ROMA (WSI) – La decisione formale arriverà stasera quando alla Camera si riunirà l’assemblea dei deputati per assumere una linea il più possibile unanime, ma da una serie di segnali incrociati, Bersani e lo stato maggiore del Pd sarebbero pronti ad una mossa di grande impatto: il via libera a votare un esponente del Movimento 5 Stelle per la presidenza di Montecitorio. E di questi segnali di disponibilità, pur sofferta, del Pd, uno dei più significativi sembra essere il passo indietro del candidato favorito dei Democratici, cioè Dario Franceschini, che ha fatto sapere di non essere disponibile ad assumere quel ruolo neanche nel caso che i grillini facessero marcia indietro rinunciando alla posizione apicale.
Con l’argomentazione, espressa pare in vari colloqui con i vertici del suo partito, che un conto sarebbe stato assumere questa responsabilità nell’ambito di un progetto complessivo di un’intera legislatura di tipo costituente, altra cosa il respiro che potrebbe avere in una condizione come quella uscita dalle urne, in cui l’incertezza regna sovrana e la durata della legislatura difficilmente sarà quella naturale. Ma non è l’unico indicatore che fa pendere la bilancia del Pd verso questa soluzione, che peraltro lascia perplesso un largo fronte trasversale alle diverse anime interne, con dubbi diffusi sui possibili rischi insiti in questa scelta tra gli stessi bersaniani, lettiani e franceschiniani, veltroniani e bindiani vari. Nel partito ormai il tam tam è questo e tutti si preparano ad avallare quella che viene indicata come la logica conseguenza della linea tenuta fin qui da Bersani, cioè predisporre tutte le condizioni per rendere più difficile ai grillini dire no ad un «governo del cambiamento».
Anche il plenipotenziario del segretario nella triade degli sherpa che porta avanti la tornata di contatti al Senato con le altre forze politiche, cioè Davide Zoggia, uscendo dall’incontro con i «montiani» perplessi sulle aperture ai grillini, fa notare: «Siccome noi abbiamo sempre detto che siamo per il cambiamento e visto che loro hanno un risultato numerico equivalente a quello del Pd, non sarebbe logico, a fronte di una disponibilità da parte dei 5Stelle, non votare un loro candidato…Detto questo, vedremo». I più decisi ad andare avanti su questa linea sembrano essere i «giovani turchi» e i bersaniani e il motivo è semplice: se il tentativo di formare un governo franasse, si dovrebbe votare a giugno con lo stesso Bersani in campo. Che potrebbe giocarsi una sorta di secondo tempo della partita, scaricando a quel punto la responsabilità di nuove elezioni su Grillo; con la tesi, molto utile secondo loro in campagna elettorale, che sarebbe finita così malgrado tutto fosse stato tentato e alla luce del sole, nel modo più corretto: votare un grillino nello scranno più alto della Camera, preparare un programma circostanziato in 8 punti, dire sì al taglio del finanziamento pubblico ai partiti…Insomma, una strategia che dovrebbe condurre alle urne al più presto senza frapporre tempo in mezzo per nuove primarie che potrebbero incoronare Renzi e stravolgere gli equilibri della sinistra. Quindi, alla Camera potrebbe finire con una votazione di un esponente grillino nello scranno più alto, di un vicepresidente sempre di area 5Stelle, due vicepresidenti del Pd e uno del Pdl.
Al Senato, invece, dove l’assemblea Pd è convocata alle 18, la situazione è, se possibile, più complessa e dovrebbe portare, con tutti i condizionali del caso, a votare un candidato del Pd alla presidenza, e il nome più gettonato è quello di Anna Finocchiaro: che alcuni dicono potrebbe ricevere pure un mandato esplorativo come seconda carica dello Stato, per provare a formare un governo se il piano A di Bersani dovesse incepparsi. Insomma una candidatura che col passar delle ore diventa sempre più forte, visto che la subordinata di una presidenza affidata ad un esponente di Scelta Civica, lo stesso Monti o Mario Mauro, sembra tramontata dopo che ieri è sceso il gelo con i diretti interessati. Al Senato, in un incontro di un’ora con gli sherpa del Pd, Zanda, Zoggia e Calipari, la delegazione montiana guidata da Andrea Olivero non ha fatto altro che ripetere, con parole diverse, quanto in sostanza uscito dal vertice con Monti della mattina: una chiusura netta ad un governo Pd-5Stelle e il rilancio di una prospettiva di larghe intese per le riforme. Non proprio un buon viatico per ottenere una presidenza in un clima del genere.
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