MILANO (WSI) – Capo Agulhas, il Capo degli Aghi in portoghese, è il punto più meridionale dell’Africa. È qui, di fronte alle montagne dell’Overberg, che due immani muraglie d’acqua, l’Atlantico e l’Indiano, si scontrano senza tregua sprigionando grandi energie, con onde fino a 30 metri, iceberg alla deriva che si muovono veloci e venti che d’inverno soffiano a 150 chilometri l’ora. I pesci vi si trovano benissimo, le navicelle degli uomini molto meno. La principale attrazione di Bredasdorp, una cittadina riparata nell’interno a venti miglia dalla costa, è un museo dedicato ai naufragi. La stessa quantità di energia, ancora più distruttiva, si sprigiona ogni volta che la placca continentale africana si scontra con quella eurasiatica, un fenomeno che ci ha regalato la bellezza delle Alpi ma che un giorno porterà alla scomparsa del Mediterraneo.
Fenomeni analoghi avvengono nei mercati quando due paradigmi interpretativi arrivano al punto di collisione, come sta succedendo in queste ore tra il modello reflazionistico e quello deflazionistico. L’energia cinetica, in questo caso, prende la forma della volatilità. I danni prodotti possono essere ingenti. I naviganti esperti, in questi momenti di stop loss e chiamate a margine, trovano un mare molto pescoso, ma qualche volta tocca anche a loro finire come la Meisho Maru, il peschereccio giapponese naufragato sugli scogli di Capo Agulhas nel 1982 e oggi attrazione per i visitatori.
Torniamo a una settimana fa, nelle ore di attesa degli utili di Alcoa, che per le borse di tutto il mondo equivalgono al primo exit poll dopo un’elezione incerta e combattuta. Il mercato è eccitatissimo, è in corso uno short squeeze in piena regola. L’SP 500 arriva a quota 1600 per la prima volta nella storia e un commentatore di lunghissimo corso e da tutti rispettato come Art Cashin si lascia scappare che siamo alla vigilia di un melt up, di un’esplosione verso l’alto.
Siamo al decimo mese di rialzo, i ribassisti si sono estinti da tempo, il flusso di dati macro è stato positivo per parecchie settimane. Molti leggono poi nelle minute del Fomc l’orientamento verso una riduzione degli interventi di Quantitative easing già a partire dall’autunno e una cessazione del programma a fine anno. In realtà questa è la posizione della minoranza repubblicana, la maggioranza si limita a essere cautamente possibilista. Siamo però nel paradigma della Grande Rotazione (la migrazione dei portafogli dai bond all’equity) e questo accenno alla fine del Qe sembra togliere ai bond, entro breve, l’unico sostegno loro rimasto, quello degli acquisti da parte della Fed. Nonostante i bond siano in quel momento molto forti, alcune case cominciano a prevedere l’avvio di un bear market secolare per tutto l’obbligazionario, compensato naturalmente dal melt up sull’azionario, unico investimento d’elezione. Questo clima è alimentato anche dal costante indebolimento dello yen e dal corrispondente rafforzamento del Nikkei, due macchine per fare soldi che per alcuni sono solo all’inizio del loro ciclo vitale. Riassumendo, economia in accelerazione (il sequester è da tempo derubricato a increspatura), utili forti, espansione dei multipli, Grande Rotazione e quindi, come risultato, risk on.
Poi, in rapidissima sequenza, la tempesta perfetta. Il Giappone viene perentoriamente invitato da Stati Uniti e (per quello che conta) Europa a fermare la svalutazione dello yen. Si spegne dunque, almeno per il momento, il motore del carry trade universale, quella macchina del moto perpetuo per cui ci si indebita in yen e si compera borsa guadagnando da un lato e dall’altro.
