Società

Milioni di pensioni negate: bomba contributi da 10 miliardi

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ROMA (WSI) – Dalla pancia dell’Inps spunta la bomba ad orologeria dei contributi silenti. Che, secondo il direttore generale dell’Inps Mauro Nori, sono stati versati da «diversi milioni» di lavoratori. Tanto che in caso di obbligo di restituzione «l’Inps rischierebbe il default». Il numero preciso Nori non ha voluto farlo, ma la cifra in gioco, secondo calcoli fatti da ItaliaOggi Sette, a valori attualizzati, supera i 10 miliardi di euro.

I contributi silenti sono quelli versati da lavoratori in misura non sufficiente a garantire il diritto alla pensione. Per esempio, la riforma delle pensioni del 1993 concedeva a chi avesse versato almeno 15 anni di contributi entro il 1992 o a chi entro la stessa data avesse iniziato a versarli, di mantenere il requisito dei 15 anni di contribuzione. Molti lavoratori che ricadevano in quest’ipotesi stavano ora aspettando di spegnere le sessanta candeline per poter andare in pensione. E invece non lo potranno fare più; la riforma Fornero ne richiede 20, ben cinque in più, parificando i conti con il resto dei lavoratori.

A questo punto rimangono solo due alternative: continuare a versare contributi per altri cinque anni oppure perdere i soldi versati. In più la circolare Inps del marzo scorso, con un’interpretazione della norma che sembra essere più realista del re, impone anche a chi aveva maturato i 15 anni di versamenti di arrivare a 20 anni di contribuzione per avere diritto alla pensione.

Rispondendo a una interpellanza parlamentare il viceministro Michel Martone è stato costretto a riconoscere che si sia trattato di una forzatura interpretativa. Ma tant’è: l’Istituto di previdenza ha finora mantenuto la posizione.

Questo non fa che allargare una platea già assai vasta. Composta soprattutto da donne, ex lavoratori autonomi, stagionali agricoli pagati con i vaucher, professionisti con una vita lavorativa irregolare. Ora le dichiarazioni di Nori aprono uno spiraglio su una realtà che evidentemente è più drammatica di quello che finora si è voluto far credere. In pratica un furto legalizzato che a questo punto risulta assai difficile regolarizzare se è vero, come dice il direttore generale dell’Inps, che la restituzione ai lavoratori («diversi milioni») di quanto da loro inutilmente versato, manderebbe in dissesto l’Istituto di previdenza.

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