MILANO (ADVISE ONLY) – Purtroppo sono di nuovo qui a parlare di default dell’Italia. Vediamo perché:
- Beppe Grillo evoca lo spetto del fallimento e sul suo blog auspica la ristrutturazione del debito pubblico italiano;
- Mediobanca in un dossier riservato della sua controllata londinese, sostiene che l’Italia avrebbe circa sei mesi di tempo per evitare il default;
- il clima è reso pesante dalla fragilità politica ed economica del Paese, su cui piovono notizie come quella della “mina” dei contratti derivati siglati dal Ministero del Tesoro italiano negli anni Novanta, nonché del difficile momento vissuto dai mercati finanziari globali timorosi della fine del ciclo della liquidità a pioggia.
Inevitabile essere un po’ preoccupati dopo questo bombardamento di notizie quando si vede lo spread tra BTP decennale e Bund tornare a veleggiare intorno a quota 300 (ricordiamo che è possibile consultare lo spread dei Paesi europei quotidianamente su Advise Only). Manteniamo la testa a posto e ragioniamo.
Beppe Grillo e il fantasma del default italiano
Occupiamoci subito delle opinioni meno circostanziate da un punto di vista economico e finanziario. Quindi occupiamoci di Grillo, che dichiara:
“Oristrutturiamo il nostro debito pubblico, di cui la parte all’estero è in prevalenza in mano a Germania e Francia, o ci aspetta il fallimento insieme alla distruzione del tessuto produttivo.”
Al leader del Movimento 5 Stelle sfugge che la ristrutturazione del debito e il default non sono opzioni alternative, bensì sono esattamente la stessa cosa a livello giuridico (in matematica si parlerebbe di “identità” e per i mercati si tratta del famigerato “Chapter 11”). Il fatto che Grillo evochi il default dell’Italia con tale disinvoltura mi fa pensare che abbia sottovalutato l’impatto nucleare di questo evento. Se volete farvi un’idea potete dare una lettura a questo post: “L’Italia davanti all’incubo default. Cosa succederà?“. Mi auguro solo, per il bene di questa povera penisola e dei suoi abitanti, che questa bizzarra idea di ristrutturare il debito “per non fare default” non abbia troppi proseliti.
I derivati del Ministero del Tesoro
La questione è solo lievemente più profonda della precedente: i Governi di tutto il mondo hanno sempre stipulato derivati. Di solito a ragione, in quanto comprare un’assicurazione che protegga il conti pubblici da aumenti vertiginosi dei tassi d’interesse è del tutto normale. Bene, questa cosa si fa con un contratto derivato. Se poi i tassi scendono, come auspicabile, l’assicurazione non serve ed è quindi normale che il contratto sia in perdita.
Non vorrei essere troppo buonista, ma tendo a pensare che i contratti siano stati stipulati con quest’ottica. Tranquilli, non credo faremo bancarotta per questo.
Il dossier di Mediobanca
Veniamo al rapporto di Mediobanca che ha fatto scalpore. Parte dall’osservazione che esiste una differenza di rendimento positiva tra BTP e BOT. In particolare, tra i BTP emessi molti anni fa ma con solo sei mesi di vita residua ed i BOT a sei mesi: in teoria tale differenza di rendimento non dovrebbe esistere. Se esiste, argomenta l’analista Mediobanca, è perché i mercati stanno distinguendo tra i bond a rischio ristrutturazione (BTP) e quelli non soggetti a ristrutturazione (BOT). Detto altrimenti, conclude, gli operatori si attendono che nei prossimi sei mesi l’Italia possa dichiarare una parziale bancarotta sul suo debito.
Noi di Advise Only abbiamo analizzato queste differenze di rendimento tra BTP e BOT con scadenze simili. Su un orizzonte pari a sei mesi, per esempio, il BTP 15/12/2013 rende l’1,03%, mentre il BOT 13/12/2013 rende lo 0,92% (tassi di rendimento lordi annui): non mi pare una gran differenza. Anche allungando di circa tre mesi l’orizzonte, la situazione non cambia un granché: il BTP 01/04/2014 rende l’1,29% e il BOT 14/04/2014 l’1,27%. Simili differenze sono giustificate molto banalmente dal fatto che i BTP “vecchi”, cioè a fine corsa (detti anche “off the run”), sono mediamente meno liquidi dei BOT di pari scadenza e quindi offrono un piccolo premio di rendimento per il rischio liquidità. Bella lì.
L’Italia farà default?
Va bene l’ottimismo, ma non raccontiamoci storie: l’economia italiana è in contrazione, vive la più lunga recessione dalla Seconda Guerra Mondiale, è tornata (sulla carta) ai livelli di vent’anni fa e un sacco di gente tosta e preparata è a casa senza lavoro o emigra all’estero. Il Governo è tutto meno che solido e ancor più incerta è la situazione politica generale italiana, piena di personaggi inquietanti e inadeguati. L’Europa, nel complesso, arranca.
Dunque sì: l’Italia può fallire. Ma con probabilità, secondo me, molto bassa.
Il lato positivo della faccenda include il fatto che il Paese ha un surplus primario (incassa più di quel che spende, interessi dei titoli di Stato a parte) ed ha conti pubblici in ordine, anche se a discapito dell’economia reale. Il rendimento del BTP decennale ad agosto del 2012, nemmeno un anno fa, era 6,55% mentre ora è 4,69%. Il rischio di contagio, misurato con il nostro indicatore proprietario non è certo basso, ma è molto lontano dai massimi degli ultimi tre anni.
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Del resto, Mario Draghi ha appena dichiarato:
“La BCE è stata molto attiva nel rispondere alla crisi”
e
“siamo pronti ad agire di nuovo, se necessario”.
Non so voi, ma io tendo a credergli. L’importanza economica e geo-politica dell’Italia fanno sì che il suo eventuale fallimento non convenga a praticamente a nessuno. E questo ne riduce in modo drastico la probabilità di accadimento.