TORINO (WSI) – Una passione temeraria spinge i postcomunisti verso le banche. Un’attrazione fatale che ora si manifesta seguendo anche il percorso inverso, dalla banca alla politica, considerato che Sergio Chiamparino, banchiere da 12 mesi e politico da una vita, sindaco Pd di Torino per un decennio, si candida niente meno che alla guida del partito che fu di Togliatti e Berlinguer. Chiamparino è presidente della Compagnia di San Paolo, con uno stipendio di 70 mila euro netti l’anno, una paga sabauda, più da grigio ragioniere che da sfavillante banchiere, ma in un posto di peso.
La Compagnia San Paolo è l’equivalente nel nordovest d’Italia del Montepaschi nel Centro, con una piccola differenza: mentre la Fondazione senese ha le pile scariche causa mancanza di quattrini, la Compagnia torinese è nel pieno del suo fulgore e i quattrini è in grado di offrirli a destra e a manca. Cosa che fa sempre piacere, ma in un momento come questo può segnare la distanza tra la sopravvivenza e il precipizio. Il suo potere si basa su un patrimonio di oltre 5 miliardi di euro e una partecipazione di quasi il 10 per cento a Banca Intesa che la fa essere il primo azionista dell’istituto.
E poi sulla possibilità di erogare finanziamenti per 130 milioni di euro l’anno in “favore del territorio”, dal museo del Cinema al Teatro Regio, dalle regge reali e Venarìa all’Università. Quattrini benedetti in un momento in cui nessuno scuce più un soldo, assegnati seguendo logiche sostanzialmente discrezionali e che nelle casse della Compagnia arrivano grazie agli investimenti effettuati e ai dividendi ricevuti da Banca Intesa.
Per quanto riguarda gli investimenti, Chiamparino si è tramutato da politico in banchiere proprio mentre fuori infuriava una delle crisi finanziarie più disastrose del Dopoguerra. Ma chissà se con il suo fattivo contributo o nonostante la sua presenza, la Compagnia in fin dei conti non se l’è cavata male, con un total return degli investimenti, come dicono gli esperti, di circa il 6 per cento nel 2012.
La banca di riferimento, Banca Intesa, nel frattempo ha continuato a portare a casa utili, 1 miliardo e 600 milioni di euro nel 2012, che le ha consentito di distribuire un dividendo di 5 centesimi ad azione, che detto così sembra poco, ma messi tutti insieme sono circa 800 milioni, 80 milioni solo per la Compagnia. Nell’anno in corso è previsto il bis.
Stando così le cose, se dopo appena dodici mesi Chiamparino è disposto a lasciare la banca forse non è per darsela a gambe, ma per un ritorno al futuro della politica che se diventasse realtà arricchirebbe l’attrazione fatale tra postcomunisti e credito di un nuovo capitolo e un percorso più movimentato di quello solito, non di sola andata, ma anche di ritorno. Il viaggio di andata Chiamparino lo ha fatto preso per mano da Piero Fassino, ex segretario Ds, un altro appassionato di banche, sindaco di Torino succeduto proprio a Chiamparino, quello che al telefono durante la scalata di Unipol (area Coop) alla Bnl esclamò entusiasta “Allora abbiamo una banca!”.
A voler essere pignoli, in base allo Statuto la designazione del presidente della Compagnia non sarebbe spettata al sindaco, ma la tradizione sabauda impone invece il contrario e anche con Chiamparino la tradizione è stata rispettata. La sostanza è che nel bene e nel male grazie a Fassino sindaco e Chiamparino presidente della Compagnia oggi a Torino non si muove foglia che il Pd non voglia. Ora il kombinat politico-bancario della Mole punta dritto al vertice del Pd.
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