Si fanno due conti sull’inflazione e si scopre che scenderà quest’anno e scenderà anche il prossimo in tutto il mondo, con la sola eccezione del Giappone. Si corre allora a vendere oro. Il crash dell’oro comporta chiamate a margine che costringono a vendere anche la borsa. Si drammatizza la vendita di 10 tonnellate da parte di Cipro (una tonnellata d’oro ha il volume di una scatola da scarpe) senza contestualizzarle rispetto alle 31mila detenute nel loro complesso dalle banche centrali o, tanto per fare un esempio, alle 20 tonnellate di sola produzione clandestina che escono di contrabbando ogni mese dal Congo senza entrare nella contabilità ufficiale.
Nelle stesse ore la Cina comunica dati deludenti su tutta la linea. Sappiamo che ciò che delude in Cina sarebbe una visione celestiale nel resto del mondo, ma tutto si gioca contro le aspettative. Meno palazzi in costruzione a Shanghai o Tianjin significano meno rame per i fili elettrici da importare. Ecco allora il rame accompagnare l’oro nella caduta.
Poiché la tempesta è davvero perfetta, si mette improvvisamente a fare caldo nell’emisfero settentrionale. Scende dunque anche il petrolio (ma non il gas). Succede inoltre che alcuni colli di bottiglia che separavano la nuova produzione del Dakota dalle raffinerie del Texas vengono finalmente superati. Il petrolio si scopre abbondantissimo e, giustamente, scende. Nelle stesse ore Edward Morse, economista delle fonti d’energia stimato e visionario, pubblica per Citi uno studio di 150 pagine in cui si annuncia la fine del superciclo rialzista delle materie prime e l’avvio di un bear market, sia pure selettivo. Morse annuncia i suoi obiettivi di prezzo per oro, rame e petrolio per la fine del 2014 e il mercato, efficiente e sbrigativo, li raggiunge in qualche ora (e nel caso dell’oro li supera verso il basso). Aggiungiamo qualche utile al di sotto delle attese, dati macro negativi in Europa e la stagionalità sfavorevole (sell in May) ed ecco il mercato nella più completa confusione.
Per chiarirci le idee partiamo dalle due paginette che Olivier Blanchard ha premesso al World Economic Outlook che il Fondo Monetario ha appena pubblicato. Blanchard è al suo posto di capo economista per nomina dell’Eliseo e accettazione della Casa Bianca, che è a poche centinaia di metri dal suo ufficio. È comprensibile che si esprima con toni sfumati e colori tenui, ma il suo discorso è comunque chiaro e molto interessante. Gli emergenti, dice Blanchard, sono a posto. Non crescono come negli anni passati, ma hanno un buon equilibrio. L’America va meglio di quanto non appaia, perché è penalizzata da una frenata fiscale piuttosto forte. Il Giappone sta facendo un esperimento azzardato e speriamo che ce la faccia. L’Europa invece è un problema perché sta rallentando troppo anche al centro, in Francia e perfino in Germania. In questo contesto Blanchard raccomanda politiche monetarie espansive a tutti, ma in particolare all’Europa, che su questo fronte è ferma da mesi. Interessante il rimprovero agli Stati Uniti sulla politica fiscale, giudicata troppo restrittiva. Cortese ma fermo, infine, il richiamo alla Germania. Sarebbe bene che la finisse con l’austerità almeno in casa propria. Berlino farebbe un favore a tutti se producesse un po’ di rosso nei suoi conti. Ecco invece, a poche ore di distanza, uno Schäuble raggiante che conferma l’obiettivo di un bilancio tedesco in surplus nel 2016. Porteremo il nostro esempio al G 20, annuncia.
Proviamo a trarre qualche conclusione. Per quest’anno e per il prossimo il mondo corre più rischi di deflazione che d’inflazione. Sono rischi remoti, per fortuna, ma da non trascurare. L’inflazione arriverà, ma dal 2015 in avanti. L’America continuerà a procedere al trotto, a quel 2 per cento che vediamo da tre anni. Sarà una crescita sana e solida (più privata che pubblica), ma non vedremo quell’accelerazione di cui molto si è parlato nei mesi scorsi. La Fed continuerà tranquillamente con il Quantitative easing tutto quest’anno e troverà ogni pretesto per prolungarlo al 2014. Niente bear market per i Treasuries quest’anno.
