ROMA (WSI) – In questa nuova sezione, che abbiamo chiamato ‘Facce’ (nel senso di visi, volti) Wall Street Italia pubblichera’ a cadenza variabile i ritratti di personaggi che, spesso nel male qualche volta nel bene, assillano la nostra vita pubblica.
ROMA (WSI) – Dalla fama un po’ sulfurea di Robin Hood al rischio di radiazione da un mestiere divinizzato, da una città che lo venerava, forse addirittura dai recinti della legalità. E’ la catastrofica parabola di Fabrizio Miccoli, talentuoso attaccante allontanato per le ombre comportamentali dai pascoli del cielo delle grandi società e della Nazionale, ma assurto nella maturità a icona di una nobile squadra di provincia.
Fino a qualche mese fa era l’anima del Palermo corsaro. Il fustigatore degli squadroni, l’artista che sapeva estrarre dal cappello a cilindro magici colpi a effetto per castigare l’alterigia dei club più blasonati. Dotato di una tecnica da prestigiatore e di un carattere da combattente.
Un fuoriclasse potenziale, se non fosse stato limitato da una carrozzeria fisica inadeguata alla potenza del suo motore tecnico e da lacune di continuità. Perfino una bandiera, che sapeva galvanizzare il suo pubblico, suonare la carica, trascinarsi sulle spalle la voglia di riscatto di una intera città. Anzi di un’intera isola. Anzi, con un’estensione della leccesità orgogliosamente ostentata, di tutto il Meridione.
Un tipo sanguigno, Miccoli. Che si è formato sui marciapiedi di periferia. Che non conosce sfumature diplomatiche. Che non la manda a dire. Quando il suo turbolento rapporto con la Juve si concluse con il divorzio, anziché piangere amare lacrime per il biglietto della lotteria che aveva strappato, si proclamò con guasconeria felice di essersi liberato dei codici formali e a suo giudizio ipocriti che regolano i bioritmi della vecchia signora. Assicurando che non avrebbe avuto alcun rimpianto per la maglia bianconera che, nel bene e durante la parentesi di Calciopoli anche nel male, è una sorta di tabernacolo del football nazionale.
La sua carriera proseguì lungo ribalte meno prestigiose, ma il talento riusciva a emergere anche in piazze che gli stavano un po’ strette. Un campione incompiuto. Soprattutto per la sua nomea di border line. Di uno insofferente alle regole e alle gerarchie. Un estroso animale da spettacolo, riottoso però ai labirinti tattici con cui gli allenatori cercano di dare equilibrio a un gioco dagli alti margini di imprevedibilità. E quindi indigesto, come tutti i cavalli pazzi, ai sergenti di ferro che debbono miscelare al meglio virtù pedatorie e impulsi umorali di un team calcistico.
Diretto a volte fino alla brutalità nell’eloquio poco forbito e appesantito dalle incancellabili some del dialetto. Ma non scorbutico. Né antipatico. Senza l’aria del maudit. Semmai scanzonato. Con l’aria dello scavezzacollo dal cuore in mano. Passionale e in apparenza sincero. Generoso di slanci con la tifoseria. Romantico nel riscattare all’asta un orecchino pignorato al suo idolo Maradona, in debito con il fisco, per poi fargliene dono come un’offerta votiva.
A farlo rotolare dal piedistallo di vindice degli oppressi è stata all’improvviso l’ambiguità che forse grazie a un altro effetto scenico era riuscito sempre a occultare. Il battersi pubblicamente a parole per la memoria di Falcone e a definirlo in privato fango. Il dichiararsi anema e core a favore della legalità e stringere amicizia lontano dai campi di gioco con gli eredi dei boss mafiosi. Qualcuno parla di superficialità. Anche Balotelli è stato trascinato dai camorristi a Scampia e perfino Maradona presenziava ai matrimoni de capi camorristi. Ma, fino a prova contraria, a loro insaputa (ormai uno sport nazionale). Lui però non può scappar sene in dribbling come in area di rigore. E’ inchiodato dalle intercettazioni.
Per altri osservatori di costume si tratta più semplicemente di ignoranza. Di una scala di valori ritagliata su cattive idee malamente orecchiate e stupidamente promosse a frontiere di anticonformismo. Più probabilmente è lo stesso istinto che gli consente mirabilie sul campo ad averlo tradito. Forse ha ragione l’ex giudice Antonio Ingroia, tifoso verace del Palermo: “Sono i vaneggiamenti di chi ha il cervello nei piedi, non nella testa”.