ROMA (WSI) – Alle prossime elezioni si presenteranno come candidati numerosi magistrati – Grasso (PD), Ingroia (Rivoluzione Civile), Dambruoso (Lista Monti), per dire dei più noti – che fino a pochi giorni fa erano in piena attività nell’amministrazione della giustizia. Si tratta di un’aberrazione. Un magistrato non dovrebbe entrare in politica perché questo getta un’ombra sulla sua attività pregressa. Il magistrato puo’ anche essersi comportato nel modo più corretto e imparziale ma al cittadino resta il legittimo dubbio che abbia svolto il suo delicatissimo lavoro non ai fini superiori della giustizia ma per favorire gli interessi di parte della formazione politica con cui si è candidato.
Questo dubbio basta per inficiare tutta la sua attività di magistrato. Come la moglie di Cesare non solo deve essere onesta ma deve anche apparirlo, così un magistrato non solo deve essere imparziale ma deve anche apparire tale. E se si immerge nella lotta politica questa apparenza di imparzialità si dilegua. Tra l’altro poiché tutti i magistrati che abbiamo citato si sono candidati in formazioni di sinistra o di estrema sinistra, si finisce per dare ragione a Berlusconi quando delira sui complotti delle ‘toghe rosse’ ai suoi danni e sostiene che esiste un ‘partito dei giudici’.
Dice : i magistrati sono cittadini come tutti gli altri e ne hanno quindi gli stessi diritti, anche quello, dismessa la toga, di fare politica attiva. I magistrati non sono cittadini come tutti gli altri é la loro delicatissima funzione, che può incidere sulla libertà e l’onorabilità delle persone, che impone loro dei limiti e dei doveri che i normali cittadini non hanno. Uno dei provvedimenti che dovrebbero essere presi nella prossima legislatura – ma è una utopia sperarlo- è una legge che impedisca ai magistrati, lasciata la toga, di entrare nella politica attiva o quantomeno che imponga un congruo lasso di tempo (cinque anni) fra l’abbandono della toga e il loro impegno attivo in politica. In questi cinque anni possono fare di tutto : gli avvocati, i pittori, i carpentieri ma non i politici.
Lo stesso discorso vale per le ‘esternazioni’ dei magistrati in carriera. Anche qui il limite alla libertà di espressione garantito a tutti i cittadini dall’articolo 21 della Costituzione è dato dalla loro funzione. Ci sono soggetti istituzionali che proprio a cagione dell’ufficio che svolgono hanno più doveri e quindi più limiti degli altri. Il Presidente della Repubblica è, come la Magistratura, un organo di garanzia, anzi il massimo organo di garanzia.
Il suo primo dovere è quello di essere, e di apparire, imparziale. Non può dire «il partito Tal dei Tali non mi piace », anche se lo pensa, deve limitarsi a sussurrarlo in un orecchio a sua moglie. Oggi invece assistiamo ad un profluvio di dichiarazioni ‘politiche’ da parte dei magistrati, in convegni, in dibattiti, in conferenze stampa, nei talk show, e spesso su procedimenti in corso e addirittura su procedimenti di cui hanno la titolarità. Ci furono tempi, non poi tanto lontani, in cui il magistrato parlava solo ‘per atti e documenti’. Erano, appunto, altri tempi. Di un’Italia più sobria, meno narcisista e più civile.
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