NEW YORK (WSI) – Da un lato, la crisi di liquidità di cui si parla ormai da settimane; dall’altro, il continuo indebolimento dei fondamentali dell’economia, messo in evidenza dal rallentamento dell’attività manifatturiera. Di fatto, l’indice dei direttori di acquisto del paese è sceso a giugno a 50,1 punti dai 50,8 di maggio. Si tratta del minimo in quattro mesi, appena al di sopra delle attese.
Soprattutto, l’indice si avvicina a sfondare al ribasso la soglia psicologica dei 50 punti, linea di demarcazione tra fase di contrazione (valori al di sotto) e di espansione (valori al di sopra); ciò significa che le fabbriche cinesi hanno praticamente smesso di crescere, oppresse da una domanda interna che non accenna a migliorare.
Ancora più allarmamente è l’altro dato sull’attività manifatturiera stilato da HSBC, che fa riferimento alle società più piccole in misura maggiore rispetto al dato ufficiale. In questo caso, il dato è sceso a 48,2, a giugno, al minimo in nove mesi e soprattutto al di sotto della soglia dei 50 punti, dunque in evidente fase di contrazione.
“Guardando all’intensità della flessione, questa è la maggiore dell’ultimo anno – ha commentato Ding Shuang, economista di Citi, intervistato dal Financial Times – Ci troviamo di fronte a un quadro di debole domanda, sia esterna che interna”.
Tra l’altro, i numeri arrivano in un momento in cui la Cina fa i conti con la crisi di liquidità che ha colpito il suo sistema finanziario, in particolare, nelle ultime due settimane, e che ha fatto schizzare i tassi interbancari a valori record, congelando temporaneamente il mercato del credito. A questo si aggiunge che, nel corso del primo trimestre, il Pil è salito +7,7% su base annua contro il +7,9% degli ultimi tre mesi del 2012; molti analisti ritengono inoltre che nel secondo trimestre ci sarà un ulteriore rallentamento.
David Poh, responsabile dell’allocazione degli asset presso Société Génerale, afferma che la Cina sta diventando un rischio per l’economia globale.
“La Cina ricopre un ruolo molto rivelante nella congiuntura mondiale, e se questo trend prosegue tutto il mondo ne soffrirà”. Il “33% delle esportazioni va in Eurozona, e sappiamo che l’Eurozona si sta leccando ancora le ferite; le società di estrazione australiane sono poi molto dipendenti dalla crescita cinese. Stessa cosa per l’America latina. E anche i consumi americani potrebbero rallentare se l’intero contesto globale non andasse come pianificato”.