Terror und Traum, Terrore e Sogno, è il titolo di un libro di 800 pagine che lo storico tedesco Karl Schlögel ha dedicato alla Mosca del 1937 (ne è appena uscita la versione inglese, Moscow 1937). È un’istantanea affascinante di un punto nello spazio e nel tempo in cui l’idea di essere a un passo dal più radioso dei paradisi terrestri ha potuto coincidere per milioni di persone con la paura di essere svegliati all’alba dalla polizia politica ed eliminati entro poche ore senza nemmeno sapere il perché.
La Mosca del 1937 è la sede di grandiosi processi politici in cui le colpe degli accusati, completamente inventate, vengono comunque minuziosamente elencate e analizzate. Dietro le quinte, intanto, il precursore del Kgb, l’Nkvd, emana l’Ordine Operativo 00447 nel quale, con metodo top-down, vengono assegnati provincia per provincia, distretto per distretto, i budget di vittime da fucilare senza processo. Cinquemila tondi a Mosca, quattromila a Leningrado, duemila a Kiev e via discendendo per ogni angolo remoto dell’immenso spazio sovietico, fino ai 300 da scovare (si immagina con fatica) tra i laghi e le foreste della bellissima Carelia.
Al tempo stesso, a Mosca si vive in uno stato di esaltazione. Sono appena iniziati i lavori per il rifacimento completo della città. Architetture oniriche, piazze e viali metafisici, futurismo monumentale. L’infaticabile Commissario del popolo all’Industria Lazar Kaganovich alterna la compilazione di liste di migliaia di dirigenti e operai da fucilare con l’attenzione febbrile ai lavori di costruzione della lussuosa e spettacolare metropolitana di Mosca, le cui stazioni vengono inaugurate una dopo l’altra. Registi della Mosfilm accorrono a riprendere gli eventi.
L’impaziente Medvedkin, nel girare La Nuova Mosca, anticipa con fondali disegnati lo skyline del futuro prossimo, così diverso da quello di New York. Sappiamo come è andata a finire. La guerra ha interrotto per sempre i lavori per la nuova Mosca. La Russia poststaliniana è scivolata velocemente nel grigiore burocratico. Il terrore e il sogno si sono trasformati nella stanchezza decrepita, nella ruggine, nel cadere in pezzi così bene descritto nel 1984 dal regista georgiano Eldar Shengelaya nel film satirico Le Montagne Azzurre.
La convivenza insolita di grande paura e grande speranza è il tratto caratteristico dell’America di queste settimane. A seconda di come si legge il fiscal cliff prossimo venturo si può vivere questa fine anno in due modi completamente diversi.
Il primo modo è da ultimi giorni di Pompei (o dell’Avana di fine 1958, con Castro sulla Sierra sempre più vicino e il sipario che sta per calare per sempre sulla dolce vita). È un’atmosfera da fine regno in cui si salva chi può. Si vendono i titoli per realizzare gli utili finché ci sono e finché sono tassati al 15. Le società distribuiscono in fretta e furia i dividendi di tutto l’anno prossimo e fanno fuori tutta la cassa che possono. Si fanno fusioni acrobatiche per approfittare degli ultimi giorni di imposizione bassa. Si bloccano progressivamente gli investimenti. Qualcuno licenzia.
Una variante della lettura pessimista si concentra non tanto sugli aumenti di tasse quanto sul protrarsi dello stallo a tutta la prima metà del 2013. Ci sarà un accordo minimo, secondo questa lettura, per bloccare gli aumenti sotto una certa fascia di reddito, ma su tutto il resto ci sarà una rissa politica prolungata. Che l’accordo tampone arrivi per fine anno o a gennaio importa poco, in questa interpretazione. Il clima sarà comunque avvelenato, i repubblicani cercheranno di vendicarsi in tutti i modi e i democratici passeranno il tempo a tendere loro trappole. Ci sarà lo scontro sul debt ceiling e si litigherà per mesi su come riabbassare le tasse salite improvvisamente il 31 dicembre.
Questo clima scoraggerà gli investimenti, le assunzioni, gli acquisti di case. Ethan Harris, un economista serio e prudente, stima la crescita americana all’uno per cento nella prima metà del 2013 nello scenario più probabile, quello di una soluzione a piccoli passi del fiscal cliff.
