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Italia a rischio default? Patto faustiano con la Bce

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ROMA (WSI) – “I will survive” cantava Gloria Gaynor qualche tempo fa. E non c’è dubbio che l’Italia e l’Europa siano sopravvissute finora alla peggiore crisi finanziaria sul debito sovrano che ha colpito i mercati negli ultimi cinque anni. Mario Draghi ammette che «I rischi sistemici sono calati a livelli precedenti al 2011» ma la strada è ancora tutta in salita tant’è che promette una politica monetaria molto accomodante e non compatibile con uno scenario di economia sana. Intanto tra i Paesi deboli la scorsa settimana si è registrato il sorpasso dei titoli spagnoli su quelli italiani, oggi rientrato.

Un evento che ha tenuto banco su tutti i giornali finanziari se si pensa che sei mesi fa il decennale italiano aveva uno spread pari a 272 punti sul Bund rispetto ai 365 punti dei Bonos spagnoli. Stiamo parlando in termini percentuali di una differenza del 34% ora prossima al 2,5%. “Un segnale di malessere verso l’Italia da parte degli investitori istituzionali – dichiara Giovanni Ponzetto, strategist obbligazionario di Tokos – che ha qualche ragione d’essere”.

L’Italia? Tenuta su dalle LTRO

Come la Spagna l’Italia è una sopravvissuta. Grazie alla potente cura a base di sedativi iniettata da Mario Draghi ai mercati per calmare le acque. Qualcuno la chiama morfina. E’ quella che sta tenendo su il nostro paese. A colpi di LTRO ha dato un anno e mezzo fa il combustibile (oltre 250 miliardi di euro) alle banche del Belpaese con cui queste ultime hanno acquistato soprattutto titoli governativi domestici ammessi a garanzia presso la stessa banca centrale, grazie a prestiti da parte della Bce al tasso dell’1%. Titoli protetti dallo scudo della Bce se aventi scadenze inferiori a tre anni e molto redditizi, grazie all’effetto leva dei bilanci bancari. Un gioco da ragazzi. Rischioso?

Bund o Btp? Per le banche italiane è lo stesso

“Di fatto se salta l’Italia per le banche italiane detenere Btp o Bund è lo stesso – fa notare Ponzetto – sono istituti di diritto italiano soggetti alla legge italiana: nel paese di Giuliano Amato e della Robin Hood tax, arriva la finanza, e si appropria degli utili, oppure gli espropria i Bund e gli da in cambio i Btp”. Diverso se a imbottirsi di titoli di Stato italiani è un banchiere straniero “A quello se l’Italia fallisce salta la poltrona, perché non è un soggetto residente in Italia quindi si sta prendendo un rischio paese terzo quando compra i Btp – prosegue Ponzetto – E ricordo che gli istituzionali hanno già subito perdite pesanti con la Grecia.” E sono più timorosi.

Per le banche italiane è diverso e detenere Btp non è un azzardo morale. “I rischi non si gestiscono, ma si sopportano e si pesano” afferma Ponzetto. E qui siamo di fronte a un rischio redditizio per i banchieri italiani grazie al denaro facile della Bce. A noi mica prestano i soldi pagando l’1%. Provateci voi in banca a chiedere un prestito. E vedete ammesso che ve lo concedano se vi chiedono solo l’1%. “Del resto la Bce non poteva finanziare direttamente i governi: solo le banche possono accedere ai finanziamenti della Bce” ricorda Ponzetto.

Ai banchieri di mezza Europa questo denaro a prezzi discount è stato concesso per rimettere in ordine i propri conti e alle banche per risanare i propri bilanci “grazie al carry trade sui titoli di stato” ricorda Ponzetto. L’obiettivo della Bce era dare tempo e sostegno ai governi per guarire e ripartire.

