Economia

“Default: rischio forte in Ue nei prossimi 5 anni”

Questa notizia è stata scritta più di un anno fa old news

ROMA (WSI) – Gli economisti ci hanno raccontato che il peggio è alle spalle. Le Borse ci hanno creduto. Eppure l’economia reale su entrambe le sponde dell’Atlantico stenta. Meglio non cullarsi in facili illusioni. “L’incubo debito sovrano resta la preoccupazione numero uno degli investitori, mentre il mercato delle obbligazioni societarie ha avuto un andamento abbastanza positivo dal 2008-2009″ a oggi.

A dirlo è Edward Altman, uno dei massimi esperti mondiali del rischio di credito.

Professore di finanza alla Stern School of Business della NYU, direttore di Brain & Co, osservatorio sull’economia globale, e consulente di numerosi gruppi finanziari mondiali, Altman ammette di essere fortemente preoccupato.

Ad alimentare i suoi dubbi sono le dimensioni che ha assunto il bilancio della Federal Reserve, la portata cui sono arrivati gli interventi di politica monetaria e la reale capacità della Banca centrale americana di monitorare il tasso di crescita dell’economia reale da un lato e dall’altro la capacità di apertura da parte delle banche statunitensi a concedere prestiti.

A suo avviso gli investitori dovrebbero chiedersi quanto tempo ancora il presidente della Fed, Ben Bernanke, possa fare leva sulla strategia accomodante prima di innescare una risposta dei mercati azionari. Il riferimento è a quello che e’ successo nel 2006 e 2007 quando il mercato del credito esplose.

“Come allora – ravvisa l’economista – le banche sono tornate a concedere prestiti oggi, ma chi accende un mutuo deve essere consapevole che lo fa assumendosi ancora più rischi di allora, a causa del basso livello dei tassi di interesse“.

Tutto ruota attorno alla percezione del rischio, che secondo Altman, è decisamente offuscata. “Ad esempio – spiega – il 2009 è stato l’anno dell’anomalia, in cui hanno convissuto incredibilmente alti spread e alte aspettative di default nel mercato delle obbligazioni societarie ma allo stesso tempo i ritorni erano su livelli record“. Di fatto, nel 2009 i casi di default furono l’11%, il secondo tasso più alto della storia, ma meno comunque dei rischi di default cosi’ come erano stati pronosticati dai mercati (Altman parlava di un tasso al 14%, Moody’s al 20%).

“A causa di questa errata percezione del rischio, il tasso medio di ritorno per le obbligazioni ‘high yield’ (ovvero ad alto rendimento, NdR) fu del 60% nel 2009, quello del debito ‘distressed’ al 90%, mentre un portafoglio diversificato composto da bond insolventi aveva guadagnato più del 100%”.

Per il prossimo anno Altman ha calcolato un rischio di insolvenza intorno al 2,8%, ma ha anche aggiunto che potrebbe essere più alto, perché “i suoi modelli non includono la liquidità senza precedenti che la Fed sta pompando nel sistema”.

“Cio’ di cui gli investitori devono tenere conto – denuncia nella sua analisi – è che negli Stati Uniti oggi anche le aziende di medie o piccole dimensioni stanno accedendo a prestiti a tassi bassi. In Europa questo non succede in quanto le banche sono restie a concederli. Così facendo le aziende sono costrette a emettere bond, che è un altro motivo di preoccupazione”. Inoltre, se in passato chi investiva lo faceva basando i suoi calcoli sui dati macro per valutare il rischio fallimento in un Paese, adesso questo presupposto è saltato completamente”.

Altam suggerisce di monitorare attentamente anche la salute del settore privato, in quanto le aziende più sane aiutano a sostenere il debito pubblico e contribuiscono al benessere di un Paese.

In una analisi al 30 giugno 2012, l’economista ha calcolato che nei prossimi cinque anni il 25% delle società greche ha una probabilità di fallire dal 47% in su. Percentuale che scende intorno al 32% per quelle portoghesi, al 25% per quelle spagnole e italiane. E’ di appena l’11,2% per il 25% dei gruppi americani. E ancora del 9,7% per le australiane. Ma la vera sorpresa si trova in Irlanda, dove la probabilità di fallimento fra le società è di appena il 7,3%. Si tratta del più basso tasso che si riscontri nel settore privato.

“Rispetto al 2008 è cambiato poco in quanto – segnala ancora il professore americano – il mercato dei CDS indica che il debito sovrano europeo degli Stati periferici (ovvero quelli piu’ fragili finanziariamente, NdR) sta diventando meno rischioso, mentre se ci si basa su un set di parametri diversi si arriva a una conclusione diametralmente opposta”.

Secondo Altman è chiaro che tutti questi paesi europei non hanno curato i loro fondamentali e oggi le prospettive di una ripresa sono lontane, soprattutto in considerazione di un euro forte e in mancanza di riforme, diventate sempre più indispensabili e non procrastinabili, del mercato del lavoro in piena crisi.