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Borse mondiali: correzione in vista, anzi no

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MILANO (WSI) – La durata media dei cicli di espansione economica del dopoguerra è di 45 mesi. La ripresa globale seguita alla crisi del 2008-2009 compirà 48 mesi fra pochi giorni. Nell’Europa mediterranea, per il terzo anno di fila, ci si chiede se c’è luce in fondo al tunnel e per il terzo anno si giura che sì, la luce c’è. E tuttavia che mondo troveranno Italia e Spagna (e Portogallo e Grecia, ma non l’Irlanda, che cresce da due anni e accelererà nei prossimi due) quando finalmente usciranno dal tunnel? Sarà la notte senza stelle della recessione globale o ci sarà ancora qualche ora di luce prima del tramonto?

Il bello delle medie è che possono essere superate. L’espansione in corso, benché attempata per le statistiche, può durare tranquillamente ancora 24-36 mesi e forse anche di più. La luce che arde col doppio di splendore, spiega al replicante di Blade Runner il suo creatore, brucia per metà tempo. Questa volta, però, la candela ha creato metà della luce abituale (tra Europa e Stati Uniti la velocità di crescita media complessiva è stata di poco più dell’uno per cento all’anno, contro il due abbondante dei cicli normali) e potrà quindi bruciare, se non ci saranno sorprese esogene, per il doppio del tempo.

A ben vedere, l’argomento più potente a favore di una continuazione del rialzo di borsa non è l’accelerazione della crescita, che il mercato si è inventato per razionalizzare il rally che dura (con due settimane di pausa in novembre) da quasi nove mesi, ma esattamente il contrario, ovvero la persistente debolezza della crescita stessa.

La Germania è l’unico paese al mondo in piena occupazione. In tutti gli altri, la crescita debole garantisce che l’assorbimento della disoccupazione sia lento. Le banche centrali non hanno dunque nessuna fretta di alzare i tassi e nemmeno di abbandonare la pratica del Quantitative easing. Ogni tanto i bond sussultano nel timore che la loro epoca sia finita per sempre, ma anche per loro è previsto un supplemento di vita, molto meno brillante rispetto agli anni recenti, ma ancora decorosa.

Dal canto loro le materie prime sono tranquille e l’oro mostra anzi una debolezza perfino eccessiva. Il petrolio, comprato pavlovianamente dalla finanza perché associato all’idea di accelerazione della crescita, resta in realtà abbondante e non ha motivo serio di crescere oltre di prezzo.
Niente appare dunque surriscaldato se non alcuni degli asset finanziari (ma non certo l’immobiliare) sotto i quali continueranno comunque a soffiare le banche centrali nel tentativo di sostenerli quasi ad ogni costo.

Detto questo, c’è un limite alla velocità con cui la panna può essere montata e nemmeno le banche centrali si augurano che il rialzo delle borse sia ininterrotto e sempre più forte. Ogni tanto ci vuole una pausa, non solo per ripulire il mercato dagli eccessi, ma anche e soprattutto per permettere ai dubbiosi obbligazionisti rimasti a guardare intimiditi il rally di borsa di entrare a loro volta nel gioco e allargarne le dimensioni.

È tempo di una correzione, dunque. È vero, l’economia ha dato qualche sorpresa positiva sul lato della produzione perché le imprese, per paura del fiscal cliff, avevano ridotto le scorte e ora stanno cercando di ricostituirle. Dal lato dei consumi, però, il quadro è deludente. Walmart, un eccellente indicatore, ha segnalato vendite pessime. Gli americani, molto meno allenati di noi europei agli aumenti di tasse, hanno preso male il taglio alla busta paga introdotto a partire da gennaio e dovendo anche affrontare un (probabilmente temporaneo) aumento della benzina hanno immediatamente limitato gli altri consumi.

Quanto all’Europa, è vero che la Bundesbank segnala ripresa in Germania, ma un rimbalzo dopo la forte caduta del quarto trimestre non segnala necessariamente un’inversione duratura di tendenza. Le vendite di auto in Europa sono del resto risultate in gennaio dell’8.5 per cento inferiori a quelle dell’anno scorso e gli indicatori di sentiment positivi sono stati influenzati almeno in parte dall’andamento delle borse. Nell’area mediterranea il sempre triste Rajoy ha respinto con decisione l’idea che ci siano in Spagna germogli di ripresa.

Le elezioni italiane, verosimilmente, non creeranno problemi insormontabili ai mercati, ma un aumento di volatilità è probabile. Per l’Italia saranno più decisive le elezioni tedesche di settembre. Al momento c’è un distacco di 19 punti tra la Cdu e la Spd. Se andrà avanti così, dopo il voto la Markel farà quello che vorrà e lo farà con chi vorrà. Il problema è che non è molto chiaro se userà la sua forza per accelerare l’integrazione europea o, al contrario, per tornare a premere sugli altri paesi dell’Eurozona perché riprendano la pratica ascetica dell’austerità e tornino ad avvicinarsi a quel pareggio di bilancio dal quale di fatto stanno, da qualche mese, di nuovo allontanandosi.

Mentre in Italia si discute di Europa in termini ideologici, vaghi e astratti, in Germania si continuano a pubblicare studi che cercano di quantificare e dettagliare le risorse tedesche da destinare ai trasferimenti al resto dell’Eurozona nell’ipotesi di un’unione fiscale. Il dibattito è costante, le posizioni sono divise. I toni relativamente calmi, in ogni caso, non dureranno a lungo.

All’orizzonte si profilano anche i tagli automatici alla spesa che scatteranno in America dal 27 marzo. I mercati hanno manifestato finora un atteggiamento di sufficienza rispetto a questa scadenza. Contano sul fatto che un compromesso dell’ultima ora venga trovato anche questa volta, ma è molto improbabile che non emerga a un certo punto un po’ di paura.

David Kostin di Goldman Sachs fa notare che la crisi del debt ceiling del 2011, cui tutti arrivarono impreparati, costò al mercato il 17 per cento. Il fiscal cliff, al quale ci siamo tutti preparati per un anno, ha prodotto un danno del 7 per cento. Il sequester potrebbe produrre guasti ancora più modesti, che Kostin ipotizza ragionevolmente intorno al 5 per cento. In pratica l’SP 500, arrivato due giorni fa a 1531, fermerebbe la sua discesa a 1450.

La correzione di borse e greggio darà, nelle prossime settimane, un certo sostegno a Treasuries e Bund. L’euro sarà da calmo a leggermente debole. Per un Weidmann che dice che questi livelli vanno benissimo c’è un Noyer che afferma in francese che l’euro ben difficilmente si rafforzerà. I due, a ben vedere, non dicono cose molto diverse.

Consigliamo di non preoccuparsi più del necessario per le minute del Fomc della Fed. Le voci che si esprimono a favore di una possibile riduzione degli importi del Quantitative easing hanno nel Fomc e nei verbali una specie di diritto di tribuna e lo usano ogni volta che ne hanno la possibilità. Il comando della Fed resta tuttavia saldamente nelle mani delle colombe.
Anche sul voto italiano sarà bene avere un certo distacco. In fondo le uniche alternative sono una coalizione a due o una coalizione a tre. Ricordiamo anche che la Merkel, in questa fase, non ha nessun interesse a rendere di nuovo incandescente la nostra crisi.