Spagna – Italia: qui ci fanno la “fiesta”

Alcuni dei paesi più in difficoltà come la Spagna sono stai più decisi in questo percorso di pulizia di bilancio e recupero di competitività. Altri, come l’Italia, non sono riusciti a risanarsi in modo convincente. Il senso della riduzione negli ultimi sei mesi della distanza tra Bonos spagnoli e Btp italiani è tutto qui: non stiamo usando agli occhi di molti investitori istituzionali stranieri l’occasione di fare le riforme al livello della Spagna.

E la forbice dello spread che misura quanto un paese è distante dalla salute economica e finanziaria (e non è un caso che il benchmark sia per tutti la Germania) mostra che negli ultimi sei mesi la Spagna ha fatto passi da gigante e già nei mesi scorsi non a caso sono stati consigliati in diversi portafogli obbligazionari di BorsaExpert.it o MoneyExpert.it

Oggi i Btp italiani e i Bonos a dieci anni viaggiano molto vicini intorno ai 240 punti di spread. Di fronte a un paese come la Spagna che ha un tasso di disoccupazione molto più alto del nostro (27% contro l’11,8% dell’Italia), un rapporto deficit Pil peggiore del nostro (-6,6% contro il -2,9% dell’Italia) e il maggior disavanzo primario della Ue (-3,2% contro il +2,4% dell’Italia), il recupero messo a segno da Madrid sul fronte dello spread ci dice che i mercati ci stanno dando un po’ di lungo.

I politici italiani? Vedono troppo rosa

“I nostri politici ce la dipingono sempre un po’ troppo rosa” dice Giovanni Ponzetto, strategist di Tokos “ad esempio l’attenzione allo spread, che NON è quanto costa il debito, è fuorviante.” Per gli investitori istituzionali la Spagna per certi versi è meglio dell’Italia. Da che punto di vista la Spagna piace di più? “Mettiamola così – riassume Ponzetto – La Spagna dà la sensazione di un malato che si è fatto molto male e che ha iniziato la riabilitazione. Si sa che l’incidente c’è stato, che la malattia è brutta, ma il paziente si sta curando e da anche segni di essere sulla via della guarigione”.

La Spagna ha toccato la spesa pubblica e ha fatto una riforma del lavoro favorevole alla crescita. Sul fronte del Pil se quest’anno si stima che si contrarrà dell’1,3% il prossimo anno il Fmi stima per la Spagna una crescita dello 0,3%, dello 0,6% nel 2015 e dell’1,3% nel 2016. Grazie alla riforma del lavoro alcune imprese automobilistiche multinazionali sono tornate a investire nel paese e con la “Ley de Emprendedores” approvata a giugno sono previsti incentivi per investimenti, deduzioni fiscali e modifiche dell’Iva.

La bolla del mattone spagnola: aquì se vende

Il Paese iberico sta reagendo anche di fronte alla bolla immobiliare ammettendo gli errori del passato. “Sul fronte bancario gli istituti di credito hanno iniziato a fare “clearing”, a ripulire i bilanci vendendo anche con pesanti perdite gli immobili detenuti, e anche i privati sono scesi a compromessi– ricorda Ponzetto – In questo modo le transazioni non si sono congelate come in Italia dove storicamente nel mercato immobiliare il calo delle transazioni prevale sul calo dei prezzi.” Svendere o prendere atto della mutata realtà? Per i privati e gli istituti di credito meglio la vecchia tecnica dello struzzo: mettere la testa sotto la sabbia. Come se i mercati non esistessero.

In Italia la sensazione è di essere di fronte a un Paese che non vuole fare le riforme e non vuole seriamente ripartire. “L’Italia sembra afflitta da una malattia cronica che non si riesce a definire se non in termini di prevalenza delle esigenze del settore pubblico, che consuma, sul settore privato, che produce” chiosa Ponzetto.

