ROMA (WSI) – È il giorno di Erna, la ragazza dell’Ovest che si avvia a diventare primo ministro. Ed è il giorno di Siv, la nemesi. La conservatrice Erna Solberg e la leader del Partito del Progresso Siv Jensen sono i volti della destra norvegese che ieri ha vinto le prime elezioni politiche dalle stragi del 22 luglio 2011.
Un voto che segna la fine della coalizione rosso-verde guidata da Jens Stoltenberg e che sdogana definitivamente la formazione anti-immigrati alla quale nel 1999 aderì l’autore del doppio attacco di due anni fa, Anders Behring Breivik che osserva dalla cella del carcere di massima sicurezza di Ila, il suo ghigno come una condanna su un Paese che vuole dimenticare.
«Ho lavorato duro per dare ai conservatori una nuova piattaforma» dice Erna, l’inflessibile «Merkel del Nord» che ha incentrato il suo progetto su taglio delle tasse, innovazione, competitività e ha accettato il rischio di una pragmatica apertura ai populisti di Siv. Con tre quarti dei seggi scrutinati, il blocco di centro-destra formato da conservatori, Partito del Progresso, liberali e cristiano-democratici conquista una maggioranza di 96 seggi su 169.
Nei prossimi giorni saranno da definire gli equilibri di una coalizione dalla quale, dichiara Solberg, non sarà più possibile escludere la formazione della Jensen. Non sarà facile per Erna, decisa a costruire «un ponte» tra il centro e la destra populista, concordare una strategia di governo con Siv.
L’alleanza necessaria a battere il centro-sinistra dovrà superare divergenze inconciliabili emerse già prima del voto, ad esempio sui campi per richiedenti asilo proposti dal Partito del Progresso. L’ultima speranza per i laburisti, primo partito, è che i rivali non trovino un accordo.
Malgrado quarant’anni di storia e un radicamento territoriale che ne fa una delle maggiori forze dell’arco politico norvegese, il Partito del Progresso era sempre stato tenuto fuori da coalizioni di governo per la sua identità troppo tagliata sulla difesa di un’originaria purezza culturale costruita su un mix di valori cristiani e umanitarismo.
Negli anni la retorica di partito è scivolata su posizioni sempre più antimusulmane, fino al celebre discorso del 2009 nel quale la stessa Jensen metteva in guardia da un’islamizzazione strisciante. Toni che richiamano sinistramente i proclami affidati da Breivik al suo manifesto pubblicato poche ore prima di stroncare 77 vite nell’assalto al quartiere governativo di Oslo e al campo estivo della gioventù laburista sull’isola di Utoya.
Un attacco pianificato per anni con l’obiettivo dichiarato di scuotere la classe dirigente e fermare le politiche multiculturaliste della sinistra che rischiavano di consegnare la Norvegia e l’Europa all’onda islamica. La preparazione dell’attentato cominciò nel 2002. Proprio quell’anno un ramo locale dell’organizzazione giovanile del Partito del Progresso scelse come presidente l’allora 23enne Breivik.
Dopo Utoya, il partito ha condannato senz’appello la peggiore strage sul suolo norvegese dalla Seconda guerra mondiale, rimosso i dirigenti più controversi, abbassato i toni sull’immigrazione e spostato il focus sulle riforme economiche e sul ridimensionamento del ruolo dello Stato. «Siamo un partito liberale» ripete Jensen, che ha sempre respinto l’etichetta di leader «populista», «a meno che populista non significhi risolvere i problemi quotidiani della popolazione».
Tra le sue proposte, la revisione della regola d’oro che stabilisce un tetto del 4% oltre il quale è proibito attingere al Fondo petrolifero sovrano da 750 miliardi di dollari, un limite per proteggere una ricchezza destinata alle generazioni future. Anche Erna Solberg ha puntato sul Fondo, proponendo di modificarne l’assetto amministrativo, curato sin dal 1996 da un ramo della Banca centrale norvegese: l’idea è assegnare settori diversi del Fondo a più soggetti, per favorire un management competitivo.
Il nuovo governo sarà chiamato a un ripensamento complessivo di un sistema economico troppo dipendente dalle pur immense riserve petrolifere. ?In lista con i laburisti, anche 33 sopravvissuti di Utoya che su quell’esperienza hanno fondato un rinnovato impegno politico, «la generazione 22 luglio».
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