Società

Boston “zona di guerra”. Torna nel mondo l’incubo 11/9

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NEW YORK (WSI) – Sono passati più di dieci anni dallla tragedia dell’11 settembre; era il 2001, e il ricordo per molti americani è ancora molto vivo. Lo shock per quegli attacchi terroristici che hanno colpito il territorio degli Stati Uniti ha lasciato il campo, in questi anni, a una falsa e illusioria sensazione di sicurezza.

Dopo l’11 settembre il mondo è indubbiamente cambiato, i controlli negli aeroporti, nelle città considerate target cruciali, intensificati: due guerre sono state combattute in nome dell’America ferita, una in Afghanistan e una in Iraq, mentre il ricordo di quegli aerei che si infilavano come coltelli nel burro nelle Twin Towers non ha mai spesso di ossessionare il mondo.

E la domanda a volte tornava: i controlli serrati, le misure di sicurezza, sarebbero bastati a garantire la sicurezza nazionale degli Usa? E quella internazionale? E per quanto tempo?

La risposta è arrivata qualche ora fa, in meno di 24 ore il mondo ha visto, con le incessanti immagini che circolano nel web, le breaking news continue, i messaggi sui social network e gli infiniti tweet, il primo attacco terroristico in America dall’11 settembre del 2011. Teatro della tragedia: Boston. Quando: durante la maratona, una delle più importanti e seguite a livello internazionale.

LE TESTIMONIANZE

Rachel Sibley, 22 anni, era vicinissima al traguardo e al momento dell’accaduto attendeva l’arrivo di un amico che partecipava alla maratona. “Improvvisamente, ho sentito questa esplosione, che sembrava quella di un cannone – ha raccontato – La gente ha iniziato a volgere lo sguardo verso il cielo, in attesa di guardare i fuochi di artificio, come se il bang celebrasse qualcosa. L’intera folla ha aspettato un momento, poi si è sentita la seconda esplosione. E lì, il caos assoluto. E il panico nel volto della gente”.

Un medico, che si trovava in uno dei tendoni messi a disposizione dalla città in casi di emergenza – emergenza intesa come improvvisi eventuali malori dei partecipanti alla maratona – ha descritto la scena: “Abbiamo iniziato tutti a correre per portare i feriti in tenda. La situazione è apparsa subito come molto preoccupante. Come se fossimo stati catapultati in una zona di guerra. E, subito, siamo tornati con la mente all’11 settembre.

Amanda Fahkkredine, 25 anni, si stava recando nella stazione metropolitana di Arlington, a distanza di pochi blocchi dalla linea di traguardo della maratona, quando ha sentito esplodere le bombe, proprio mentre due treni si fermavano alla stazione. “Ho sentito a un certo punto un grande frastuono, e due poliziotti che hanno iniziato a urlare a tutti di uscire dalla stazione – racconta Amanda – Ma non sembrava che sapessero esattamente quanto stesse accadendo”.

Su alcuni feriti, gravi, è stato necessario amputare gli arti: si parla di 10 amputazioni. Ma il timore che il bilancio possa essere più pesante è concreto. “Questi corridori avevano appena finito la corsa e si sono ritrovati senza gambe – dice Roupen Bastajian, 35 anni, ex Marine – Sono molti. Ho visto così tanta gente senza gambe, tutto era sangue. Il sangue era ovunque. C’erano ossa, frammenti“.

Dall’altra parte del mondo, in Giordania, si levano grida quasi di gioia. Il numero uno del gruppo estremista Jordanian Muslim Salafi ha detto senza tanti giri di parole di essere “contento di vedere l’orrore in America”.

“Il sangue americano non è più prezioso di quello musulmano – ha affermato Mohammad al-Chalabi, condannato tra l’altro per aver partecipato a un attacco contro gli Stati Uniti e altre missioni diplomatiche occidentali legate ad al-Qaida – Lasciate che gli americani sentano il dolore che noi abbiamo dovuto sopportare a causa dei loro eserciti che hanno occupato l’Iraq e l’Afghanistan, uccidendo la nostra gente”.

Al Chalabi ha trascorso sette anni in prigione. Il suo gruppo è considerato fuori legge in Giordania.