ROMA (WSI) – Per Olivier Blanchard, capo economista del Fmi, dovremmo aspettare almeno dieci anni per uscire dalla crisi. Ma intanto già quest’anno sarà fondamentale. Nel 2013, per la prima volta nella storia, le economie emergenti produrranno la maggior parte dei prodotti e servizi destinati al mondo. Per quelle che sono state per secoli considerate le ricche economie avanzate, sarà uno smacco.
Lo spostamento degli equilibri del potere economico mondiale sarà profondo e dirompente, sostengono gli economisti. Entro il 2018, il Fondo monetario internazionale ha calcolato che la produzione mondiale degli Emergenti si collocherà a quota 55%, rendendo il termine emergente sempre più fuori luogo. Anche se gli standard di vita restano cinque volte più elevati nel “Vecchio Mondo”, il divario si è ridotto rapidamente dal 1990 in poi.
Jim O’Neill, capo economista di Goldman Sachs andato di recente in pensione, che per primo parlò del fenomeno Brics – coniando il termine – non esita a sottolinearlo, facendo paragoni.
“La crescita della Cina che si colloca all’8% annuo è oggi importante quanto il 4% di crescita negli Stati Uniti”, dice. “Se torniamo indietro al 1980, vediamo che la Cina allora cresceva a tassi più elevati ma era un pesciolino più piccolo, ossia aveva un peso ancora relativo sul mondo”.
Per quelle che sono state per secoli le economie a cui far riferimento, oltre agli Stati Uniti, il Giappone, la Germania, la Gran Bretagna, la Francia, l’Italia e il Canada è quindi il momento di rimettersi in discussione. La crescita delle economie emergenti è stata superiore a quella dei paesi del G7 per più di 30 anni. Ma d’ora in avanti non sarà più così.
Anche la società di consulenza, McKinsey Global Institute, ha previsto che l’ordine mondiale delle super potenze subirà una svolta. Richard Dobbs, il direttore che ha condotto una analisi ad hoc, ha spiegato che l’urbanizzazione economica della Cina sta accadendo su una scala che è 100 volte più grande di quella che coinvolse il Regno Unito, il primo paese che diede vita al processo di industrializzazione. Come dire, la rivoluzione industriale della Cina sarà molto di più un fattore di novità di quella inglese.
Il cambiamento dell’economia globale è in realtà passato attraverso fasi distinte nel corso degli ultimi 30 anni. A metà degli anni 1980, le grandi economie avanzate dominavano ancora la scena mondiale. Gli Stati Uniti erano al top, con l’Unione europea, secondo i dati del FMI. A metà degli anni 1990, si intravidero le prime crepe.
Furono la Germania e l’Italia a finire fuori dalla top ten dei Paesi a più alta crescita, con l’influenza del Giappone più che dimezzata. Mentre Messico e Indonesia erano entrate nel gotha delle potenze mondiali.
Negli anni precedenti alla grande crisi del 2008-2009, fu invece la Cina a catalizzare l’attenzione per la sua crescita portentosa. Oggi, con l’Europa ancora in difficoltà, fra il 2012 e il 2017 per trovare Paesi in crescita mondiale bisognerà spostarsi nel nuovo mondo.
L’Europa e l’Unione europea si ritaglieranno solo il 5,7 per cento della crescita mondiale, concludono gli economisti. Mentre l’India e la Cina rappresenteranno quasi la metà dell’espansione economica globale. Ormai la strada è tracciata.