Nella Roma tardo repubblicana e imperiale le feste in onore di Saturno, importate dalla Grecia, venivano celebrate tra il 17 e il 23 dicembre. I Saturnalia erano diversi dalle altre feste romane, generalmente a sfondo militare o agrario, ed erano una sorta di protocarnevale. Sbrigati velocemente gli obblighi religiosi il primo giorno, ci si dedicava nel resto della settimana a banchetti continui, feste private e divertimenti di varia natura. Era permesso il gioco d’azzardo, ma a piacere particolarmente era lo stravolgimento delle regole sociali, quella che Orazio ebbe a definire la libertà di dicembre. I padroni servivano a tavola i loro schiavi, che potevano anche deriderli senza essere puniti. L’ultimo giorno, il 23, ci si scambiava piccoli doni (profumi, posate, statuette, candele). I ricchi regalavano ai loro cari animali esotici o schiavi.
In età tardo imperiale i Saturnalia cadono gradualmente in disuso. L’atmosfera, sempre più influenzata dallo gnosticismo e dallo spiritualismo orientale, si fa più seria e raccolta anche tra i pagani. Si inizia a celebrare il sole invitto il 25 dicembre. È un culto mitraico di derivazione zoroastriana. I riti sono misterici e iniziatici, ma una parte è aperta al vasto pubblico, tanto che anche i cristiani a un certo punto iniziano a prendervi parte.
Il Natale cristiano per un secolo va in parallelo con la festa del sole e vi si sovrappone. Ancora nel 460 papa Leone denuncia la pratica di quei fedeli che, prima di entrare nella basilica di San Pietro, si volgono verso il sole e chinano il capo.
L’uso dei regali riprende in età moderna, prima per i bambini, poi per tutti. L’Occidente secolarizzato e neopagano fonde il Natale con il Capodanno e riprende in parte lo spirito dei Saturnalia. Gli aspetti più ludici vengono rimandati al carnevale, una festa antica di origine babilonese, ma resta una strana frenesia che aiuta a mettere tra parentesi i problemi di tutti i giorni. La libertas decembri diventa il non volere pensare alle cose spiacevoli.
I mercati finanziari entrano in pieno in questo stato fin dalla metà di novembre. Le brutte notizie vengono rifiutate o minimizzate, le buone sono enfatizzate. Non si vogliono problemi, la testa corre ai regali, ai Christmas party, alla prenotazione delle vacanze, agli auguri. In questo contesto gli economisti e gli strategist pubblicano le loro previsioni per l’anno che verrà, con l’immancabile 10-15 per cento di aumento dei corsi azionari e il secondo semestre che sarà invariabilmente meglio del primo.
Il rialzo di fine anno fa comodo ai gestori, ma non bisogna pensare a strane cospirazioni di grandi banche che spostano i mercati. Molto più semplicemente tutti smettono di vendere. Chi vuole realizzare plusvalenze per ragioni fiscali (una pratica diffusissima quest’anno in America in vista del fiscal cliff) lo fa a fine novembre e nei primi giorni di dicembre e poi se ne va e lascia il campo ai compratori. Non occorre che gli acquisti siano massicci, è sufficiente che siano più delle vendite. La conseguente salita dei mercati viene poi razionalizzata e diventa a sua volta una conferma delle buone prospettive del mondo che verrà. Chi non è convinto si adegua e rinvia le vendite. Sa che, aspettando, venderà meglio più avanti.
Perfino nel 2008, nel bel mezzo della più grande recessione degli ultimi 70 anni, dicembre trascorse in un’atmosfera irreale di tepore e di speranza che la tempesta fosse finita. L’SP 500, che era precipitato dopo Lehman da 1300 a 752, il 20 novembre iniziò il rialzo di fine anno che lo portò a 931 il 2 gennaio 2009, un recupero del 24 per cento. Passate le feste, senza nemmeno aspettare l’Epifania, il mercato ricominciò immediatamente a flettere fino al 9 marzo, toccando il famigerato minimo di 666.
Quanto alla dinamica tra primo e secondo semestre, le previsioni istituzionali (a partire da Fed, Bce e Bundesbank) e quelle delle grandi case sono unanimi nel dire che la prima metà del 2013 sarà lenta in America e stagnante in Europa (con segno negativo nell’area mediterranea) ma che in compenso il secondo semestre e, ancora di più, gli anni successivi vedranno una continua accelerazione. Ebbene, ironicamente, le previsioni di un anno fa a quest’epoca erano identiche. Ci sarà recessione in Italia e Spagna nella prima parte del 2012, si disse allora, ma verso metà anno vedremo l’avvio della ripresa. Che ovviamente non c’è stata.
