ROMA (WSI) – L’insistenza con cui il Governatore della Banca d’Italia spinge per cancellare dal panorama del sistema bancario le banche popolari cooperative suscita interrogativi e sospetti. Ripetutamente, Bankitalia è pesantemente intervenuta affinché il Parlamento imponesse alle Banche Popolari di trasformarsi in SpA, con motivazioni ideologiche e speciose, che fanno capo alla natura cooperativa di queste banche che costituiscono un presidio fondamentale per i sistemi produttivi territoriali caratterizzati da piccole e medie imprese, spesso a conduzione familiare.
In sostanza queste banche non sono scalabili dal capitale finanziario e si sottraggono agli appetiti speculativi di quelli che Federico Caffè chiamava gli “incappucciati” della finanza. Persino le vicende della Banca Popolare di Milano, che pure sono frutto di un perverso rapporto tra poteri finanziari e politici e opportunistiche manovre di taluni sindacalisti, dimostrano che ridare voce e ruolo ai soci può rimettere un grande e storico istituto sui giusti binari, con buona pace delle strategie del finanziere Bonomi.
Il Parlamento è già intervenuto per adeguare la struttura delle banche cooperative e il loro modello di gestione alla evoluzione della struttura economica e alla stessa modificazione della composizione del capitale delle Popolari Cooperative; prima nel 2007, anche confutando informazioni parziali e tendenziose di Bankitalia e, più recentemente, a dicembre del 2012 con una norma del cosiddetto “decreto sviluppo”, riconoscendo uno spazio specifico ai cosiddetti investitori istituzionali e adeguando la partecipazione dei soci con l’aumento del numero di deleghe di cui ciascuno può essere portatore.
In tutto il mondo questo sistema bancario cooperativo viene tenuto nella massima considerazione e tutelato adeguatamente proprio per i valori sociali che rappresenta e per il modello di democrazia economica nell’impresa. L’anno internazionale della cooperazione ha costituito l’occasione più importante nella quale i governi di ogni paese, meno l’Italia in verità, hanno dato riconoscimento del valore specifico di questa realtà non omologata al capitalismo dei signori dei pacchetti azionari e dei fondi speculativi.
Peraltro, una recente ricerca coordinata dal professor Paolo Savona, dimostra come in Europa siano state e siano le banche di minore dimensione e legate al territorio quelle che non hanno dovuto ricorrere a quei 1300 miliardi che gli stati hanno dato alle banche a rischio fallimento. Possibile che Bankitalia ignori questo dato e insista ad alimentare gli appetiti del capitale finanziario speculativo che non vedono l’ora di mettere le mani su quel 40% di risparmio degli italiani, su quella rete di “sportelli bancari di vicinato” che costituiscono il valore sociale ed economico del sistema delle banche popolari cooperative?
È legittimo pensare che Bankitalia e Visco, continuando l’opera di Draghi, perseguano proprio l’obiettivo di consentire alla finanza speculativa di mettere le mani su questo patrimonio umano e sociale oltre che economico; magari cogliendo la opportunità di avere Saccomanni al ministero dell’Economia. E non è proprio un bel segnale per chi si fa censore dei possibili conflitti d’interesse!
*Ex vicepresidente Commissione Finanze del Senato.
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