permettendo che le risorse si concentrino su altri Stati in difficoltà, in particolare Grecia e Spagna.
Un aspetto cruciale è che tale soluzione non richiede la creazione di nuovo denaro, visto che il nuovo debito diverrebbe appetibile per i creditori istituzionali privati, eliminando la necessità che sia la Banca Centrale Europea ad assumerne il carico. Si elimina quindi il rischio di inflazione, che finora è stato l’ostacolo che la Germania si è rifiutata di sormontare in seno agli accordi e agli schemi proposti finora.
L’idea di utilizzare l’oro come collaterale per ridurre i tassi di interesse è una pratica oggi comune in Asia. Ha rivoluzionato, per esempio, il credito al consumo in India, dove i cittadini privati possiedono una quantità complessiva di oro fisico che supera quella delle banche centrali di tutti gli Stati dell’Eurozona messi insieme.
L’utilizzo dell’oro come collaterale non è una novità nemmeno per l’Italia. Nel 1974 il governatore di Bankitalia Guido Carli, in concertazione con il governo guidato da Mariano Rumor (con Emilio Colombo alle finanze e Aldo Moro agli esteri) diede in pegno una parte delle riserve d’oro come garanzia per un prestito di 2 miliardi di dollari concesso dalla Bundesbank.
L’accordo fu preceduto da una decisione fondamentale presa nell’aprile del 1974 durante il vertice di Zeist, in Olanda, che riunì i ministri del tesoro e i governatori delle Banche centrali dei paesi della comunità europea. L’ordine del giorno era la “valorizzazione” dell’oro, e dunque delle riserve delle banche centrali, in un momento in cui la valutazione ufficiale di $42,22 (fissata dalla Federal Reserve nel febbraio del 1973) distava parecchio dal prezzo del mercato libero, che nel 1974 fu una media di $158. Grazie a tale accordo l’oro di Bankitalia fu rivalutato da 2.800 miliardi a 11.000 miliardi di lire.
Le trattative relative al prestito durarono un’estate e si condussero non senza polemiche, che furono legate sopratutto all’atteggiamento della virtuosa Germania la cui opinione pubblica era contraria alla concessione di aiuti ad uno Stato che non aveva dimostrato altrettanta virtù. Helmut Schmidt, ministro delle Finanze e poi cancelliere dopo le dimmissioni di Willy Brandt nel maggio del ’74, si esprimeva così:
«Non dobbiamo sacrificare la nostra stabilità, il benessere e la fiducia dei nostri connazionali per una Comunità europea incapace, non dobbiamo offrire le nostre riserve monetarie per il consumo altrui […] Possiamo fare concessioni economiche nell’ambito europeo soltanto se in cambio otteniamo un progresso politico che agli occhi della nostra opinione pubblica venga considerato meritevole d’un sacrificio.»
(Tito Sansa, “Colombo e Carli a Bonn per trattare un prestito”, 20 agosto 1974, Fonte: Archivio Storico La Stampa)
Il prestito della Bundesbank dietro pegno in oro fu deciso il 31 agosto a Bellagio. I primi ministri Rumor e Schmidt decisero quindi che Bonn depositasse $ 2 miliardi, dietro pagamento di un tasso di interesse pari a quello dei Treasuries (l’8% circa). Il ripagamento del debito sarebbe avvenuto in dollari, e a garanzia dello stesso furono impegnate 500 tonnellate delle riserve di Bankitalia (41.300 lingotti Good delivery, di 12,5 Kg circa ciascuno, pari ad un quinto delle riserve auree del tempo).
Grazie alla cosidetta “valorizzazione di Zeist”, l’oro fu valutato all’80% del prezzo di mercato delle otto settimane precedenti all’accordo, ovvero a $120 all’oncia. L’oro non venne venduto, né ceduto, né spostato fisicamente: fu semplicemente utilizzato come collaterale per il prestito.
Contrariamente a quanto si ritenga comunemente, e contrariamente alle prassi attuali dell’Eurozona, i governi hanno quindi storicamente messo a frutto le riserve auree delle banche centrali. Avrebbe senso oggi una strategia simile per ridurre il costo del finanziamento?
Chissà cosa penserebbe l’osservatore da Marte. Di certo riconoscerebbe gli echi Schmidtiani nelle dichiarazioni odierne di Angela Merkel, e riterrebbe forse che garantire un finanziamento (anche solo parzialmente) utilizzando oro fisico è un’idea simile, molto molto simile, a quanto già avvenuto negli anni ’70.
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