ROMA (WSI) – Maroni e il Cavaliere si sono visti, senza pubblicizzarlo, per concertare la linea. Il summit del centrodestra ha avuto luogo mercoledì sera ad Arcore, commensali Alfano, Calderoli e il luogotenente lombardo di Berlusconi, già sindaco di Arconate, Mantovani.
Tutti insieme hanno constatato come, dal loro punto di vista, esistano solo due via d’uscita. La prima: un «governissimo» con gli adorati nemici del Pd, che duri però almeno tre anni, abbassi le tasse e tagli le unghie ai magistrati. La Lega, inutile aggiungere, dovrebbe partecipare al super-inciucio. Potrebbe al limite presiederlo un tecnico, a patto che ne facciano parte ministri politici, con la casacca di partito.
E se Bersani non ci stesse, come al momento sembra scontato? Ecco allora l’altra strada vagheggiata a Villa San Martino: elezioni subito, anzi subitissimo. Una resa dei conti finale con Grillo e con le sinistre, nella speranza stavolta di arrivare primi.
I sondaggi del Cavaliere, che solitamente ci azzeccano, registrano un’avanzata ulteriore del M5S sull’onda della vittoria, ma pure del centrodestra, con Bersani in difficoltà.
«Perché non provarci?», si sono detti alla cena di Arcore. Di qui, l’accelerazione. Un segugio come Minzolini, neo-eletto nelle file del Pdl, fiuta l’aria che tira: «Se fossi in voi», mette sul chi vive gli ex colleghi, «mi preparerei alle elezioni…».
Circola una data, il 16 giugno. Oppure il weekend successivo, al centrodestra andrebbe bene uguale. Assicurano i luogotenenti di Berlusconi che nulla impedisce di tornare alle urne prima dell’estate. Il nuovo Presidente della Repubblica verrà eletto forse già il 15 aprile, quando si riunirà il Parlamento in seduta comune, o nei giorni immediatamente successivi.
Per fare più svelti c’è chi tra i «berluscones» si spinge al punto da scommettere su un «bis» di Napolitano (il quale in verità non sembra affatto disponibile), quasi una sorta di acclamazione. Chiunque sarà Presidente, prenderà atto che la crisi non ha sbocco, in un baleno scioglierà le Camere e convocherà daccapo i comizi…
C’è un «tot» di sgrammaticatura istituzionale, nel piano appena esposto. Comunque sia, ciò che Berlusconi e Maroni escludono nel modo più categorico è di dar vita a un «governicchio a termine», o «di tregua». Se non nascerà una soluzione stabile, capace di stendere un cordone sanitario intorno a Grillo, meglio starne alla larga: così dicono all’unisono Pdl e Lega.
Qui entra in gioco l’offensiva giudiziaria contro Berlusconi. A parte l’inchiesta da Napoli su De Gregorio, dove c’è chi paventa una richiesta di manette per Silvio, i processi Mediaset e Ruby possono concretizzarsi entro l’autunno in condanne definitive, con tanto di timbro della Cassazione.
A quel punto Berlusconi verrebbe allontanato dal Parlamento e, peggio, dichiarato «non candidabile». Il Giaguaro sarebbe finalmente smacchiato. «Per noi votare prima di allora diventerebbe questione di vita o di morte», spiega un ex-ministro che mesi fa veniva annoverato tra le «colombe» e ora è super-falco.
La disperazione «possiede» il centrodestra e ne offusca il raziocinio. Al momento il più mite, da quelle parti, somiglia a un pasdaran, sebbene nemmeno tra i fedelissimi del Capo manchino quanti cercano una sponda dentro il Pd. Ed ecco infatti Verdini tenere vivi i contatti con Migliavacca, non si sa mai; ecco Bonaiuti consultarsi con il suo amico Latorre; ecco in azione Gianni Letta che i D’Alema ha da sempre un estimatore sincero…
Proprio Letta si è precipitato a salvare il galateo con Monti, dopo che Berlusconi ha disdetto l’appuntamento odierno col Professore in vista del Consiglio europeo: «La congiuntivite non è diplomatica», ha garantito Letta, promettendo che l’incontro è solo rinviato a martedì o mercoledì prossimo, non appena Berlusconi tornerà nella Capitale. Monti ci ha creduto (o ha fatto finta di crederci, fa lo stesso).
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