Roma – Vendere tutto, vendere subito. La Provincia di Milano, in mano al centro destra da tre anni, è oggi a un passo dal tracollo, rischia il commissariamento con conseguente blocco di spese e assunzioni, nonché una multa pesante se non riuscirà entro l’anno a rispettare il patto di stabilità. In cassa mancano 80 milioni di euro, forse di più. E dunque? La parola d’ordine è vendere tutto, a qualsiasi costo. Vendere cioè le partecipazioni nelle società autostradali e aeroportuali che vuol dire Serravalle e Sea, sempre loro.
Gli ultimi tentativi, si sa, sono stati dei clamorosi flop, accolti da polemiche a non finire, esposti alla Corte dei conti e attriti tra gli stessi soci, pubblici e privati.
Per i conti in mano a Guido Podestà è emergenza vera e non c’è altra via che rimettere sul mercato i “gioielli” di famiglia tentando nuove aste. Detto, fatto. Il cda della holding provinciale Asam si è riunito oggi pomeriggio (ieri per chi legge) e ha deliberato due operazioni-cerotto che saranno al vaglio della commissione provinciale di mercoledì e poi del consiglio il giorno successivo.
La prima riguarda il capitolo Sea che, dopo il collocamento-flop della scorsa settimana, resta sul tavolo. Asam ha deciso infatti di indire un’asta per vendere 36mila azioni che corrispondono al 14,56% del capitale sociale. Nel prospetto la base d’asta è fissata in 160 milioni di euro che corrisponde a un valore pari a 4,4 euro per azione, somma leggermente superiore al valore massimo previsto per la quotazione. Ma l’offerente potrà anche tentare un ribasso, si legge poco dopo.
Il salva-Provincia non è finito. Contestualmente il cda ha autorizzato infatti la controllata Milano Serravalle all’alienazione fino al 18% del capitale di Autostrada Pedemontana Lombarda spa, la superstrada che attraverserà le province lombarde da Varese a Brescia. La vendita era compresa nella gara andata deserta per l’80% della Serravalle lunedì scorso. Un’asta “irricevibile” per i nove operatori che si sono affacciati alla data room, soprattutto perché rilevare la società significa anche farsi carico dei debiti delle controllate che richiedono una liquidità pari 3,1 miliardi.
Da qui lo spacchettamento di Pedemontana, gravata da 200 milioni di debiti verso le banche che la società non è in grado di rimborsare. Non resta dunque che trovare soccorso in un nuovo socio, ma a che prezzo?
Perché il tema che sta emergendo – ed è speculare sul fronte Sea – è quello di una svendita del patrimonio pubblico locale a beneficio di privati o bracci privati partecipati da enti pubblici centrali. Entrambe le vicende, infatti, contemplano il rischio che le alienazioni si risolvano in una perdita di valore per il pubblico e in un affare per i ras di strade e cieli che, a bordo pista e lungo i tracciati stradali, aspettano che passi il cadavere di società pubbliche esangui, coperte di debiti o azzoppate da incapacità e conflitti dei soci che le governano.
Sul fronte Serravalle, ad esempio, c’era il rischio che l’operazione consentisse al gruppo Gavio di acquistare per la metà del prezzo quello che lo stesso gruppo aveva venduto sette anni fa per il doppio proprio alla Provincia, reggente Penati. E anche sul fronte Sea l’affare potrebbe farlo Gamberale, alla guida di F2i, il fondo partecipato tra gli altri da Intesa Sanpaolo, Unicredit e soprattutto dalla Cassa depositi e prestiti, la società del ministero del Tesoro – il primo interessato al rispetto del patto di stabilità da parte degli enti locali – che gestisce i risparmi postali degli italiani.