Al tempo stesso, a volte nelle stesse teste, girano idee aggressivamente ottimistiche sul 2013. Chi ragiona così considera il fiscal cliff come un incidente passeggero, una specie di tempesta tropicale che arriva e se ne va. Se ne minimizza il costo, ovvero l’aspetto restrittivo della politica fiscale.
La lettura ottimista mette insieme il permanere in tutto il mondo sviluppato di politiche monetarie espansive per il 2013, la stabilizzazione dell’Europa, la volontà di rilancio della Cina e, in America, il forte andamento dei consumi e la ripresa del mercato immobiliare e dell’edilizia. Ne ricava, come si vede dalle previsioni sul prossimo anno che le grandi case stanno pubblicando in questi giorni, un quadro ancora abbastanza favorevole per i bond e molto incoraggiante per l’azionario.
C’è del buono e dell’utile in entrambe le letture, ci pare. Il fiscal cliff non sarà indolore e alcuni aumenti di tasse si faranno sentire. Questi aumenti, tuttavia, non saranno alla fine così terribili come in questi giorni si paventa. A Obama non interessa molto riempire le casse pubbliche, quanto piuttosto ottenere una vittoria politica. Potendo scegliere, preferirebbe raccogliere 50 con aumenti delle aliquote marginali piuttosto che 100 attraverso la limitazione delle detrazioni per i redditi più alti. Obama vuole una vittoria che infligga il massimo dolore possibile ai suoi avversari repubblicani, dividendoli e costringendone una parte a violare l’impegno a non alzare mai le tasse. Fu proprio una violazione di questo tipo che costò la rielezione a Bush padre.
Gli aumenti, quindi, non saranno giganteschi e, in ogni caso, non verranno toccate, se non marginalmente, le detrazioni più care ai contribuenti americani, prima tra tutte quella sui mutui. Per questo sembra eccessiva la caduta dei titoli dell’edilizia, proprio in un momento in cui le società del settore segnalano una forte ripresa di attività.
Quanto all’effetto (moderatamente) restrittivo della politica fiscale americana, questo sarà compensato a livello globale da una politica fiscale europea sempre più indulgente verso i disavanzi mediterranei (solo con l’Italia la linea tedesca è ancora intransigente) e da una Bce che si prepara a scendere in campo con acquisti diretti di titoli spagnoli e, in prospettiva, portoghesi e italiani. La Cina, dal canto suo, non prepara manovre espansive paragonabili a quella imponente del 2008-2009, ma darà comunque un po’ di gas all’edilizia, sostenendo in questo modo l’industria pesante cinese e quella mineraria globale.
Qualcuno ipotizza, per la seconda metà del 2013, la fine del bull market obbligazionario e un travaso di liquidità dai bond verso l’azionario. Sui bond bisogna però distinguere. I corporate non corrono rischi, anche se quelli di qualità sono ormai quasi arrivati. I governativi americani e tedeschi sono anch’essi a fine corsa, ma non c’è motivo per pensare a ritracciamenti che non siano temporanei. I governativi mediterranei e i finanziari europei hanno ancora strada da fare, ma non bisogna pensare che siano definitivamente fuori dal guado.
Come ha detto Stark, la crisi europea non è assolutamente finita. Stark non lo ha detto, ma è possibile che pensi a un momento in cui l’acquisto di titoli spagnoli da parte della Bce (non ancora iniziato, ma nell’aria) susciti a un certo punto inquietudine in Germania. Si aprirebbe allora una fase indubbiamente delicata.
Quanto alle borse, è normale che il loro rialzo prosegua per uno-due anni anche dopo che le obbligazioni hanno raggiunto il loro livello più alto. L’andamento dell’azionario, tuttavia, benché tendenzialmente positivo, sarà molto irregolare. Questo perché le inquietudini e le tensioni dei mercati, in questo ciclo così diverso dai precedenti, continueranno a scaricarsi sulle borse, lasciando tranquilli i bond (con la possibile eccezione di periferia e banche europee).
Nel breve, di qui a fine anno, è probabile che le borse europee continuino ad andare meglio di quella americana. Negli Stati Uniti, il confronto tra paura e speranza produrrà ancora per qualche giorno un mercato piatto. Un accordo tampone che lasci in dubbio le aliquote su dividendi e capital gain provocherà un rialzo breve e contenuto, non così ampio, probabilmente, come il mercato pensa. Solo un accordo esteso, se e quando arriverà, potrà essere legittimamente festeggiato (se sarà il caso) con un recupero più significativo.
Copyright © Kairos Partners SGR. All rights reserved