L’Italia e il rischio default

Via dal debito pubblico italiano quindi? “Non credo che ci sia un rischio importante di default dell’Italia – dichiara Ponzetto – Ricordiamoci che è un malato tenuto in piedi grazie alle LTRO di Draghi”. Un patto col diavolo? “Un patto faustiano quello tra Bce, banche e governi ma a fin di bene – secondo Ponzetto- per evitare che Paesi troppo grandi per fallire come Spagna e Italia avessero conseguenze sistemiche su tutta l’area Euro, e che il costo del debito seppellisse gli effetti delle riforme”.

I tassi bassi? Una cura con qualche controindicazione

Il problema è che il sostegno può diventare dipendenza: una volta data la morfina in quantità industriali è ben difficile poi toglierla.

“E qui a farne le spese sono i risparmiatori – mette in guardia Ponzetto – che si trovano con un peso fiscale altissimo e rendimenti sui mercati tenuti artificialmente bassi dalla Bce”. Un Paese che non si riforma in modo profondo non può ripartire né sul fronte della crescita né su quello dell’occupazione. “L’esperienza del Giappone insegna che di per sé i tassi bassi non sono una soluzione.” ammette Ponzetto. “La Bce ha dato agli Stati il tempo di guarire tenendoli in vita anche se molto indebitati, rendendo il peso del loro debito più sopportabile in un periodo di grande difficoltà – avverte Ponzetto – ma ad alcuni Stati come l’Italia questo aiuto è servito poco finora per curarsi. Non si può certo dire che siano guariti, piuttosto che la loro malattia si è cronicizzata. Non crolleranno perché il medico continuerà a somministrargli la medicina. Ma questa cura non li guarirà”.

Il rischio per i Btp people? L’evento esterno

Niente pericolo quindi per i detentori di bond italiani? “No a meno di un evento esterno – sostiene Ponzetto – Se gli istituzionali stranieri che detengono quote importanti di titoli del debito pubblico italiano iniziassero a vendere massicciamente si scatenerebbe una reazione a catena. I VAR delle banche (i sistemi con cui misurano il rischio degli investimenti) esploderebbero e sempre più investitori istituzionali dovrebbero far uscire questi titoli dai loro portafogli. E la situazione potrebbe anche sfuggire di mano di fronte a una fuga massiccia degli investitori istituzionali che possiedono una quota di debito pubblico italiano non certo facilmente assorbibile “.

Certo ci potrebbe essere lo scudo stellare della Bce e dell’Unione Europea se le cose dovessero precipitare, ma attenzione nel caso della Grecia non ha esattamente protetto tutti, se non la Bce stessa. “E’ un precedente grave che la Bce si sia auto-nominata creditore privilegiato in corsa saltando la fila dei creditori e affibbiando le perdite ai detentori privati (e pubblici) di questi titoli” ricorda Ponzetto “un domani che ci fosse bisogno di un intervento diretto della BCE a supporto dei BTP, quel precedente potrebbe costare caro: agli occhi dei fondi, ogni milione in più in mano alla BCE sarebbe un milione in meno su cui spalmare una eventuale ristrutturazione, e quindi anche se non cambia la probabilità di un evento negativo l’entità del danno nel caso peggiore aumenta”. Il problema in questo momento per gli investitori istituzionali è che non esiste più un quadro normativo chiaro. “Ogni default è diverso –rammenta Ponzetto – e per ogni ristrutturazione si cambiano le regole in corsa”.

Per questo una leggera brezza può trasformarsi in una tempesta. E anche gli investitori istituzionali nel loro piccolo hanno paura. Anche dei “draghi” che saltano la fila. E loro rischiano di rimanere con il cerino in mano. Per questo quando vedono fumo, non aspettano più di vedere il fuoco. Loro a quel punto sono già altrove. Ed è bene quindi avere una mente aperta nel valutare il mercato obbligazionario anche governativo senza avere idee preconcette né solo ottimistiche, né apocalittiche.

Il contenuto di questo articolo, pubblicato da Money Report – che ringraziamo – esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

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