La Germania continuerà nel suo trip virtuistico. Sarà inflessibile con se stessa e quindi continuerà ad esserlo anche con il resto d’Europa. Il massimo che concederà è quello che è già stato concesso, il temporaneo congelamento delle politiche fiscali restrittive nei paesi in recessione. Le virtù private sono però pubblici vizi. Un’Europa a crescita zero a perdita d’occhio diventa ancora più inaccettabile in un contesto globale di deflazione strisciante. La Bce cercherà di compensare le asprezze fiscali di Berlino con politiche aggressive. Si inizierà in giugno o luglio con un taglio dei tassi e poi si replicherà con i rifinanziamenti a lungo termine alle banche o ci si inventerà qualcosa di nuovo. Si cercherà, a un certo punto, di buttare giù l’euro. Come di consueto, la Germania è più aperta e possibilista sul piano monetario che su quello fiscale.
La Cina continuerà la sua difficile transizione dagli investimenti ai consumi. La crescita sarà più bassa che in passato, ma su una base sempre più grande. In termini assoluti, il 6 per cento di oggi è la stessa cosa del 12 per cento di otto anni fa, quando l’economia cinese era la metà di quella di oggi. Ci sarà quindi ancora bisogno di rame e di petrolio. È fisiologico che le materie prime flettano nella seconda parte di un ciclo economico espansivo. L’offerta, infatti, comincia a un certo punto a crescere più della domanda. Prima di avviare un progetto le società minerarie vogliono essere sicure che il ciclo sia solido. Una volta presa la decisione di investire occorrono anni prima che la produzione entri a regime. Da quel punto in avanti, tuttavia, i costi fissi inducono a sfruttare il più possibile la miniera anche in presenza di prezzi calanti. Da qui l’inevitabile bear market.
L’oro, anche a questi prezzi, è da evitare per chi abbia intenti speculativi. Chi lo compra farà bene ad adottare il punto di vista delle banche centrali emergenti, che continueranno ad accumularlo con gradualità come diversificazione e in vista della progressiva svalutazione di dollaro, euro e yen nei confronti delle loro valute. Questa svalutazione, che negli ultimi due anni si è fermata, riprenderà verosimilmente nella seconda metà del decennio.
I bond, dati molte volte per finiti in questi quattro anni passati, hanno ancora un avvenire. I capital gain saranno sempre più difficili e i rendimenti rimarranno ben poco attraenti, ma il bear market che sembra sempre attenderli dietro l’angolo è rinviato di 12-18 mesi. Difficilmente le borse faranno nuovi massimi per qualche tempo. Il clima rimarrà nervoso e volatile, ma le banche centrali continueranno a offrire un sostegno. Nel caso giapponese il supporto sarà diretto, con acquisti in borsa di Etf e fondi immobiliari.
Negli scorsi dieci mesi il rialzo, come sempre accade, ha lentamente intossicato i mercati, dando loro una falsa sensazione di onnipotenza. I prossimi mesi saranno più incerti e sobri, ma il clima di fondo, per le borse rimane positivo per il 2013 e il 2014.
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Bisogna però fare attenzione. Le banche centrali continueranno a versare vino buono e abbondante nei calici dei mercati. Lo faranno perché il contesto, in particolare europeo, presenta rischi seri di deflazione. Questo significa che gli asset in generale (a parte la correzione stagionale che è appena iniziata) andranno bene. Qualcuno di questi asset, tuttavia, sparirà improvvisamente dalla festa e non si saprà più niente di lui. Cipro da una parte, gli steroidi dall’altra. La nuova normalità sarà un lungo party nella sala grande e qualche regolamento di conti sbrigativo in un angolo buio del giardino.
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