Del resto, Gamberale, che ha già beneficiato, un anno fa, di una contestatissima vendita di azioni Sea autorizzata dal Comune di Milano, il suo interessamento alle quote degli aeroporti in mano alla Provincia, lo aveva già manifestato l’estate scorsa, con una lettera inviata a Palazzo Isimbardi il 9 agosto. Pochi giorni dopo, cioè, aver diffidato Podestà a procedere allo scambio delle azioni Sea della Provincia con quelle Serravalle del Comune. E Gamberale, con quell’iniziativa, era riuscito a far saltare un’operazione che avrebbe facilitato ai due enti l’alienazione delle quote delle proprie partecipate. Un risultato analogo, insomma, a quello che il manager ha ottenuto settimana scorsa, contribuendo al fallimento della quotazione in Borsa di Sea.
Per non dire dei costi dell’operazione abortita, sui quali è stato presentato anche un esposto alla Corte dei Conti: le spese relative al processo di quotazione potrebbero ammontare “a circa 5 milioni di euro”, si legge nel prospetto informativo che ha accompagnato l’offerta agli investitori dei titoli della società aeroportuale lombarda. Insomma, mettere sul tavolo il patrimonio pubblico costa, e se non c’è realizzo il costo fa rima con spreco. Comunque sia il faro si sposta su Podestà, il presidente della Provincia che negli scorsi mesi aveva dato vita a un balletto di dimissioni annunciate e ritirate. E la domanda è: com’è possibile arrivare a un mese dalla chiusura del bilancio e scoprire un buco da 80 milioni di euro?
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Roma – Saldi di fine stagione. Il Comune di Torino ha messo l’acceleratore sulla vendita delle sue partecipate per pareggiare il bilancio entro fine anno e allontanare lo spettro di un debito che rischia di diventare ingestibile. Anche quest’anno la città governata da Piero Fassino corre infatti il pericolo di non rientrare nel Patto di Stabilità, incappando in sanzioni che aggraverebbero ulteriormente una situazione finanziaria su cui pende un buco da 3,3 miliardi di euro.
La squadra del sindaco Fassino deve trovare in fretta 280 milioni per chiudere il bilancio 2012 in pareggio. Ma per farlo non le basterà vendere quote delle sue partecipate – Trm, Amiat, Sagat e Gtt – come previsto, perché dovrà pure incassarne i profitti entro il 31 dicembre.
È una corsa contro il tempo e in questo clima il Comune, per tutelarsi, ha deciso di mettere all’asta una parte del suo patrimonio immobiliare (per circa 29 milioni di euro) e alcuni veicoli del parco macchine, come una Lancia Thesis, l’auto blu usata da Sergio Chiamparino, e addirittura un vecchio autobus Fiat del 1975.
Le cessioni serviranno a “rientrare nel Patto di Stabilità e concorrere alla riduzione del debito della Città”, ha dichiarato Fassino. Una strategia cui si somma l’effetto della legge del governo Monti, che obbliga i Comuni a cedere quote delle partecipate per liberalizzare i servizi. Nell’estate, il sindaco e la sua giunta si sono posti l’obiettivo di recuperare 350 milioni, cedendo l’80% di Trm più il 49% di Amiat, partecipate che gestiscono l’inceneritore del Gerbido e l’intera filiera dei rifiuti urbani; il 49% di Gtt, gruppo torinese trasporti, e il 28% di Sagat, società che gestisce l’aeroporto di Caselle. Ma giovedì, all’apertura delle buste per Trm, Amiat e Sagat, si è scoperto che il Comune incasserà decine di milioni in meno rispetto alle stime iniziali.