Per il 2013 c’è una giustificazione, il fiscal cliff. Lo scontro politico, al di là di qualche misura tampone che verrà presa entro i primi di gennaio, si prolungherà per tutto il primo e forse il secondo trimestre. Una volta prese le grandi decisioni, si ragiona, verrà meno l’incertezza e questo fatto, da solo, porterà a una riaccelerazione dei consumi e degli investimenti. Tutto vero, se non per l’impatto che le misure fiscali avranno sull’economia. Se queste misure saranno modeste l’impressione degli operatori economici e dei mercati sarà che molto presto vi si dovrà di nuovo porre mano. L’incertezza, a quel punto, non verrà dissipata. Se invece le misure saranno significative (molte più tasse e molte meno spese) le conseguenze per l’economia, come ormai sappiamo in Europa (Regno Unito compreso) saranno negative. La speranza è che si prendano misure strutturali, come l’aumento dell’età della pensione, che abbiano un impatto importante ma non immediato. Al momento, tuttavia, non c’è molto sul tavolo.
Detto questo, rispetto a un anno fa non è irragionevole essere più fiduciosi. La politica fiscale americana, anche ammesso che diventi davvero (moderatamente) restrittiva, sarà compensata da una linea europea che su questo piano, al di là della retorica, sarà alla fine neutrale o addirittura leggermente espansiva. I disavanzi pubblici di molti paesi europei, infatti, non saranno a fine 2013 molto diversi da quelli finali del 2012.
Le politiche monetarie, in compenso, saranno ancora più espansive. La Fed è più aggressiva ogni mese che passa e il suo Quantitative easing continuerà fino a che la disoccupazione non sarà scesa al 6.5 per cento (e non al 7 come si era capito fino agli ultimi giorni). La Bce, dal canto suo, con la svolta di agosto è diventata una banca centrale (quasi) normale e la normalità, di questi tempi, significa monetizzazione del debito pubblico.
Quello che potrà però fare pendere la bilancia dal lato positivo sarà la ripresa del mercato immobiliare (e, in particolare, dell’edilizia) negli Stati Uniti e in Cina. Oltre a sostenere materie prime e acciaio (che altrimenti sarebbero scesi) l’edilizia promuoverà l’occupazione e un largo indotto.
La ripresa delle costruzioni avrà però una conseguenza negativa di cui è bene essere consapevoli. Fino a oggi i consumi di alcuni beni non troppo costosi (tablet, cellulari, abbigliamento, piccola gioielleria) sono andati bene perché hanno assolto una funzione consolatoria. Non impegnandosi in operazioni rilevanti come l’acquisto di una casa, a molte persone è restata in tasca la disponibilità per togliersi qualche soddisfazione nella vita quotidiana. Se si riprenderà ad acquistare case, il pagamento del mutuo assorbirà per molte famiglie risorse importanti e ci saranno meno soldi per le piccole gratificazioni.
Le vicende italiane, negli ultimi giorni, hanno prodotto ondate di paura ingiustificata. A leggere bene le posizioni delle forze politiche, incluse quelle considerate inclini al populismo, ciò che viene chiesto da tutti (con la sola eccezione di Monti) è la possibilità di rinegoziare con la Germania i tempi e i modi dell’austerità, non l’uscita dall’euro. A ben guardare, la campagna elettorale di Hollande si era mossa su un terreno simile. Per non parlare della Grecia, che ha infatti rinegoziato in grande stile la sua politica fiscale.
La Germania da una parte e Italia e Spagna dall’altra sono del resto condannate a venirsi incontro. Il problema, semmai, continuerà a essere la qualità, non la quantità, delle misure di austerità. Aumentare le tasse non è lo stesso che tagliare le spese, come non è lo stesso dimagrire perdendo grasso o perdendo muscoli. Il Regno Unito, che ha soprattutto tagliato le spese, non cresce, è vero, ma la sua occupazione privata è aumentata in questi anni in misura rilevante, mentre è scesa in Spagna e scenderà presto in Italia.
Operativamente, bisognerà fare attenzione al fiscal cliff. I mercati, nella loro spensieratezza natalizia, hanno deciso di non preoccuparsene. Bernanke, in conferenza stampa, ha notato però che le borse si comportano spesso in questo modo di fronte a uno scontro politico, salvo poi spaventarsi improvvisamente quando le cose cominciano ad andare troppo per le lunghe. A mercati spaventati (e solo allora) i politici trovano rapidamente un accordo.
Può darsi che quest’anno la fase di paura sia così breve da essere quasi impercettibile per chi si trova in vacanza sulle piste da sci o in qualche mare caldo. A costoro consigliamo di non spaventarsi più di tanto a condizione di non avere posizioni a leva.
Il primo trimestre del 2013 sarà verosimilmente di stagnazione in Europa e di crescita debole. Il peso delle banche centrali, sempre più aggressive, e la stagionalità positiva (gennaio e febbraio sono generalmente mesi molto buoni) dovrebbero tuttavia indurre ad approfittare di debolezze per comperare azioni e bond a spread (tra cui i governativi lunghi italiani). Il posizionamento del mercato, che da un mese ha ripreso a caricarsi di titoli, non è più particolarmente favorevole, ma non è ancora diventato un fattore negativo.
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