ROMA (WSI) – Potrebbe essere stato solo un assaggio. Ma intanto la recente ondata di vendite sui titoli di Stato ha messo in guardia economisti ed analisti sul possibile impatto che provocherà un rialzo dei tassi di interesse. In molti adesso temono che quando si passerà dall’ipotesi di scuola alla realtà, più in alto saliranno i tassi, più questi faranno male all’economia e avranno un impatto sui profitti delle società. Ergo, faranno male a Wall Street e all’intero azionario globale.
Altri osservano che quando accadrà significherà che l’economia si sarà rafforzata. E quindi non c’è da avere paura, soprattutto comporterà un possibile rialzo dell’inflazione con il conseguente posizionamento da parte degli investitori in asset class più rischiose del mercato dei bond (dunque azionario in primis).
Per gli analisti di Deutsche Bank un aumento dei tassi di interesse avrà un risvolto positivo per le azioni. “Dal 2000 in poi, l’aumento dei rendimenti obbligazionari è stato in gran parte associato con il rialzo dei mercati azionari”, ha scritto in un report lo strategist dell’istituto tedesco Francesco Curto. “Anche forti aumenti dei rendimenti obbligazionari hanno coinciso nell’88% dei casi con rendimenti azionari positivi”.
Secondo Curto il miglior periodo per fare un parallelismo con quanto sta avvenendo oggi è l’anno 1994, quando si verificò una forte crescita economica in concomitanza di una bassa inflazione. “Dopo il picco dei rendimenti dei bond nell’autunno di quell’anno, ha fatto seguito un significativo rialzo dell’indice S&P 500”, ricorda lo strategist.
A suo avviso un aumento dei rendimenti obbligazionari non coinciderà con un crollo del mercato azionario (a condizione che le attese sull’inflazione rimarranno ancorate). D’altronde, un eventuale crash dei mercati “è un rischio che nessuna banca centrale o governo intende assumersi. Piuttosto – prosegue Curto – siamo convinti che le Banche centrali saranno più che altro disposte ad accettare un’inflazione moderata rispetto al rischio di un nuovo crollo del mercato azionario”.
Curto analizza la risposta dei listini azionari alla performance dei rendimenti dei bond del 1994 in tre fasi.
Il primo stadio – quello del calo dei rendimenti dei bond – avvenne dal giugno 1991 e durò fino a settembre 1993. “In questo periodo l’S&P 500 balzò del 24% passando da 371 a 459 punti mentre i rendimenti dei Treasuries decennali passarono dall’8,23% al 5,38%. I finanziari, le telecom e le utilities furono i settori che performarono meglio”.
Lo strategist colloca la seconda fase – di sell off di bond – da settembre 1993 a novembre 1994. “Lo S&P 500 scese da 459 a 454 mentre gli yield dei bond salirono dal 5,38% al 7,91%. L’S&P 500 perse l’8,9% fra inizio febbraio e inizio aprile, ma poi recuperò terreno. Utilities, finanziari e telecom furono i peggiori settori, mentre IT, healthcare e beni di consumo furono i migliori”.
Il terzo e ultimo periodo – conclude lo strategist di Deutsche Bank – iniziò nel novembre del 1994 per proseguire fino a gennaio 1996, e fu caratterizzato da un calo dei rendimenti dei bond. “In questi due anni – ricorda – l’indice S&P 500 si apprezzò passando da 454 punti a 636 punti mentre gli yield dei bond calarono dal 7,91% al 5,58%. Health Care, finanziari, titoli hi-tech e industriali si apprezzarono molto in Borsa. Telecom e utilities furono protagonisti di un rally importante, ma non abbastanza da controbilanciare le perdite accusate nel secondo periodo”.
Indicativo il secondo grafico, che mostra come dal 2000 i ritorni dell’azionario Usa sono stati positivi nel 71% dei mesi in cui i rendimenti dei bond sono saliti. [ARTICLEIMAGE]