Trm e Amiat. La gara per la vendita delle quote di Amiat S.p.A. e della società per azioni Trattamento Rifiuti Metropolitani (Trm) che sta costruendo e gestirà il termovalorizzatore del Gerbido, è stata bandita il 6 agosto 2012. La base era di 140 milioni di euro per Trm e 32 milioni per Amiat, ma dopo una prima asta andata deserta, in seconda battuta è stata presentata solo l’offerta dalla multiutility Iren, in partnership con il fondo F2i di Vito Gamberale per l’inceneritore e con una società di Pinerolo, l’Acea, per la raccolta dei rifiuti. Si è invece defilata definitivamente la milanese A2a. La cifra offerta è di 126 milioni per Trm e 29 per Amiat, per un totale di 155 milioni, 17 milioni meno di quelli preventivati. Iren ha fatto pesare sull’asta i suoi pregressi con la città, deliberando definitivamente l’offerta l’ultimo giorno utile e solo dopo aver ricevuto alcune garanzie come il recupero di 140 milioni del debito che il Comune ha nei confronti di Amiat e un accordo di rientro dal debito che la città ha maturato nei confronti di Iren (circa 300 milioni).
Sagat. Il Comune intende cedere il 28% delle quote della società che gestisce l’aeroporto di Caselle al prezzo di 58,8 milioni. Su questo si stanno confrontando il fondo F2i di Gamberale e Sintonia, del gruppo Benetton, già proprietario al 24,4% della partecipata. Il gruppo Benetton ha offerto 22,5 milioni di euro e potrebbe arrivare così al 52 per cento della società, mentre F2i si è impegnata per 36,4 milioni cui andrebbero sommati altri 5,6 milioni di euro al raggiungimento di determinati obiettivi economici. Il fondo che fa capo a Gamberale ha però posto alcune condizioni, come le dimissioni entro il 31 dicembre dell’amministratore delegato di Sagat, Fausto Palombelli, designato da Benetton, e un nuovo patto tra soci pubblici e privati per rendere subito governabile la società. Per questo l’offerta è stata valutata come irricevibile come già capitato per Gtt.
Gtt. Per la gara relativa a Gtt, aperta il 3 agosto scorso dopo una gara di prequalificazione, tra Trenord, partecipata al 50% da Trenitalia e Regione Lombardia, e Arriva, la prima fase è terminata con l’esclusione dell’unica offerta pervenuta, da Trenord, perché ritenuta irricevibile. Dettava delle condizioni e il bando escludeva tale possibilità. La Giunta si è però riservata, e sono le parole del sindaco Fassino, sulla base delle considerazioni giunte dal concorrente “qualora condivisibili, di presentare al Consiglio quelle deliberazioni necessarie a consentire la positiva conclusione del procedimento”. In parole più semplici, perché la cessione andasse in porto il Consiglio ha modificato alcuni punti dello Statuto di Gtt (Gruppo Torinese Trasporti) per permettere al socio privato di gestire la società pur detenendone solo il 49% delle quote.
Gli scenari. Tutte le contrattazioni sono ancora in corso perciò, a oggi, il Comune non sa ancora su quali fondi potrà fare affidamento a fine anno. E le conseguenze di un fallimento dell’operazione potrebbero essere catastrofiche.
Se il Comune sforasse per la seconda volta il “patto di stabilità”, Torino andrebbe infatti incontro a pesanti sanzioni: se nel 2012 lo Stato ha tagliato alla città stanziamenti pari al 10 per cento del deficit, nel 2013 i fondi statali verrebbero tagliati per il 100 per cento della cifra. Uno scenario che provocherebbe non poche difficoltà: per pareggiare il bilancio preventivo del 2013 (da raggiungere alle fine di maggio) la città dovrebbe infatti mettere in cantiere altri tagli. E il passo successivo, se non si riuscisse nell’intento, potrebbe essere il commissariamento.
“Rispetto ad altri capoluoghi in difficoltà Torino non ha mai usufruito di leggi e stanziamenti speciali e ce la stiamo facendo con le nostre forze”, afferma il presidente della commissione bilancio del consiglio comunale Alessandro Altamura, che si dice realista, ma ottimista: “Non escludo che il governo, valutando gli sforzi che tutti i Comuni stanno facendo, decida di posticipare il termine del 31 dicembre 2012, come richiesto dall’Anci”.